12.

Proteggendosi la testa con le mani e le braccia, Léo riusci a non perdere conoscenza. Soncourt e gli altri muschiatini che si accanivano su di lui se la prendevano comoda, volevano godersi la vendetta e gli assestavano colpi alla schiena con ritmo lento e costante, uno a testa. Pensò che avrebbe dovuto rialzarsi e provare almeno a difendersi, ma quelli non aspettavano altro per spaccargli il cranio. Cosi invece gli avrebbero rotto prima tutte le altre ossa, poi il cranio. Fev dèr int’alcul, si disse, se devo crepare... Rotolò di fianco, ma prima che le mazzate lo investissero, senti un colpo d’arma da fuoco e vide il capo muschiato strabuzzare gli occhi e piombargli addosso a peso morto.

Udì un altro paio di colpi secchi, legno contro ossa, ma non le sue. Con una spinta delle reni fece rotolare via il cadavere che lo schiacciava. Vide un altro dei muschiatini lungo disteso, mentre il terzo cercava di rialzarsi. Con una sforbiciata di gambe, Léo gli rifilò un calcio alla tempia e quello crollò senza più muoversi.

Si alzò sui gomiti e si ritrovò a fissare una faccia nota. Non una faccia amica. L’ultima persona che avrebbe pensato di vedere, e che gli porse la mano e lo aiutò a rimettersi in piedi.

– Vengo per Bastien e invece trovo te, – disse Treignac con la voce biascicata e rotta dal fiatone. Era paonazzo. Impugnava una grossa pistola per la canna. Doveva averli colpiti con quella, dopo avere sparato al primo. – Quasi quasi lasciavo che ti conciassero per bene.

– Perché non l’hai fatto? – chiese Léo ancora disorientato.

– Erano tre contro uno. E poi ho un conto in sospeso con questa gente.

– Ho perso Marie, – riuscì a dire Léo. – Era con me...

Treignac bestemmiò.

– Marie non è più affar mio, – disse. – Bastien invece si. È venuto a ficcarsi in questo... – si guardò attorno senza trovare le parole per descriverlo. Fece un gesto volgare all’indirizzo di tutti e nessuno.

– Mi dispiace, – disse Léo. E mentre lo diceva si rese conto che era vero e se ne stupì. Quell’uomo lo aveva maltrattato e umiliato come nessun altro, ma gli aveva anche salvato la vita.

– Ce la fai a camminare? – chiese Treignac dopo una pausa troppo lunga.

Léo storse la bocca.

– Si, sono ammaccato ma intero.

Un’altra bestemmia. Treignac indicò l’ingresso del cortile, dal quale i miliziani della guardia nazionale stavano riuscendo a entrare.

– C’è un’altra uscita, laggiù, – disse Treignac. – Muoviti!

I due sgattaiolarono verso la piccola porta sul muro in fondo, dalla quale già in molti stavano defluendo. Prima di varcarla, Léo scorse la figura di D’Amblanc, accasciato accanto al corpo di Jean, e tornò indietro, inseguito dagli insulti di Treignac. Solo quando fu appresso al dottore si accorse del sangue. La testa riversa del ragazzino fugò gli ultimi dubbi.

– Yvers, – disse D’Amblanc.

– Dov’è andato? – ringhiò Léo.

D’Amblanc non rispose.

– Marie? – chiese ancora Léo.

– Era con voi, – disse D’Amblanc.

– Dobbiamo andare via, – disse Léo, adocchiando i miliziani che erano ormai entrati nel cortile e bastonavano alla cieca.

D’Amblanc esitò.

– Dovete lasciarlo, – disse Léo. – Non c’è più niente da fare per lui.

– Non posso...

Léo fu tentato di mollare entrambi e battersela alla svelta. Treignac lo chiamava dall’uscio in fondo al cortile, scomodando santi e madonne. Léo afferrò il dottore per la spalla e lo scosse.

– Andiamo, diobòno! Farvi arrestare non serve a niente! D’Amblanc tirò su col naso, appoggiò la testa di Jean per terra con inutile cautela. Quindi si lasciò trascinare via per un braccio.

I tre uomini imboccarono la porta che sbucava sugli orti dietro il convento, la stessa da cui era fuggito Yvers.

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