L’appello

Bisognerebbe gettarlo sull’ali di una strofe o tacere.

Coloro che mi seguirono stancamente sin qui nell’aspettazione di una fede, si domanderanno guardando le cime più alte del pensiero su quale di esse sia per spuntare la nuova stella mattutina, da quale scuola, da quale tempio, uscirà la parola redentrice.

Non lo so.

Come tutti ho pensato nell’ombra del mio tempo, e interrogando la mia vita non ne ebbi risposta: non credevo nemmeno di scrivere questo libro, adesso non ne comprendo più bene il motivo.

Mentre l’autunno matura gli ultimi grappoli, il freddo dell’inverno soffia già dalle vette dei monti nella serenità muta dell’alba, che gli uccelli salutano ancora cantando. L’autunno della mia vita è già più innanzi: l’ombra, si è fatta greve, le notti lunghe, i giorni inutili. Coloro, che seminano, non mi riconoscono più, e io guardo le loro mani gettare lungi la semenza col gesto largo della prodigalità, che si appaga nella gioia del momento, dimenticando la fatica dei frutti raccolti, senza nemmeno il bisogno di credere che altri frutti matureranno. Il villano semina nella stagione, vive nel lavoro: dentro la sua fede vi è come una indifferenza ugualmente sicura, le sue speranze sono un crepitio allegro della vita, che passa dentro di lui, e lo solleva un istante come un uccello sull’ali.

Il popolo fu sempre così.

La tragedia del dubbio, i deliri della fede, le disperazioni della incredulità scoppiarono in coloro, che vissero di pensiero chiedendo alla vita il suo segreto. Per essi soltanto la storia esisteva e non bastava. Da qualunque parte si volgesse, il loro spirito sentiva sempre nell’orizzonte un confine, oltre il quale soltanto la luce aveva rivelazioni: qualunque voce ascoltassero vi sorprendevano una parola interrotta; la natura parla, ma il suo discorso ci rimane inintelligibile.

Così lo spirito è un mistero a sè medesimo: i piccoli lo ignorano, i grandi non possono nè ignorarlo, nè comprenderlo, i forti operano nelle sue apparenze e sono i più meritevoli. Quindi si creano una fede, danno un disegno alla natura, una missione alla storia; incerti, costanti, lottano nel bisogno più urgente, per il problema più vicino, verso la meta più eccelsa. La loro forza è nell’oblio dei dolori, che tesserono la vita alle generazioni passate, nella speranza delle gioie, che la vittoria del lavoro prepara domani alla fatica di tutti. Essi domandano una verità come una bussola sul mare: vogliono vivere, e la vita è amore nella generazione, creazione nel pensiero.

Per essi ho cercato di guardare all’alto in questo libro, che non è una guida, ma accenna soltanto nel fuggente paesaggio le vette, sulle quali il sole spunta al mattino o s’indugia al tramonto, i pantani donde sorgono le nebbie dei miasmi, le pianure che si coprono pomposamente di messi. Comunque si torca per ognuno il proprio sentiero, bisogna camminare verso la montagna, dalla quale lo sguardo domina sovrano, e sulla quale la morte ha un’ombra più leggiera. La poesia è lassù.

Adesso che la mia giornata s’interrompe nei crepuscoli della sera, guardo ancora alle cime pensando che sarebbe stato meglio il non discenderne mai, per quanto esse non siano più vicine delle pianure al cielo. Nell’ideale soltanto, sia pure una larva dentro un miraggio, è la bellezza della vita: se qualche cosa può somigliare alla verità, che non sappiamo, è la virtù che dà invece di ricevere e muta i sogni del dolore in opere di pensiero.

Una rivoluzione è cominciata scomponendo tutti gli ordini e rigettando tutte le idee nel crogiuolo: coloro, che prima non chiedevano il perchè di se medesimi, non credono più alle vecchie spiegazioni e cercano in una verità più umana un ideale più divino. Non vi possono essere più assenti dalla storia dopo la proclamazione della sovranità in ognuno, gli istituti antichi sono troppo piccoli per contenere la nuova gente: la chiesa, che vorrà davvero essere cattolica, dovrà aprire più largamente le braccia perchè le anime hanno già aperto le ali.

Se la tragedia non potrà mutare, la sua scena diverrà più vasta e più profondo il suo coro: invece dei re i popoli vi rappresenteranno se stessi, e la voce dei poeti salirà da petti più ampi, con sonorità simili a quelle del vento, quando straccia i rami delle foreste o le onde del mare. L’intuizione, già baleno nei pochi, sarà nella moltitudine lungamente tempesta, prima di quietarsi in una vasta forma, che possa contenerla, come i grandi quadri della natura contengono nella bellezza dei propri limiti il lavoro umano: i conduttori delle genti saranno ben grandi per apparire visibili, quando nessuno vorrà più accettare un ordine ignoto o seguire un capitano anonimo.

La storia universale sta per accordare nel proprio ritmo tutti i popoli: non vi sono più stranieri, domani non vi saranno più barbari. Nella vita, alla quale tutti parteciperanno, il calore fondera gli egoismi più duri, e l’alito battendo sulle faci più alte darà loro una luce di astro.

Accendete dunque tutte le fiaccole, perchè la marcia è già cominciata nella notte, e non temete del fumo: l’alba è vicina.

Il suo rossore somiglierà forse a quello del sangue, ma è sorriso di porpora, che balena dal manto del sole.

Casolavalsenio, 16 Maggio - 21 Settembre 1906.

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