III.

«Libera me da me.»

Infilar presso a te punto su punto

nel tugurio ove ignori e sonno e pace,

o dolorosa, che, se il labbro tace,

riveli il tuo patir nel volto smunto:

 

dell'aratro con te tirar la stanga

per fender solchi che ci diano il pane,

uomo, che tutte le scïenze umane

sai, poi che in pugno sai stringer la vanga:

 

santificar con libero e fraterno

gesto il tuo maglio, o fabbro, il tuo piccone,

o minatore, la tua passïone

umile, o schiavo del travaglio eterno!...

 

Libera me da me, nell'oceanico

tumulto travolgendo il mio rottame

naufrago, umanità, che hai sete e fame

di cuori, a pasto del tuo cuor titanico!...

 

Forse la triste femmina in gramaglie

pesanti, la reclusa che mi mugola

dentro, con tal convulso arrancar d'ugola

che par l'anima schizzi fra tanaglie,

 

tacerà.—Sarò un'altra. Sarò quella

che dona. Sarò l'ombra della vita.

Coglierò fiori con le bianche dita

per alcun che dirà:—Grazie, sorella....—

 

E udrò l'onda del sangue gorgogliare

non solo in me, ma in ogni calda polla

della terra; e fluir, placida, colla

calma d'un fiume che discende al mare.

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