CAP. I. Delle bassure dell’amore moderno.

Il titolo è triste.

Poesia e filosofia ad ogni generazione hanno ripreso il tema dell’amore, quella cantandone la passione e raccontandone i drammi, questa cercando nel suo principio le origini della vita e il segreto della creazione.

Non è nelle intenzioni di questo libro l’andare così lungi e così alto, ma nella poesia tutte le varietà possono ridursi a due modi, la passione della carne e la passione dello spirito: nello spirito a due concetti, l’uno ottimista, riconoscendo nell’amore la forza buona della vita, l’altro pessimista, giudicandolo un agguato teso alla ragione per farle dimenticare colla voluttà irresistibile di un attimo il dolore perenne, e riprodurre così nella specie la vita, che l’individuo subisce senza potere nè accettare nè ricusare in sè stesso. Spremete tutta la poesia dell’amore, e non ne trarrete che una goccia di liquore, più rosso del sangue, più inebriante del vino, o un olezzo etereo d’invisibili fiori: condensate tutte le filosofie dell’amore, e non ne rimarrete che una parola di speranza o di disperazione. Perchè all’indagine della nostra critica e all’intuizione della nostra anima è ugualmente impossibile rompere il cerchio incantato della vita: l’istinto che afferma, la ragione che nega, non potranno mai soverchiarsi tanto che l’affermazione o la negazione sola trionfi.

Ma come in ogni opera vi è una originalità, che atteggia diversamente nello spirito i due grandi fasci di rapporti del pensiero col mondo e del pensiero con sè stesso, così vi è una novità di passione, che mette nell’amore dell’uomo per la donna l’unità di misura per tutte le sue passioni. I grandi poeti si succedono e non si somigliano: che cosa vi è di comune, nell’immutabilità del tema, fra Orazio e Petrarca, Petrarca e Musset? Fra il Cantico dei Cantici e l’intermezzo di Heine, fra l’adulterio di Francesca da Rimini e quello di Anna Karenine? Fra la rivolta di Saffo e quella di madama Akermann?

I naturalisti hanno facilmente catalogato le condizioni dell’amore umano, che per loro era soltanto amore animale: i credenti nella teoria della evoluzione, che ora cade miserevolmente a brandelli, hanno provato tutte le ebbrezze di una scoperta leggendo in Darwin i rapporti della bellezza coll’amore, e più ancora quelli della bellezza colla generazione, e quindi l’attrazione dei sessi dominata dalle loro secrete affinità patema e materna, la selezione involontaria fra i forti e i deboli soltanto per allungare o interrompere un troncone di serie, l’eredità e le sue ripercussioni, le funzioni dei caratteri e i caratteri delle funzioni.

Passiamo oltre.

Senza, discendere a cercare l’amore in tutti i momenti della generazione, o salire alla pura sfera dello spirito, nella quale le anime non hanno più corpo e nemmeno ricordano di averlo avuto, esaminando l’amore sul terreno della vita e nel campo stesso della storia è impossibile non riconoscervi una delle sintesi più profonde ed attive.

Amare la donna significa amare la vita, accettando la responsabilità di essere padre; coloro che per un orgoglio doloroso si vantano pessimisti, non lo saranno, finchè in loro non sia morta davvero la fede alla vita nella passione di amore, giacchè il suicidio quasi sempre, piuttosto che negare, afferma la vita. Senza quel motivo aneddotico di dolore il suicida avrebbe voluto essere tale? risolvendo quel problema la vita non avrebbe mutato aspetto, ed egli il suo giudizio su di essa?

Di tutti i pessimismi il cristianesimo è forse il più profondo, non perchè abbia una soluzione in un altro mondo, ma per l’incomparabile lucidezza nel cercare i più tragici segreti dello spirito e per il coraggio desolato delle risposte. Certamente il poter riprendere ogni tema ed alzare ogni domanda in un mondo divino avrà aiutato il capolavoro del sistema cristiano, ma nell’antichità nulla vi è paragonabile all’infuori di alcuni libri buddistici, e tutto il resto nella poesia e nella filosofia appare fin troppo inferiore al confronto.

Infatti dopo il cristianesimo l’amore mutò. La conquista dell’anima prevalse a quella del corpo, le malinconie dello spirito dominarono i gaudi della carne: la verginità della fanciulla, la castità della sposa furono una necessità di tutti i cuori, non per avarizia di voluttà fisiche ma per passione d’impero spirituale. L’amore era diventato così intenso che escludeva ogni varietà, un inesauribile duetto doveva essere la sua vita e la sua morte. Invano l’animalità immanente nella vita sembrava protestare energicamente, e nello sfacelo di tutte le forme politiche, dentro la bufera di ogni istinto barbarico, vizi e delitti menarono la ridda più sfrenata: l’amore di Dio riparato nei conventi, espresso nell’unica maniera sopravvissuta di letteratura, manteneva l’amore umano alla propria altezza; quindi la vergine e il cavaliero furono i due tipi nuovi del tempo e l’indissolubilità del matrimonio ebbe conforto dalle esigenze del vizio stesso. L’amore orientale greco-romano non si ripete più: la donna ebbe un valore più alto, la gelosia fu più avara. Dalla stessa cortigiana, soggiacendo al fascino della carne, si pretese l’amore dello spirito: amando si volle essere amati, preferiti a tutti, diversamente se non assolutamente. La donna fu un’anima, alla quale bisognava pur sempre arrivare, per quanto il suo corpo trattenesse i desideri o ammansisse le esigenze. La castità divenne la prima virtù della donna, e la fedeltà la prima pretesa dell’amore.

Oggi ancora nella nostra civiltà nevrotica, che pare così scettica ed è ancora così sentimentale, l’amore della carne e il senso della bellezza sono quasi interamente smarriti. Si amano le donne gracili e nervose, nelle quali la gracilità del corpo sembra un segno della delicatezza dell’anima, mentre le forme scultorie non piacciono nemmeno più nelle statue: nessuno piange l’oscurarsi di una bellezza, ma tutti lamentano il tradimento di un cuore. Non vi è libertino abbastanza sincero per accettare la pluralità del possesso nella donna prescelta: l’antica cortigiana, che si svestiva in pubblico offrendo alla sua adorazione la propria bellezza, è divenuta la cortigiana moderna, rosa dalla umiliazione del proprio trionfo, scimmiottante negli abiti, nell’etichetta, nel riserbo aristocratico la donna onesta o la grande signora. L’occidente è spiritualmente monogamo: tutte le sue letterature si aggirano intorno a questo sentimento, la superiorità della nostra lirica amorosa sull’antica non ha altro motivo.

Chi non ricorda Maddalena? Ella era una cortigiana, sulla quale l’amore degli uomini era passato come l’acqua dei torrenti, deponendovi una melma. Cristo la guarda, e da quella melma non spuntano che fiori. Ecco l’amante moderna di tutte le nostre letterature, nella quale l’amore è una improvvisazione irresistibile e una dedizione suprema. Chi se non Maddalena ha messo nel nostro amore tanta bramosia e tanto rimorso di peccato?

La sua passione è la sola che animi ancora l’arte. La grande tragedia è morta e morto pure l’idillio, come se l’aria del mattino non potesse più essere pura e l’ombra della notte non avesse più mistero; la precocità sembra aver spento ogni fede nella giovinezza, l’esperienza non lasciarne alcuna intatta nella vecchiaia. E questo è ancora un carattere dell’industrialismo: i giovani pensano troppo presto che la vita è anche un affare, gli uomini non vi veggono altro: quindi le grandi passioni sono per gli uni e per gli altri una malattia, e le grandi idee visioni di sogno che il contatto della realtà deve dissipare.

Illustri pensatori, più illustri poeti, hanno già dolorosamente affermato che oggi non si ama più. Infatti guardando nell’arte, che è sempre il migliore specchio della vita, la passione d’amore si è ben raffreddata e raffreddandosi oscurata dall’epoca romantica, all’indomani della grande rivoluzione francese e dell’impero anche più grande, quando le anime si sentivano ancora dentro un soffio di bufera, e si precipitavano all’avvenire ardendo nei cieli come tante stelle cadenti. I due massimi motivi dell’amore sono rimasti nella carne e nel danaro; ma la carne non ha nemmeno più bisogno della bellezza, e il danaro non è più bruciato come un incenso dentro i turiboli per la gioia di una vanità regale, bensì litigato in una gara di piccole invidie, di piccoli comodi, di trionfi anche più piccoli: una volta si voleva parere aristocratici, adesso basta sembrare ricchi. Gli uomini, a qualunque classe appartengano, vogliono prima di tutto non avere povera apparenza negli abiti e nella casa: le donne non pretendono più di essere dame, ma signore soltanto: il ritmo e la meta industriale hanno tutto diminuito: pare che non vi siano più motivi a grandi cose, fiamme a grandi passioni. E non è vero.

Perchè grandi cose segnalano tutte le epoche, e le passioni sono così l’essenza della vita, che la sua forza costretta a rigirarsi sopra sè medesima forma un vortice e fa naufragare l’anima. Anche oggi l’amore getta all’esilio, alla galera e alla morte deboli e forti: anche oggi l’uomo vuole essere amato in una pretesa d’impero, dentro una luce d’incantesimo, in uno spasimo di dubbio e di voluttà. Ma l’esilio, la galera, la morte, queste forme eterne della tragedia, sono forse diventate più dolorose in questa gelida diminuzione della poesia, che toglie loro l’estremo orgoglio di essere un olocausto: si è voluto abbassare l’amore, e invece l’amore ha così abbassato la vita: si pretese di essere ragionevoli, imponendo alla vita per regola suprema l’aritmetica, e i conti non tornano più. Il totale non vale le cifre della somma: nella divisione il quoziente non potrebbe più integrarla.

La volgarità dell’amore moderno si torce in questo dramma: la sua sapienza materialista non ha più poesia e tutti i momenti della gamma vanirono; non vi è più l’idillio colle sue frescure virginali, non il meriggio cogli incendi che illuminavano anche il sole, non il crepuscolo colle sue tenerezze umide di lagrime, poi la sera nell’attesa della grande rivelazione.

Il vizio è senza sincerità di appetito e senza eleganza di forma: la donna vi è per l’uomo un motivo di vanità soltanto, un esponente di ricchezza: vale per quante invidie attira al possessore, senza che il possessore sia nemmeno più tale. La donna non vede nell’uomo che un impresario, il quale esporrà al pubblico il suo valore femminile: quindi nè elegge, nè si lascia eleggere, ma coglie o è colta in un affare.

Nella tormenta industriale altrettanto accade al matrimonio: due patrimoni che si associano, una professione e una dote, una dote ed un titolo, o ancora due voracità in cerca di pasti. L’adulterio stesso diminuì: quale poteva infatti rimanere? Il valore dell’adulterio è in ragione del suo dramma: dal momento che la donna non sente più di peccare come sposa e come madre, che cosa sacrifica davvero all’amante? Una posizione e delle convenienze sociali; ma nel concetto industriale una posizione può sempre essere rifatta, e le convenienze sociali sono sempre abbastanza elastiche per non fare troppo soffrire. L’idea dell’adulterio non è già perita nel divorzio? L’indissolubilità del matrimonio non era l’affermazione dell’indissolubilità nell’amore, e senza questa, illusione o verità poco importa, che cosa resta dell’amore?

La poesia del vizio è tutta nella derisione della virtù, ma la satira senza l’amarezza pessimista non è possibile, perchè il pessimismo esprime soltanto una controprova dell’ideale: quindi i viziosi cadono tutti nella credulità delle false forme ideali, e finiscono con 1’affermare in basso colla più oscena contraddizione quanto negarono in alto.

Ma in un periodo storico, quando la fiamma dell’amore si abbassa, tutta la temperatura discende: se l’amore ha paura del sacrificio, l’ambizione indietreggia davanti alle responsabilità: se l’arte vuol divertire il pubblico invece di domarlo affascinato dalla rivelazione di sè stesso, il pubblico applaudirà senza divertirsi, e non si ricorderà di avere applaudito: se la scienza non oblierà sè medesima nello sforzo contro il mistero, utilizzando solo quel poco che potè carpirgli eroicamente, anche questo si corromperà come un alimento mal guardato. Solamente accettando la tragedia della vita e domandando alla donna l’impossibile verità dell’ideale l’amore può rendere meno inconsolabili le proprie catastrofi: bisogna amare coll’anima, perchè il corpo stesso ami: bisogna forse essere casti per sapere e per dire l’ultima parola della voluttà.

Il vizio invece non l’ha mai saputa.

L’amore dentro una donna sola può avere tutte le donne e benedirla nell’oblio momentaneo del dolore; Salomone invece uscendo dall’harem a testa bassa, si lasciò sfuggire questa parola che ha traversato i secoli: la donna è più amara della morte.

Povera, grande, Maddalena di Gesù!

La tua anima era rimasta pura, mentre il tuo corpo rimaneva bello come un diamante immerso nel pantano: forse avevi tutto accettato senza chiedere, abbracciandoti a tutti come un naufrago, e avevi pianto con quelli che piangevano, sorriso coi felici, taciuto coi pochi, che non possono parlare. Adesso ti cercano indarno nelle donne del peccato e dell’amore, nelle adultere che non peccano nemmeno più perchè non hanno più nulla da tradire, nelle cortigiane che vendendosi non possono serbare qualche cosa per farne un dono. Tu eri l’ideale di un tempo messianico, nel quale il peccato aveva impeti profetici come la virtù, e attendeva in una angoscia anche più profonda. La tua mente era ignara, ma il tuo cuore sapeva: le tue mani, che lasciavano stillare gli aromi sul capo dei gaudenti, avevano forse prima accarezzato le piaghe di un povero: i tuoi capelli più ricchi del più ricco diadema e degni di asciugare i piedi di un Dio erano stati lungamente guanciale alla tua testa indolorita. Tu sognavi un amore che togliesse l’amarezza dal sorriso e riaccendesse la lucerna della speranza, ma non chiedevi, non cercavi.

Il Messia verrà, il Messia era venuto.

E i tuoi occhi lo riconobbero prima che la sua voce ti avesse chiamata, e il tuo cuore si prostrò prima ancora delle tue ginocchia: nessuno amò come te, ecco perchè Gesù ti elesse nell’amore umano, e ti rivelò come un segreto ancora ignoto a tutti la propria resurrezione.

Come lui, il divino solitario, non avevi alcuno nella vita, non ricordavi nè genitori, nè fratelli, nè amanti: il tuo amore era stato sterile, come sterile è l’amore divino, perchè la vita non può prorompere che dalla loro unione: ma tu amasti Gesù da lungi, senza pretendere che fosse tuo, felice nel dolore della tua passione, inconsolabile nello spasimo della sua.

Tu eri la donna, tutta la donna, peccatrice e redenta, doppiamente pura nel cuore, che il peccato non aveva potuto corrompere, nel pensiero sognante l’amore di un Dio.

Oggi le donne, che rifanno la tua strada, sognano di te, e gli uomini ti aspettano come tu aspettavi Gesù, ma ingannati dalla lunga attesa l’ingannano bevendo a tutti i bicchieri e a tutte le labbra.

La carne non arde forse ancora abbastanza perchè la fiamma dello spirito si riaccenda: bisogna aspettare.

Ieri Oscar Wilde, il poeta delle mostruose delicatezze, col cuore così dolorosamente vuoto di passione e la mente così piena solamente di sè stesso, non metteva nella bocca di Salomè questa profonda parola: «il mistero dell’amore è più profondo del mistero della morte; non bisogna guardare che l’amore»?

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