La campagna piemontese.

Nullamento la guerra sembrava proseguire con crescente fortuna. La Francia, già prodiga di consigli, si offriva generosamente compagna all'impresa. Lamartine allora reggente il ministero addensava 60,000 uomini ai piedi delle Alpi, apprestando una flotta nel Mediterraneo; la Svizzera si disponeva a mandare un grosso corpo di volontarii a Milano; però il governo piemontese, temendo il contagio republicano, non solo ricusò ogni aiuto, ma dichiarò che avrebbe considerato come caso di guerra il passaggio di qualunque corpo armato alle proprie frontiere. Un tentativo di sollevazione in Savoia per congiungersi alla Francia venne a dargli ragione. Certo la Francia, intervenendo e cacciando d'Italia i tedeschi, avrebbe chiesto come dieci anni più tardi a compenso i territori di Nizza e di Savoia, questa prettamente francese di geografia e di storia, quella dubbia di nazionalità come molte città di confine, una volta francese, ora piuttosto italiana; e il governo sardo li avrebbe consentiti. Ma nel fermento republicano d'allora e coll'intenzione palese della Francia di costituire nel Lombardo-Veneto due piccole republiche, Carlo Alberto ricusò. All'interesse d'Italia egli, re del Piemonte, prepose naturalmente il proprio: Lamartine, comunicando al proprio ministero la risposta di Carlo Alberto minacciante d'armare i forti della Savoia contro i francesi, esclamò con profetica pietà: «Gl'italiani sono ciechi e dementi!» Quindi la Francia decise di non intervenire che invocata.

Mentre a Milano ferveva l'opera dell'annessione indarno contrastata dai republicani, Radetzky bloccato nel Quadrilatero dall'esercito piemontese sembrava a tutti prigioniero. Carlo Alberto, mal sicuro del proprio ingegno militare, e sempre sospeso in maneggi diplomatici, dopo le fortunate fazioni di Goito e di Monzambano, seguitava a perdere un tempo prezioso in vane ricognizioni contro Peschiera e su Mantova. Così Nugent, mandato da Vienna con grossi rinforzi, prima che gli si possa contendere il passo, guada l'Isonzo indifeso, prende Udine difilandosi su Verona; Belluno e il Cadore si difendono, ma il generale austriaco passa il Tagliamento e, superata una fiacca resistenza di veneti, si accampa a Conegliano. Per questa grave minaccia Carlo Alberto, mutando consiglio, ordina al Durando di passare il Po colle truppe pontificie. Questi, che con inesplicabile negligenza non aveva sloggiato gli austriaci dalla cittadella di Ferrara, avrebbe voluto correre su Venezia; ma Carlo Alberto, poco tenero della salute della nuova republica, gl'impone di marciare sopra Ostiglia per fronteggiare Mantova e coprire i ducati, dei quali spera l'annessione. Il governo di Roma, prevedendo il caso che Durando passasse il Po, aveva cercato una scusa a se medesimo, col risuscitare gli antichi diritti della chiesa sul Polesine soppressi dai trattati del 1815. Nugent manovra per congiungersi a Radetzky, Durando e Ferrari per impedirglielo; questi, battuto a Cornuda con un corpo di volontari, si ritirava a Treviso, Durando accorre per sostenerlo, senonchè Nugent rapidissimo passa la Brenta ed investe Vicenza. Sebbene la piccola e coraggiosa città resista strenuamente, Nugent può unirsi a Radetzky rialzando le sorti d'una guerra che avrebbe dovuto esser vinta per l'Italia. Allora Carlo Alberto, comprendendo finalmente la necessità di tagliare le comunicazioni dell'esercito austriaco colla Germania, si risolve all'azione. Il suo esercito è quasi di 70,000 uomini: 5000 toscani sulla sua destra invigilano Mantova, egli minaccia Peschiera e Verona col disegno di rendersi padrone nel lago di Garda e dei passi alpini. La battaglia si mescola ai villaggi di Colà, Sandra e Santa Giustina per decidersi a Pastrengo: il primo giorno (29 aprile) la fortuna arride agl'italiani, che avrebbero potuto all'indomani sterminare il nemico se Carlo Alberto, essendo di domenica, non avesse voluto che l'esercito ascoltasse la messa prima di riprendere l'attacco; questo ritardo impedì di cogliere i frutti della vittoria e permise al D'Aspre di rifuggirsi in Verona, mentre il generale Manno stringeva vittoriosamente Peschiera e il Sommariva ributtava gli austriaci da Sacca e da Sommacampagna.

Era la prima vittoria italiana, e doveva restare l'ultima.

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