Il nuovo regno non era ancora l'Italia.
Se il principio della nazionalità aveva trionfato, riunendo intorno al Piemonte la maggior parte delle province italiche, Venezia rimasta soggetta all'Austria e Roma sottoposta al papa toglievano alla nazione la coscienza della propria integrità individuale. Attraverso la clamorosa vicenda di tante vittorie si intendevano tuttavia i lamenti di una grande speranza caduta. Un doloroso peccato d'origine turbava la conquista regia anche nella gloria degli insperati trionfi. L'alleanza offerta dalla Francia al piccolo Piemonte e la discesa in Lombardia per cacciarne l'Austria avevano tolto all'egemonia piemontese la simpatica originalità dei primi ardimenti. Quindi la pace imprevista di Villafranca l'aveva umiliata: re Vittorio Emanuele vi era sembrato appena un vassallo, come gli antichi suoi avi, che gl'imperatori si associavano nelle guerre, donando o ritogliendo loro qualche provincia.
Mentre il Piemonte, prima della guerra lombarda, era un minimo stato ammirabile di iniziativa e di patriottismo, che, improvvisando tra le servitù millenarie d'Italia una nuova epoca di libertà costituzionale, si metteva all'avanguardia d'Europa ancora impacciata nei trattati della Santa Alleanza, dopo la guerra lombarda era caduto come un satellite nell'orbita del secondo impero napoleonico. La fortuna delle prime annessioni era così poco bastata a ridargli l'antica libertà che l'impresa garibaldina nel mezzogiorno, raddoppiandogli il problema, lo sottoponeva ora più supinamente all'arbitrio dell'imperatore. Nullameno il fatto nazionale aveva potuto concretarsi in una rudimentaria organizzazione.
La nuova monarchia vincitrice quasi senza vittorie proprie, giacchè nessuna battaglia piemontese era stata decisiva, restava in difetto dinanzi all'Europa e dinanzi alla rivoluzione: per quella, la soggezione alla Francia le toglieva di essere considerata potenza di primo ordine come per grandezza di storia e di territorio avrebbe meritato; per questa, l'abdicazione verso il papa e il vassallaggio a Napoleone le scemavano tristamente la necessaria legittimità.
Il profondo mutamento avvenuto nella storia nazionale cogli ultimi fatti non era ancora abbastanza visibile.
La monarchia piemontese, annullando in se stessa i Ducati e il regno delle due Sicilie, non aveva sollevato la nazione nella modernità di un fatto pari a quello di Francia e d'Inghilterra. Certo la dinastia di Savoia si era mostrata incomparabilmente migliore di ogni altra lorenese o borbonica, ma l'idealità italiana non aveva potuto incarnarsi in essa. Il moto rivoluzionario ispirato da Mazzini e guidato da Garibaldi la trascendeva; la spontaneità popolare, quantunque scarsa, era bastata a sopraffare la sua iniziativa; quindi la sua opera vi era stata più necessaria che benefica, la sua abilità più egoistica che feconda, i suoi guadagni più grossi che legittimi. Nessuna grandezza epica consacrava i suoi trionfi, nessuna superbia di pensiero o di carattere poteva dare alle sue prime parole in Europa quell'accento baldo dei popoli, che si affacciano alla storia. Anzi il suo atteggiamento era anche più umile di prima, le diplomazie le negavano tuttavia il riconoscimento ufficiale, la rivoluzione le rifiutava persino quel rispetto, che tutti i vinti sentono involontariamente pel vincitore.
Garibaldi, malgrado il divieto dell'Europa, aveva potuto conquistare il regno delle due Sicilie; la monarchia, per bloccare l'ultima fortezza di Gaeta, aveva dovuto implorare il permesso di Napoleone III.
Alla servitù austriaca sarebbe quindi succeduto il vassallaggio francese; dopo una politica di schiavi un'altra di liberti; ad una rivoluzione provocata da un'avventura napoleonica e compita da una avventura garibaldina seguirebbe fatalmente una monarchia senza tradizione e senza principii, costretta a ridere dell'idealità rivoluzionaria e a carpire i modi della propria resistenza ad un imperatore, più sensibile ai pericoli che alle vergogne, con poco credito in Europa, senza frontiere a ponente e a levante, con uno straniero nemico sul petto, uno straniero protettore sulle spalle, uno straniero indigeno nel cuore.
Non pertanto il nuovo regno doveva funzionare come se fosse tutta l'Italia: dal 1849 al 1859 si era svolto il periodo della preparazione piemontese; dal 1860 al 1870 si svolgerebbe quello dell'organizzazione nazionale.
I suoi dati ne erano immutabili come in tutti i periodi storici.