12. Su Orphée d’Amblanc.

Del dottor Orphée d’Amblanc (1758-?), attivo a Parigi negli anni della rivoluzione, si perde ogni traccia a partire dal gennaio del 1795. Il suo nome non compare più in alcun elenco degli esercitanti la professione medica in città, nelle segnalazioni di polizia, nelle liste dei coscritti o dei giustiziati di quegli anni. D’Amblanc è uno dei tanti personaggi «minori» della grande storia risucchiato nei meandri del tempo.

A fronte di questa sparizione, è possibile rinvenire un indizio, ma non già una prova, circa la sua sorte. Lo si trova nell’epistolario del marchese di Puységur, conservato nell’archivio di stato di Soissons, e consiste in una lettera datata 21 dicembre 1799 indirizzata a Puységur da un certo Jean Courier, residente a Fontainebleau, dipartimento della Senna e della Marna:

Caro amico,
concedetemi la familiarità di chiamarvi così, non soltanto per quanto abbiamo condiviso negli anni, ma soprattutto per la gioia che mi invade alla notizia della Vostra ritrovata libertà. Leggere il nome del mittente sulla Vostra lettera dopo tanto silenzio mi aveva già lasciato sperare nelle migliori nuove, ma le parole che avete scritto hanno superato ogni mia aspettativa.
Vero è che il ritorno a casa, agli affetti e alla vita non ripara il torto che Vi è stato fatto, giacché niente potrà risarcirvi. Eppure capisco cosa intendete quando mi scrivete che nessuno in quest’epoca di rivolgimenti e rivoluzioni può dirsi propriamente innocente. Non lo siamo, ne convengo, ognuno ha fatto la propria parte, attore o spettatore poco importa. Ad altri e non già a Voi è toccata una sorte assai diversa, sulla pubblica piazza. Di essere ancora qui, dunque, possiamo rallegrarci, anche se non siamo più gli stessi di un tempo e percorriamo la strada con un altro passo. Diverso il mio dal Vostro, come abbiamo avuto modo di scoprire, e ciononostante, lo voglio credere, in un’unica direzione.
Sono lieto di sapere che la Vostra salute non ha risentito della reclusione e che siete impaziente di rimettervi all’opera. Quanto alla mia attività di cui mi chiedete con grande premura, sappiate che in questi due anni, così come nei due precedenti, le terapie sono proseguite con regolarità e profitto da parte del mio giovane paziente. Egli fa progressi di giorno in giorno. Tuttavia sono giunto alla conclusione che la migliore terapia sia la felicità e la serenità di una crescita equilibrata, ottenute tramite vita sana e buone relazioni d’affetto. La prima è garantita al giovane dalla benevolenza della Signora che ci ospita; le seconde stanno nascendo con il trascorrere del tempo insieme. La stessa padrona di casa ha maturato una grande simpatia nei confronti del giovane. E se non fosse così poco avvezza a trattare con i fanciulli, non avendo avuto figli, si potrebbe ipotizzare che nutra per lui un affetto parentale.
Quanto alla sua educazione, io stesso, come sapete, nei limiti delle mie forze e capacità, mi sono incaricato di impartirgli lezioni nelle principali materie: Filosofia, Matematica, Storia, Letteratura, potendomi avvalere della non piccola biblioteca di questa casa. Così ho la pretesa di coltivare e fare sbocciare in lui quei principi morali e quelle virtù che hanno ispirato le migliori gesta della nostra epoca. Se non lo ritenessi possibile, se dovessi pensare che il sangue e la nascita – e non già la buona educazione e la buona vita – determinano il nostro destino, dovrei allora sconfessare ciò in cui ho sempre creduto. Mi riferisco all’irriducibile fiducia che nutro nella capacità dell’Uomo di trascendere la bestialità, per realizzare fino in fondo la propria natura di animale politico. Se non credessimo questo, se non pensassimo la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini un destino a cui improntare le nostre azioni, allora nessuna delle sfide che abbiamo lanciato alla storia, e con esse nessuno dei nostri sbagli, avrebbe avuto senso. Che questo giovane possa crescere come un cittadino libero tra eguali e un individuo virtuoso rappresenta ai miei occhi la vittoria della Luce e della Ragione sugli avversari di sempre, Tenebre e Brutalità. Se oggi mi si dovesse chiedere se ritengo questo un buon motivo per avere agito come ho agito, assumendo anche il rischio più estremo, ebbene risponderei che esso non è soltanto buono, ma invero anche l’unico. Giacché le rivoluzioni passano, restano gli uomini, che portano sulle spalle l’avvenire.
Più volte, in questi anni, ho rivolto a me stesso il quesito che incombe su quelli come Voi e me, ma si potrebbe dire su ogni altro essere vivente, ogni giorno che trascorre sulla terra. Come possiamo sapere quando facciamo il bene e quando invece, finanche al di là della nostra volontà e intento, agiamo in senso contrario? Ebbene, la verità è che non lo sappiamo. Possiamo soltanto cercare di illuminare la notte che ci circonda con il piccolo lume che reggiamo tra le mani, senza mai desistere.
Ecco dunque, amico mio, o mein Freund, come avrebbe detto il nostro comune Maestro, l’augurio per chi ha ritrovato la propria libertà. Possiate non perdere mai l’intenzione di perseguire la strada della conoscenza e della cura del mondo e di coloro che lo abitano.
Il Vostro leale
nunc et semper
Jean Courier

Share on Twitter Share on Facebook