16. Su Scaramouche.

A partire dal 4 pratile dell’anno III, le guardie setacciarono per giorni il quartiere di Saint-Antoine, ma non trovarono traccia di Scaramouche. Più di un funzionario e ministro termidoriano sospettò di aver pescato nella rete l’alter ego dell’eroe. «Forse non lo sapremo mai», scrisse Fréron al suo collega Tallien.

In ogni caso, i «terroristi» erano vinti e sottomessi. Le scritte «Viva Scaramouche» furono coperte e le autorità termidoriane smisero di preoccuparsi dell’ultimo paladino dei sanculotti.

Nel periodo del direttorio (1795-99) e per tutta l’avventura napoleonica non si registrò più alcuna azione di Scaramouche, e ciò parve dare ragione a chi credeva che l’uomo sotto la maschera fosse morto.

L’eroe non riapparve nemmeno nella congiura degli eguali al fianco di Babeuf, Buonarroti, Darthé e Chauvelin. Tuttavia, lo si trova menzionato nel discorso della pubblica accusa al processo contro «Babeuf e altri», riferimento che sembra dirla lunga su quale turbamento avesse seminato nei poteri costituiti. Il discorso fu letto dal cittadino Bailly durante le sedute dell’alta corte di giustizia del 7, 8 e 9 fiorile dell’anno v (26–28 aprile 1797). Ecco il passaggio dove fa capolino il nostro eroe:

Si, la Francia non sarebbe che un deserto orrendo se la Convenzione, liberata il 9 termidoro, non avesse precipitato Robespierre e il suo abominevole comune nella voragine che essi stessi avevano scavato.
Ma non tutti i faziosi erano periti con lui; sembra che egli abbia lasciato la sua anima in eredità alla coorte che trainava al proprio seguito, e la sua cenere sia destinata a riprodurre, per la sventura dell’umanità, tutti i flagelli di cui siamo stati testimoni.
Questa coorte, che alimenta i vizi e le furfanterie, è tanto feconda di capi quanto lo è di misfatti; è stata opera loro la lugubre farsa di «Scaramouche», lo spregevole assassino di cui si fece apologia sui muri di Saint-Antoine e Saint-Marceau! Ed è stata opera loro il I° di pratile: ricordiamo che il grido d’adunata era «Pane e la costituzione del '93», ma il vero fine era impedire alla Convenzione di dare alla Francia una costituzione repubblicana che fosse saggiamente organizzata.

Nella celebre ricostruzione di Buonarroti Storia della cospirazione per l’uguaglianza, detta di Babeuf, seguita dal processo al quale diede luogo, pubblicata a Bruxelles nel 1828, si legge:

Una numerosa forza pubblica sorvegliava il tribunale; ciascun imputato era tra due gendarmi. La sala era vasta, e il settore riservato al pubblico fu sempre gremito di un popolo che sovente applaudì gli accusati, giammai gli accusatori, fatta eccezione per un batter di mani sarcastico quando [Bailly] qualificò Scaramouche, l’eroe mascherato di Saint-Antoine, come «spregevole assassino», vibrando d’indignazione per le scritte che l’avevano celebrato sui muri di quel foborgo.

Mentre Buonarroti scriveva queste frasi, non poteva sapere che di li a poco lo spettro di Scaramouche sarebbe riapparso.

Durante le «Tre gloriose» (27, 28 e 29 luglio 1830), mentre il popolo di Parigi si scontrava coi soldati di Carlo X, si impadroniva del municipio e costringeva il monarca ad abdicare, i muri della città si riempirono di scritte quali «È tornato Scaramouche», «Scaramouche è con noi», e la più significativa di tutte: «Scaramouche siamo noi».

Nel 1848 il popolo insorse contro un altro monarca, Luigi Filippo d’Orléans. La mattina del 24 febbraio, dopo ventiquattr’ore di rivolta e una notte di sparatorie e violente repressioni, fra gli insorti prese a circolare in migliaia di copie la stampa di una vignetta incendiaria. Vi era raffigurato Scaramouche – maschera a becco, mantello e berretto frigio – intento a cacciare al di là della Manica, con una poderosa pedata nelle terga, un pingue Luigi Filippo. La didascalia recitava: «Va te branler ailleurs!» [Vai a farti delle seghe altrove]. Poco dopo, la folla prese d’assalto le Tuileries e cacciò dalla Francia l’ennesimo re.

Ma per il proletariato di Parigi la rivoluzione non andò come sperato. Il 22 giugno i lavoratori degli Ateliers Nationaux si sollevarono contro il nuovo governo borghese. La rivolta fu duramente repressa, i morti furono circa quattromila, e altrettanti prigionieri furono deportati in Algeria. L’ultima barricata a cedere all’assalto nemico fu quella del quartiere Saint-Antoine. Alcuni dei suoi difensori indossavano maschere da Scaramouche.

Ventitré anni dopo, un foglio della Comune di Parigi si chiamò «Le Scaramouche». Non ne sono sopravvissute copie. Sappiamo della sua esistenza soltanto perché lo nomina Prosper-Olivier Lissagaray nella sua Storia della Comune del 1871, nel paragrafo del capitolo xxv intitolato Passeggiata attraverso Parigi:

Partiamo dalla Bastiglia. Gli strilloni sfondatimpani vendono il «Mot d’ordre» di Rochefort, «Il Père Duchesne», il «Cri du peuple» di Jules Vallès, «Le Vengeur» di Félix Pyat, «La Commune», il «Tribun du peuple», l’«Affranchi», lo «Scaramouche» [...]. Il «Cri du peuple» tira centomila copie. È il primo a uscire: canta insieme al gallo [...]. Non comprate più di una volta «Il Pére Duchesne», benché tiri sessantamila copie. Non ha niente di quello di Hébert. Più echeggiante quest’ultimo è lo «Scaramouche», col suo linguaggio sfrontato, i modi di dire degli operai di Saint-Antoine [...]. La testata è un omaggio al famoso Ammazzaincredibili del '94, di cui si dice fosse un attore italiano. Di chiunque si trattasse, nella rivoluzione di oggi affiora anche il suo ricordo.

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