Contemporaneamente in Italia il partito mazziniano dava gli ultimi tratti e il papato, quasi presago della fine del proprio regno, riuniva in San Pietro un concilio ecumenico per stabilire il dogma dell'infallibilità pontificia. Il principio dell'autorità divina, rappresentato per tanti secoli da pontefici e da re, doveva necessariamente ripiegarsi, dai campi della politica conquistati dal principio razionalista della sovranità popolare, sul cattolicismo come sulla religione più alta dell'umanità e nella quale il governo diretto di Dio era più evidente. I miti della redenzione di Cristo e della sua delegazione a San Pietro avevano fino dai primi tempi dato alla chiesa un forte carattere monarchico: l'unità da questa assorbita nell'impero romano, la sua intuizione di Roma come centro del mondo, l'importanza acquistatavi grado grado, l'alleanza cogli imperi medioevali, avevano messo il papato al disopra della chiesa stessa in una sfera di autorità che abbracciava tutta la vita umana. Naturalmente il papato vi si sviluppò a monarchia. L'antico principio democratico della chiesa cristiana perì nella sua stessa vittoria sul mondo. I primitivi modi democratici d'elezione dovettero cangiarsi, quando nel troppo vasto e molteplice impero cattolico diventò impossibile ai fedeli raccogliersi regolarmente in comizi per nominare il capo e i maggiorenti della chiesa. Il mondo era troppo immenso e scarso allora di mezzi di comunicazione perchè tale procedura fosse anche solo materialmente possibile.
Quindi più alte necessità teoretiche nelle guerre impegnate successivamente colla decadenza romana, coi barbari, colle eresie, costrinsero la chiesa a sempre maggiore unità di comando. La sovranità del papa vi derivava già dallo stesso concetto monarchico del Dio cristiano: una essendo la rivelazione, una doveva essere la sua interpretazione; la rivelazione essendo stata precisa doveva esserne preciso l'interprete; un concilio di vescovi sarebbe stato fatalmente democratico, e col fluttuare delle opinioni avrebbe scosso la fede nei credenti. Il cristianesimo discendendo dal mosaismo era unitario. Il papato lentamente, irresistibilmente, assorbì tutti i poteri della chiesa: le corporazioni monastiche lo aiutarono nella lotta contro il clero regolare, Roma gli dette tradizione e prestigio di unità, le guerre incessanti della chiesa abituarono amici e nemici a riconoscere nel suo generale supremo il rappresentante assoluto dell'istituzione: quindi il papato crebbe al più ideale e vasto impero, che mai il mondo avesse conosciuto. L'organizzazione gerarchica restringendosi vieppiù, cinse il papa di un senato di cardinali, fra i quali e dai quali solamente poteva essere eletto: i vescovi furono come gli antichi prefetti romani nelle Provincie, i monaci vi rappresentarono gli accampamenti stabiliti dalle legioni, i parroci vi tennero il più minuto governo, mentre tutto si accentrava a Roma, donde il papa con un solo ordine, in una lingua morta e abilmente mantenuta come espressione della prima unità mondiale, poteva imprimere un moto a tutto l'orbe.
Durante il lungo tumulto medioevale il papato per istinto e per ragione fu quasi sempre guelfo, favorendo lo sviluppo dei principii popolari: i suoi pontefici vi esaurirono tutte le varietà dei vizi e delle virtù, delle verità e degli errori, senza che l'istituzione potesse seriamente pericolare. Ma il Rinascimento, sorpassando teoricamente il cristianesimo, diminuì il papato quantunque gli ampliasse il regno. Il mondo fu scoperto più vasto della missione di Cristo, l'universo maggiore della creazione di Dio. Allora la guerra delle eresie si mutò in guerra d'incredulità; il cristianesimo di rivoluzione si cangiò in reazione, il pensiero si sottrasse a ogni dogma, la scienza ruppe tutti i limiti ecclesiastici, la filosofia sorpassò le maggiori altezze delle religioni, il diritto politico ritemprandosi nel diritto naturale tornò democratico.
In questa ultima guerra la vittoria decisiva fu guadagnata dalla grande rivoluzione francese. Il papato vi perì idealmente con tutte le monarchie.
La Santa Alleanza rappresentò la reazione del pensiero cattolico nella coalizione di tutte le monarchie; ma il papato, essendo più alto di loro nella lotta politica e toccando davvero al divino, doveva restringersi in se medesimo per spingere il proprio principio monarchico al disopra di ogni contatto umano, mentre esse cadevano nell'inevitabile ed assurda transazione del costituzionalismo. L'infallibilità pontificale, sempre latente nel cattolicismo, era l'ultima risposta del principio monarchico al principio democratico. Così l'eterno dualismo della storia ritornava alla semplicità dei propri dati. Il concilio ecumenico riunito in San Pietro (1869) compiva l'evoluzione del papato nel momento che l'impero napoleonico, ultima larva dell'impero di Carlomagno, stava per sparire, e il principio democratico di Lutero per trionfare in Germania fondandone un altro. Nelle Spagne l'impero di Carlo V aveva ceduto il luogo ad una republica effimera, arra di republica avvenire; il Sacro Romano Impero non era più a Vienna che un impero eteroclito; solo l'impero russo si dilatava potente di avvenire, e l'Italia riprendeva per un istante il proprio posto all'avanguardia della civiltà disponendosi ad inaugurare in Roma l'èra del diritto popolare.
Infatti il concilio ecumenico, sorpreso dalla rivoluzione, potè appena proclamarvi l'infallibilità del papa; quindi dovette aggiornarsi per essere riconvocato chi sa quando.
Ma se il papato saliva così a più alta sfera di idealità, il suo governo a Roma era caduto dopo Mentana nella più umiliante insignificanza. Roma non era più che un'immortale rovina cinta dal deserto del proprio agro. Le locomotive solcandolo parevano sperdute in un lembo di storia antica tra mandriani vestiti ancora come ai tempi delle Georgiche, e che le guardavano passare nere e fumiganti colla stessa indifferenza dei bufali. Dell'antica università restava appena il vestigio; in essa non si trovava che un solo microscopio di vecchissimo modello; pel gabinetto o laboratorio di fisica non si spendevano che 1151 lire, per quello di zoologia e di anatomia comparata 1347, per l'altro di mineralogia 274, per la biblioteca Alessandrina, l'unica che fosse dello stato, 1453. Mancavano cattedre, professori, libri, studenti. Non più arti, nè artisti all'infuori degli stranieri che vi convenivano a studio; deserto il municipio, mentre nel Vaticano si affollavano prelati di ogni lingua, inconsapevoli dell'epoca nella quale vivevano, e superbi dei ventimila mercenari sbraveggianti per la città.
L'odio della curia romana alla democrazia era minore del suo disprezzo per il regno d'Italia. Infatti le umiliazioni inflitte a questa dall'impero napoleonico per mantenere Roma sotto la sovranità del papa erano poco adatte a far concepire del giovane stato una idea lusinghiera. La stessa ultima lunga crisi ministeriale, dalla quale era uscito finalmente il ministero Lanza-Sella, faceva sperare ai più reazionari fra i prelati una prossima dissoluzione del regno. La fede nella solidità dell'impero napoleonico era loro cresciuta da che la reazione, guidata dall'imperatrice Eugenia, vi dominava maggiormente nella politica; la fortuna nascente della Prussia non inquietava; si sapeva che l'Austria si era risollevata da ben altri rovesci, e che la Francia era intatta. Nell'eventualità di una guerra di questa colla Prussia non solo i voti, ma tutte le convinzioni stavano per una vittoria francese.
I maggiori generali d'Italia non opinavano allora diversamente.