I.

Fu, prima, ferocissima, la guerra.

Poscia, il saccheggio con la pestilenza.

E siccità distrusse ogni semenza.

E il terremoto devastò la terra.

 

Mostruosi grovigli d'insepolte

vittime scavalcando con demente

rabbia, i vivi, fra lunghe urla sgomente,

abbandonaron le crollate vôlte.

 

E ad uno ad uno caddero per via.

E per giorni e per notti la tormenta

divina imperversò, fin che fu spenta

ogni voce nel mondo in agonia.

 

Di cerchia in cerchia ruinò sperduto

del sole in traccia, come pazzo, il mondo;

nel suo terrore d'astro moribondo

all'altre stelle in van chiedendo aiuto.

 

Ma la celeste rutilante aurora,

per volontà di Dio dal caos balzando,

disse: Pace!...—e le arrise il miserando

regno dei morti e del silenzio, ancora.

 

E pace fu, sopra la terra. Il solco,

sazio di sangue e di midollo umano,

in opulento biondeggiar di grano

risfolgorò, senz'opra di bifolco.

 

E ancor le piante misero le fronde.

E qualche uccello ancor vi pose il nido.

Tutto tornò com'era, a monte e a lido,

al bosco e al prato, in cielo e sovra l'onde.

 

Sol fu distrutto quel che l'uom creò,

la casa, il libro, il quadro, il circo, il tempio,

la macchina: e distrutto egli, con l'empio

suo cuore.—Ma un manipolo restò.—

 

Restò, padrone, in faccia al cataclisma.

Restò, più forte della cieca morte.

—Compagni!... Nostre ormai sono le porte

del tempo!... Assunti dal vermiglio crisma

 

al gran destino, di gladïatoria

possanza i maschi, di superba grazia

le donne,—avanti!...—Il nuovo impero spazia

da nord a sud. Al nuovo impero, gloria!...—