IV.

Se non tutto buona, dunque, ma curiosa e promettente, e nel Ferrari più di una volta quasi perfetta, fu la produzione drammatica dal 1848-49 al 1861, già ci è qua e là apparso che gli attori valsero allora quasi sempre più degli autori: onde, mentre le nostre tragedie e commedie non varcarono le Alpi, li varcarono essi con la fama e con la persona loro, e seppero vincervi aspre battaglie, con vittorie onorevoli alla patria oppressa. Dopo il De Marini, Gustavo Modena; dopo Francesco Augusto Bon, Cesare Dondini e Cesare Rossi; dopo [38] la Internari e la Pelzet, Adelaide Ristori; e con la Ristori, Ernesto Rossi e Tommaso Salvini.

Senza porre odiosi e impossibili raffronti, tutti convengono nella eccellenza e preminenza del Modena. Una mente come egli ebbe, e la dimostrano anche oggi le lettere sue; un animo quale egli ebbe, di patriotta, e lo dimostrano i casi della sua vita; un cuore, quale egli ebbe, di uomo, e lo dimostra l'indomabile amore della giovinetta svizzera che, lasciando gli agi della vita paterna, volle seguirlo su' palcoscenici e nelle campagne di guerra, e fu compagna sua sempre innamorata, e fu per lui innamorata dell'Italia, non mai stanca nel servire i feriti delle nostre battaglie; mente, animo, cuore, cioè un tutto indivisibile di singolare altezza, erano troppo più di quel che occorresse a un attore drammatico. E il Modena fu apostolo e milite di libertà non meno che attore. A lui attore scriveva reverente il Manzoni; a lui oratore eloquente nella Assemblea toscana, cui Firenze lo aveva eletto con oltre diecimila voti, non so se applaudì, ma certo consentì trepidante di commozione, la maggior parte di quel consesso.

Il racconto del come egli rappresentava il Saul non è un aiuto critico, come pochi ne abbiamo, per intendere meglio quella nobile figura dell'Alfieri? E a leggere come declamava dell'Adelchi la narrazione del diacono Martino traverso le Alpi, [39] facendo sentire la solitudine enorme delle valli, e aprirsi al sole sorgente con un crepitìo i coni silvestri de' pini; a leggere come declamava Dante, traendo dal verso possente gli effetti che noi vi rintracciamo, ohimè, con la critica paziente; ci riempie anche oggi di stupore.

Ma egli era nato nel 1803, e la sua figura, voi lo vedete, esce quasi dal quadro commessomi.

Vi rientrano gli altri, il Rossi, il Salvini, la Ristori. Del Rossi solo, perchè morto, mi è lecito parlarvi un po' a lungo; ed anche perchè egli fu ed è il più discusso dei tre. Nè Tommaso Salvini nè la marchesa Capranica Del Grillo hanno davvero bisogno delle mie lodi, e basterà loro, se leggeranno queste pagine, che sappiano come anch'io, con molti di voi, o signore e signori, ho ringraziata la sorte dell'avermi concesso il piacere di ammirare almeno nel tramonto quegli astri che raggiarono fin dal sorgere di tanta luce, e che splenderono così possenti nel pieno meriggio.

Il Rossi, io credo, valse meno di loro: ma forse ebbe più merito a levarsi là dove si levò, perchè mosse di più basso, e si fece con ardore e costanza la via tra ostacoli che essi non ebbero a superare. Basta leggere le memorie nelle quali egli, narrando i suoi Quarant'anni di vita artistica, si rappresentò così al vivo come avrebbe potuto farlo in uno de' drammi che gli piacevano tanto, per [40] sentire la verità di tale mia affermazione. La miseria, la vanagloria infantile, gli studii frettolosi, talvolta le stesse qualità sue gli nocquero; eppure fu e si mantenne a lungo un attore grande. Guardatelo nei principii, quando a Foiano nel 1846 deve fare da Paolo nella Francesca da Rimini, e non ha neppure un po' di vestito: «Aprii il mio bauletto, e dissi a me stesso: - Su, signor abate, pensi, immagini, e trovi qualche cosa per vestire il signor Paolo da Rimini! - fruga, fruga, esamina, trovo un paro di mutande di lana rosse: benissimo! ecco le maglie! un paio di brodequins, ecco le scarpe; ma erano scarpe moderne, e bisognava dar loro una foggia antica: trovo due pezzi di cartone, li taglio a forma di barchette, li cucio e impasto insieme, con della tinta da scarpe li lucido: ed ecco fatto la sopra scarpa! - ma il vestito? - Aveva una giacchetta di velluto nero! ecco il sottabito. - Con uno scialle di falso Cachemir, che la mia povera mamma mi aveva dato per coprirmi dal freddo nel viaggio, faccio una specie di pianeta, tale e quale i preti portano in chiesa per dire la messa: ecco la pazienza. - Alla mia berretta da viaggio, che era di panno nero, levo il tettino, ci metto una penna d'oca: ecco fatto il berretto. - Così vestito, Paolo se ne venne da Bisanzio e dalle guerre sante, disse la bella apostrofe all'Italia, ed il pubblico andò in visibilio.»

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Così fece poi sempre: andò innanzi senza mai timori; baldanzoso, mise il piede, occupò. Ciò che meno in lui mi piacque, un certo tal quale istrionismo, le Memorie mostrano che fu una parte così integrante dell'indole sua, che, senza di esso, non avrebbe potuto mai fare quanto fece. - Faccia franca! - è uno de' suoi motti preferiti; e sarebbe cattivo motto per la vita; ma sul teatro riesce opportuna la prontezza dello spirito.

La Ristori lo ebbe compagno nel 1855, e nelle Memorie dell'uno e dell'altra è compiacenza leggere le lodi reciproche per quelle vittorie contro le gelosie della Rachel, su cui l'attrice nostra ottenne gli onori tanto come attrice quanto come gentildonna: e il Rossi sentiva un po' di onesta gelosia pel trionfo di lei che la aveva seguita contro il consiglio del suo maestro, il Modena. Ma a questo punto del suo racconto rompe in parole che gli sgorgano dal cuore, e fan bene a rileggerle:

«Io stimai sempre la Ristori, l'ammirai sin da giovinetto... più volte mi presi a dispute e battibecchi con critici e pubblico, per difenderla imparzialmente dagli attacchi ingiusti, severi o avventati: l'amai anche come donna, senza mire o scopi indiretti: le fui sempre devoto, e non voglio neanche oggi dirle con la mia penna quanto mi fece soffrire. Ella dimenticò, che io era giovine più di lei: che, entrato nell'arte con tutte le illusioni di una [42] anima non corrotta (che per me tutto era color di rosa e poesia), me ne era fatto un ideale di perfezione: che l'invidia, la maldicenza, l'orpello, l'ipocrisia, erano per me cose ignorate: che la verità, quella verità che non offende, ma che stabilisce i fatti e chiarisce le posizioni, fu sempre la mia guida: che amava io pure di farmi strada, di progredire, di diventare un grande artista come lei; e come era pronto a stenderla, io pure desideravo una mano che mi sollevasse, un braccio che mi sostenesse. Ella nell'ebbrezza della sua felicità non scese nel suo cuore, e glielo perdono per la sua grande arte, che ammirai e ammiro sempre in lei anche oggi, benchè sia vecchia e finita come taluni dicono: ma è tal fine, che potrebbe essere principio a molte e molte attrici, le quali si vollero chiamare di lei maggiori. Povere stolte! e più che stolte, impertinenti!»

La Rachel, andata a sentire la rivale, non ci resse, e al terzo atto della Mirra, afferrando per un braccio il suo cavaliere, se lo trascinò via fuor del palco e del teatro: la Ristori, quando la Rachel, il giorno dopo, aprendo una pericolosa gara, annunziò il suo ritorno sulle scene con la Fedra, prese un palco, ascoltò attenta, tranquilla applaudì.

Aveva ragione dunque il ministro di Sardegna nel fare un brindisi a quegli attori italiani che allora [43] a Parigi così avevan fatto, diceva egli, più assai che una bella rappresentazione d'una bella tragedia.

Signore e Signori,

Nel 1855-56 i due fratelli De Goncourt percorrevano l'Italia pigliando qua e là curiosi appunti con la penna e con la matita. L'impressione conclusiva del loro libro fu questa: «Finale. Pulcinelleria universale di tutto quanto il popolo napoletano, mascherato da Pulcinella, in atto di brandire fantocci di pasta da maccheroni, e che con l'altra chiede la buona mano ai forestieri

Mentre il Piemonte si preparava a combattere insieme con la Francia, virilmente trattando le armi per l'Italia; mentre l'Italia tutta, a chi l'avesse osservata con occhio più acuto, sarebbe apparsa un enorme focolare dove le ceneri mal nascondevano la brace ardente; quegli attori a Parigi ci vendicavano dall'oltraggio immeritato: e lode sia e gratitudine a loro.

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