Quello che egli è.

Una visione bizzarra – Dal secolo XV a... domani – Prima e dopo del fidanzamento – L'“accessit” – La “via crucis” – Quel che dicono gli amici – L'ombra di Lazzaro – L'amore... in “boites”.

In una di quelle bizzarre ed interessanti narrazioni di viaggio che facevano i grandi navigatori del secolo XV e XVI ho trovata la descrizione di una creatura strana, appartenente a un regno della natura assai incerto, la quale «mostra viso d'huomo, et huomo non è; et ha pinne di pesce, et pesce non è; et unghioni ha come di lione, et lione non è; et rostro ha come augello, et non è augello; et ali di vipistrello, et non è vipistrello; et in suo aspecto molte bestie raguna, et non è nessuna di elle».

La critica dei naturalisti ha sorriso di questa, che ha battezzata una fantasticheria di un viaggiatore allucinato o burlone; ma la critica ha torto. Chi ha l'onore di parlarvi, signore e signori, ha scoperto, con la più assoluta certezza, che questo essere esiste, e non occorre andarlo a cercare nei mari o sulle coste boreali o australi: esso (non si dispiacciano i tre quarti dei miei carissimi amici) è... il fidanzato.

E, se io vi parlo di lui, è perchè mi interesso a questo strano fenomeno della nostra società e perchè penso che, a studiarlo nel suo ingranaggio, c'è più utilità pratica e, forse, benefica, che non a smontare il congegno di un orologio che non cammini o a scomporre una pipa che non tiri.

Sì, gentilissime signore e signori miei, il fidanzato – confessiamolo pure – non è che un fenomeno che dura da secoli e che, attraverso vicende più o meno svariate e con trasformazioni diverse nei diversi paesi del mondo, è arrivato fino a noi: ma, in antico come oggi, altrove come da noi, ebbe ed ha, sempre, un carattere di provvisorietà, un'ibrida fusione di cose complete ed incomplete, un miscuglio di poesia e di ridicolo, un arsenale di diritti spuntati e di strani doveri che ne fanno precisamente quella creatura che ha testa d'uomo e figura di animali svariati, senza essere nè l'uno, nè, precisamente, qualcuno degli altri.

E non vi sembri audace l'affermazione, care e buone fanciulle che state caricando le vostre belle pupille di una doppia dose di elettricità, per fulminarmi all'esordio appena della mia conferenza; giovanotti indignati che agita il dilemma angoscioso di interrompermi con una pioggia di interiezioni da parlamento italiano in seduta di interpellanze, o di lasciarmi finire nel più sdegnoso silenzio, per aspettarmi al varco, sulla soglia della sala, e farmi il trattamento che fecero le baccanti a quel maestro di musica dell'antichità che fu il primo ad attirare le bestie ai suoi concerti, l'eccellente Orfeo. No, carissimi fidanzati, nelle mie parole voi non dovete trovare alcuna intenzione aggressiva o irriverente, ma un grande desiderio di bene, l'invito a meditare sopra un problema umano, lo scopo di trasformare in meglio certi meccanismi sociali che funzionano peggio dei telefoni dello Stato.

Che cosa è il fidanzato? È la crisalide del marito: è il consorte in esperimento che l'occhio vigile del futuro suocero e della futura suocera sorveglia, ogni giorno, nell'astuccio in cui è rinchiuso: è l'innamorato che riceve il timbro legale ed è autorizzato a fare... meno di quel che faceva prima, quando non aveva nè timbro nè sorveglianza.

Il fidanzato è un giovanotto di belle speranze che, un bel giorno, stanco di aver passato delle notti di pioggia sotto una finestra rinserrata e delle ore di canicola sotto un balcone semiaperto, volendo definitivamente chiudere l'era degli amori di lontano, aiutati dal telefono senza fili premarconiano, dalle lettere sospese ad una cordicella, dalle serve compiacenti e dai portinai indulgenti, volendo finirla una buona volta con le fughe per le scale, avendo un fratello alle spalle, e con le scalate ai muretti dei giardini, avendo un padre o un cane, o tutti e due, alle calcagna, si decide, piglia il suo coraggio a due mani, mette il tight o la redingote, infila un paio di guanti alla rovescia, per il turbamento, e va a farsi iscrivere debitamente nel numero dei candidati al matrimonio, passando per l'uffizio di registro del signor padre e della signora madre in pectore.

La faccenda non sempre è liscia. Egli è pesato, scrutato, esaminato al microscopio, scomposto nei suoi elementi chimici, sottoposto a un controllo di acidi e di reagenti, come un campione di vino o di formaggio, e, infine, quando offre tutte le garanzie possibili, egli ottiene quello che forma l'oggetto di ogni sua aspirazione: l'accessit.

Egli crede che ha toccato, con ciò, la soglia del paradiso, e sente le ali che gli spuntano sulla redingote. E invece, ahimè, è proprio allora che ha principiato la sua via crucis, e che molte amarezze inattese lo aspettano al varco.

Si comincia con la limitazione dell'orario: la fidanzata, come i musei, non è visibile che in certi giorni e in certe ore. Gli è permesso di amare il giovedì e la domenica, per esempio, tenuto conto che, nel fidanzamento, il riposo festivo non può applicarsi; ma dalle diciassette alle venti, non più. Ogni ora supplementare deve essere concessa dopo un consiglio di famiglia presieduto dal pretore o da un vecchio amico di famiglia che ne fa le veci, e bisogna meritarla con una serie di azioni eroiche, come delle frequenti partite a scopa con la vecchia zia, che deve vincere sempre, un cartoccetto di biscotti, ogni tanto, al cane di famiglia o il tormento di una udizione del grammofono per due ore, ogni settimana, con entusiasmo obbligatorio all'aria del Trovatore o alla risata del Maldacea che, nella tromba di metallo, hanno sghignazzamenti diabolici, miagolii infernali, stridori di forchette che raspano il vetro.

Vi è, poi, la limitazione della... tenerezza. Colui che crede che il futuro marito abbia diritto a un trattamento, diciamo... di favore, s'inganna. In pubblico, c'è la preoccupazione di non apparir goffi, che frena ogni possibile espansione: due fidanzati che tubino, amorosamente, in un salotto o nella sala di un circolo, producono, per uno speciale fenomeno vaso-motore, un'irritazione nel sistema nervoso e nell'apparato digestivo degli spettatori. I più benevoli si contentano di mormorare, l'uno all'altro: – Dì, me lo presti, un cerino? – Dì, non ti sembra che il lucignolo fili troppo? – I più malevoli borbottano, seccati: – Mi pare che queste scene di affetto potrebbero benissimo farle a casa loro! – Senza contare, poi, che se essi, schiavi del rispetto umano, si staccano, e ognuno conversa per conto suo, gli stessi benevoli di prima susurrano, graziosamente: – Fidanzati nouveau style. Evviva la libertà! – e i malevoli arrotano: – Si comincia bene: oggi indifferenza; immaginarsi domani! Saranno bicchieri e piatti sul muso, con reciproca tenerezza!

E nell'intimità? Dio mio, non c'è neppure da pensarlo! Dalla vecchia zia che soffre d'insonnia e non chiude un occhio neppure se glielo colpite con un pugno, al cane di casa, che si pianta sul tappeto, nel bel mezzo della coppia, e segue ogni gesto del discorso con le pupille intente e un lieve sogghigno all'angolo della bocca, scoprendo la bianchezza dei pericolosi dentini, dalla sorella maggiore, che ha sempre un gomitolo o un uncinetto da cercare nel panierino da lavoro accanto a voi, alla vecchia domestica, che ha sempre un lavoro urgente e interminabile da fare in camera, la sorveglianza è così stretta che quella che i secondini fanno ai carcerati diventa un giochetto per ridere.

Il fidanzato è come il convalescente che è sottoposto a regime: deve prendere quello che gli si dà: il dito di marsala o il rosso d'uovo nel brodo: ogni cosa, che chiede in più, rischia di far spezzare la cura ricostituente e di farlo ritornare a dieta lattea.

Nel marito in candidatura non c'è che questa sola speranza, che gli balena nell'anima: Domani! Ma, come avviene per gli ingenui che credono al famoso domani delle osterie, che promettono appunto domani di far credito, egli si accorge che tutti i giorni sono «oggi» e il domani è sempre il giorno.... che vien dopo.

Il futuro suocero si vede poco, poichè quasi sempre è una persona di affari, ma, in sua assenza, c'è l'ombra sua, che si proietta sui fidanzati, e pare stia lì a vigilare, perchè il convalescente non oltrepassi il regime, e il confine segnato dalla intransigenza paterna sia rispettato. Quell'ombra austera, che si fa sentire con una grande impressione di freddo, pare che ripeta il linguaggio di Lazzaro di Rojo, modificandolo per la circostanza, e dica al fidanzato: Se tu vuoi dire alla tua fidanzata che le vuoi bene, e glielo dici sotto voce, beh! questo è ben fatto! E se tu le stringi la mano un poco più forte, quando te ne vai, nei giorni in cui ti autorizzo al colloquio, beh! questo è ben fatto. E se la tua mano si indugia e i tuoi occhi la fissano negli occhi, ma si affrettano ad abbassarsi, beh!... anche questo è ben fatto.

Ma se tu chiedi di più, e vuoi con la mano sfiorarle i capelli, ricordati che io sono lì, e muovo tre passi, e ti piglio... E se tu osi guardare alla sua bocca, come a una promessa che aspetta l'ora di diventare una realtà, se tu osi chiederle una carezza affettuosa, come un piccolo anticipo sui conti correnti nuziali, io ti passo con l'erpice sul dosso, e fo del tuo stinco un bastone da passeggio!...

Tutto ciò, come vedete, non prova che una cosa soltanto: che, cioè, la legalità mette una camicia di forza alla poesia e, quando non fa ricorrere ai piccoli sotterfugi che si adoperavano su vasta scala nel tempo felice dell'amore nascosto, di quell'amore che aveva a testimoni le stelle del cielo e il panierino che penzolava da un quarto piano, di quell'amore a base di letterine quotidiane, di segnali a distanza, di fazzoletti sventolati, di occhiate fuggitive nella folla, di lunghe stazioni alle cantonate della via, di sacrifizi e di palpiti, di ansie e di eroismi, di ciocche di capelli e di fiori disseccati, quando, cioè, non si ritorni indietro, nelle ore in cui non si va... innanzi, il fidanzamento, di fronte all'amore, è come le pesche in boites di fronte alle superbe frutta fresche, che mettono sulle mense la gaiezza delle loro guance rosate cosparse di una fine pelurie d'oro e il loro profumo di giovinezza.

L'amore è un piccolo Dio capriccioso, che preferisce entrare per la finestra, dal momento che ha le ali apposta. Quando lo si fa entrare per la porta e gli si impone l'abito di cerimonia è evidente che si trova a disagio, e finisce col sentire le penne malconce sotto la marsina.

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