I.

Adunchi come becchi di rapaci, arrossati dal gelo del mattino, bitorzoluti e tumefatti dal bere. Schiacciati da un colpo di piatto ricevuto servendo la patria o celebrando il dio Bacco. Storti da un pugno ben piazzato in una rissa tra cani che si contendono un osso, una moneta o la fessura d’una donna. Mozzati dal fendente di un creditore o di un assassino maldestro. Larghi e rubizzi, con narici enormi e cavernose.

I nasi hanno tante forme, pensava l’uomo in nero, che nascondeva il proprio dietro il bavero rialzato della giacca e la sciarpa di lana, mentre si faceva largo tra la folla lungo il viale di Buona Novella. Sgomitava, spingeva, e intanto frugava i vólti a uno a uno, in cerca di uno sguardo complice, ma quel che vedeva era solo una siepe di nasi puntati nella stessa direzione, quella da cui doveva giungere la carrozza.

I nasi del popolo lo disgustavano. Grondanti per il freddo, coperti di nei e verruche, quegli organi deformi ricordavano le parti anatomiche di bestie selvagge, benché a un livello più basso della Creazione, buoni soltanto per annusare i miasmi dei bassifondi.

Nulla meglio di quella carrellata di nasi rappresentava la plebe di Parigi.

E forse sarebbe stato più appropriato ribattezzarla Nasonia. Del resto, perché no? Se il mondo veniva messo a testa in giù, tutto diventava possibile, anche cambiare il nome alle città o ai mesi del calendario.

L'uomo in nero era li per impedirlo. O per morire nel tentativo. Dal bordo della strada perlustrava la folla in cerca di una risposta. Dov’erano i volti che attendeva? Possibile che non fossero al loro posto? Possibile che li avessero risucchiati quelle propaggini affamate?

Il percorso terminò a ridosso di una figura alta, anch’essa vestita di scuro, ma di una sfumatura blu notte.

– Non c’è nessuno, a parte quelli, – disse Nero indicando tre uomini nella folla, dall’altra parte della strada. Sotto i tricorni che portavano in capo, uno aveva capelli biondi, un altro grigi e il terzo, visibilmente più anziano, sembrava calvo. – Qualcosa è andato storto.

– Dobbiamo agire comunque, – disse l’altro.

– In cinque?

– C’è nebbia, nella calca può ben darsi che altri...

– «Può ben darsi» è appiglio da poco, mio signore.

– È quello che abbiamo.

– Il piano è scoperto. Ci faremo ammazzare senza scopo.

– Lo scopo lo abbiamo. E se il popolo...

– Il popolo? – sibilò Nero, soffocando la rabbia. – Questa è plebaglia sanculotta. Non vedono l’ora di assistere al macello. Nell’ultimo anno siete stato lontano da Parigi. La città è uscita di senno.

– Ci sarà pure qualche suddito leale...

– Forse. Ma disposto a suicidarsi per noi?

– No, a rischiare la vita per sua maestà!

– Siamo troppo pochi.

– Che fareste, dunque? – domandò il barone. – Lascereste spiccare la testa al re di Francia senza muovere un dito?

Nero tacque. Non sapeva cosa rispondere. E se avesse risposto, avrebbe avuto difficoltà a farsi udire, perché tutto questo se l’eran detti sussurrando, ma ormai i tamburi sovrastavano le voci. Il convoglio apparve in fondo al viale.

Quando la carrozza fu a cento passi, il barone estrasse la sciabola da sotto il pastrano e uscí dalla ressa. Nero lo seguì, e nel mentre fece un cenno ai tre sull’altro lato. Anch’essi uscirono dai ranghi.

Il barone sollevò l’arma e gridò: – Popolo di Francia! Con noi chi vuole salvare il re!

– Salviamo il re! – ripeterono Biondo, Grigio e Calvo.

– Salviamo il re! – gridò Nero, senza smettere di guardarsi intorno.

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