CAP. II. Femminismo.

Qualcuno ha detto: un nuovo dolore sta per aggiungersi agli antichi, la donna diventa rivale dell’uomo.

Se così fosse, e la rivalità dei sessi invece di placarsi nell’amore del bambino proseguisse in quella degli interessi dentro la famiglia, certamente il nuovo dolore sarebbe pari ai più grandi già invecchiati nell’anima umana, con un danno più triste ancora del dolore.

Non vi è in tutta la natura differenza più irreducibile che fra l’uomo e la donna: la bellezza, la forza, la struttura, le attitudini, tutto in loro fu così preparato che diventasse vizio nell’uno l’imitazione di una virtù nell’altro; la natura, che aveva fatto nel bambino il più debole fra tutti i neonati, appunto perchè diventando uomo doveva essere il più forte dei viventi, gli pose accanto la donna subordinando in lei le linee del corpo e dello spirito alla maternità. Infatti in lei tutti i contorni sono molli, curvi: le sue spalle, dalle quali il collo spunta con una grazia di stelo, si incurvano leggermente, le mammelle anche vergini tremolano pendule, delicate come un fiore, che una mano basta a gualcire, mentre sui fianchi tutte le linee si allargano appesantendosi con una eleganza, che l’arte non ha quasi mai saputo cogliere. Nei greci l’epurazione della bellezza falsò lievemente la natura nella Venere non abbastanza madre per essere davvero donna: in noi moderni un falso sentimento della bellezza snaturò nel costume e nella figura la donna e la madre. Ma nel suo corpo, che verginità e maternità non possono alterare, tutto è essenzialmente femminile; pare costrutto per rimanere seduto con un bambino sul ventre, le mammelle sospese sulla sua piccola bocca, così enorme è lo sviluppo delle anche, del grembo, più enorme ancora il resto. Invece la linea, che dalle ascelle calando sui lombi e gonfiandosi sui fianchi discende sino alle gambe e si perde nel piede, attenua ai ginocchi ogni rilievo e nella coscia si arrotonda senza una accentuazione di muscolo: il piede è troppo piccolo, scarso il tallone, lievi tutti gli attacchi delle giunture, più delicata la pelle. La donna non può forzare un ostacolo col petto, le sue braccia involontariamente riposano sul grembo, la sua testa si piega sopra una spalla in atto materno: si sente debole e ha bisogno che la bellezza diventi la sua forza; non deve lavorare, i suoi vizi come le sue virtù ripugnano al lavoro. La miseria, la schiavitù antica e moderna possono averla costretta al lavoro sostituendola magari talvolta all’uomo nelle più aspre fatiche, ma il corpo della donna si guastò senza mutare nè di linee nè di attitudini, perchè in lei la maternità assorbiva tutta la vita e tutte le energie fisiche e spirituali. Una malattia sacra sembra in un ritmo lunare prepararla al sacrificio: un sigillo più sacro ancora garantisce la sua verginità come primo ed unico premio all’uomo, che possedendo la donna nella propria vita non potrà mai chiederle altra garanzia della paternità. La donna impiega nove o dieci mesi a partorire, poi diciotto ad allattare, e in tutto questo periodo pur sviluppando le proprie energie sino ai miracoli più impreveduti nella forza e nella resistenza, essa è come una ammalata: tutto la turba, tutto può nuocerle: ogni crisi della sua anima può diventare una malattia nel suo corpo o in quello anche più delicato del bambino. La massima mortalità umana è appunto nel primo tempo: quando dal latte il bambino passa agli altri alimenti, questo secondo periodo non è meno pericoloso del primo, ed esige nella madre una cura più intensa, una vigilanza anche più acuta, mentre ricomincia spesso in lei un altro periodo di gravidanza. La vita femminile rimane chiusa per venti anni in questa orbita, quasi tutto il tempo fecondo del lavoro maschile: calcolando quindi che una famiglia debba avere cinque figli per conservarne tre aumentando la popolazione di questo terzo bambino, contro il quale si addenseranno tutte le sventure e le malattie della vita; calcolando nei venti anni della fecondità materna la differenza di lavoro fra l’uomo e la donna, si sorride involontariamente nel ricordo di coloro che affermano socialmente la donna uguale all’uomo. In quei venti anni di gravidanze, di allattamenti l’uomo per la propria paternità non avrà impiegato che pochi minuti fra il sonno e il lavoro: un impeto del sangue e dell’anima. Come allevatore egli non succede alla madre, se non quando il bambino ha sei o sette anni, e bisogna in lui rilevare la linea virile. Il figlio diventa allora un compagno del padre: la madre invece si ripiega sull’ultimo bambino.

Questo povero quadro umano non ha mai mutato e non muterà.

L’uomo domina sulla famiglia, non perchè vi sia materialmente il più forte, ma perchè la sua paternità è una fede puramente spirituale. La sovranità maschile non ha altra base: la natura non consentì all’uomo la gioia o il dolore di sentirsi veramente padre: invece egli ama, o anche non amando prende una donna, questa partorisce un bambino ed egli per fede nella donna, per pietà del bambino, meglio ancora per un istinto profondo della razza accetta di essere padre. Ma lo è davvero? La sua scienza, la sua coscienza non vanno al di là: la voluttà, che lo sedusse, è la cortina di un mistero; la donna sola può dire al bambino le parole tenere e superbe: tu sei il sangue del mio sangue!

Inutile e falsa ogni ricerca della paternità oltre i limiti segnati dal diritto antico col ratto e collo stupro: la legge non potrà mai sapere ciò che la natura nasconde nel proprio più oscuro segreto, e consentendo alla donna di proclamare il padre nell’amante consacra l’inganno femminile nella più tirannica delle irresponsabilità.

Qualunque possa essere il motivo di questa antitesi nella nostra natura, che l’uomo il più alto rappresentante dello spirito debba, inferiore alla donna, non sapere mai di essere padre, la costituzione della famiglia nella sua ascensione storica non potè mai nè conciliarla nè sopprimerla; l’amore cacciò l’uomo e la donna nella famiglia, il bambino ve li mantenne: la donna dava il latte e il sentimento, l’uomo la forza e il pensiero: la donna preparava l’uomo nel bambino, l’uomo si riproduceva in lui associandolo alla propria vita di lavoro e di combattimento.

Nella nostra modernità la condizione della famiglia non cangiò, anzi la preponderanza dell’uomo crebbe colla spiritualità dell’allevamento; prima nella lotta della vita prevalevano le qualità fisiche, adesso invece soverchiano quelle spirituali. Il padre dunque deve dominare tale allevamento, che l’inferiorità della donna comprometterebbe ancora più colla tenerezza delle proprie virtù che colla falsità dei propri vizi: ma da gran tempo un nuovo dualismo è scoppiato nella famiglia. Un’erronea interpretazione della legge contrappose il diritto di coniuge al dovere di genitore arrivando sino alla proclamazione del divorzio: per contraccolpo l’opposizione fra coniugi, non più sottomessa nel matrimonio religioso ad una autorità divina e nella legge civile ad un dovere sociale, si acuì per l’orgoglio stesso della nuova libertà.

La rivolta dei sessi passava dalla natura nello spirito.

Nell’amore i due sessi inconsapevolmente si estenuano nello sforzo di sopraffarsi: l’uomo vorrebbe lasciare la traccia sulla donna, assorbire la sua anima, avere un impero assoluto sul suo corpo, mentre non passa sovra di lei che come il fumo nell’aria e il serpente sulla pietra. La donna invece resiste nella passività: la sua debolezza trionfa soltanto deprimendo la nostra forza, abbassando la nostra grandezza: mente ed inganna anche nell’amore più acceso, nell’abbandono più devoto: la sua potenza è nella seduzione, quindi aspetta l’uomo all’agguato, nei momenti del desiderio, nelle ore dello scoraggiamento, e gli si promette come un compenso alle imprese, delle quali si sente già venir meno; dissolve colla grazia perfida o voluttuosa di un sorriso i suoi propositi più fieri, con una carezza lieve ed irresistibile solletica e sollecita tutti i suoi vizi. Buona, ha l’incanto futile di un bambino; cattiva, un fascino pessimista, che nega la legge addormentando l’anima come dentro un aroma, facendole sentire nella propria caduta una rivincita contro Dio. Il bambino solo poteva quindi placare il loro antagonismo e risolvere l’antitesi dei genitori, che perdendosi in lui dimenticavano sè medesimi.

Invece una teoria proclamò la donna pari all’uomo, pretendendo per lei pari tutti i diritti, nella casa e fuori, nella natura e nella legge. La nuova vanità femminile si stanca già nella imitazione dell’uomo e della sua opera: vuole percorrere tutte le sue carriere, entra nelle sue scuole, negli opifici, nei giornali, nei libri, ma non nelle caserme, perchè da queste si può dover rispondere ad un appello di morte. Davanti al padre, alla madre, al fratello, al marito la donna non è più che un socio ombroso, che s’irrigidisce per la paura di sembrare sottomesso, affetta l’esperienza e simula il pensiero. Nell’amore non si dà più, discute: un sottinteso piccino ed intrattabile interrompe tutti i suoi giudizi e le sue azioni: la coscienza della inferiorità l’esaspera nella lotta, e mette nella sua vanteria di bimbo una invidia di mediocre.

Perchè la donna non oltrepassa mai la mediocrità.

Lasciamo tutte le ipotesi accumulate dalla medicina per constatare la quantità dell’ingegno, quel cervello di donna che pesava più di quello di Cuvier, il cervello di Bichat atrofizzato in un lobo, e risalendo tutte le serie, per le quali lo spirito umano si manifesta, ovunque e sempre la donna si trova poco oltre il mezzo. La filosofia non le deve alcun sistema, la scienza nessuna scoperta; l’arte nessun monumento: il genio è maschile. La donna imparò e ripetè talvolta ciò che gli uomini avevano fatto, ma non li precorse mai e non li riassunse: le cime più alte del sentimento e dell’idea rimasero inaccessibili alla donna, la metafisica e la musica sono maschili. Quale donna può ergersi di fronte a Hegel e a Beethowen? Quale donna ebbe una potenza di astrazione pari a quella di Keplero e di Gaus? Quale donna fra tante poetesse potè scrivere l’epopea di un popolo? Quale donna si assiderà quinta fra Eschilo e Shakespeare, Dante e Balzac? Che cosa è l’Anguissola davanti a Michelangelo? Giovanna d’Arco in faccia a Napoleone? Caterina di Russia di fronte a Giulio Cesare? Per le donne scienza e filosofia sono appena un dilettantismo: nell’arte non arrivano che al sentimento e all’ingegno: George Sand, la più grande donna del secolo decimonono, come è piccola fra Hugo e Wagner!

Il vecchio sofisma di paragonare le donne illustri agli uomini mediocri, attribuendo alla posizione della donna la sua inferiorità sociale, è peggio che ridicolo, giacchè pari a noi nella forza avrebbero avuto pari lo sviluppo. Invece nè uomini, nè donne illustri sono eccezioni, ma gradi di una scala, anelli di una catena: non si danno eccezioni o casi in natura: quelli che sembrano tali, sono piuttosto capi o tronconi di serie. Bisogna quindi prendere la serie femminile e misurandola colla maschile provare che hanno la medesima base e la medesima altezza prima di affermare che i sessi sono uguali. La storia depone contro la donna: religioni, imperi, civiltà nulla è femminile, benchè questo elemento sia in tutto: invece le donne hanno fallito e falliranno sempre in tutte le opere, nelle quali il sentimento debba essere dominato dall’idea. Ogni sintesi essendo loro impossibile per difetto di astrazione, la politica come serie di pensieri e di atti sintetici, pei quali gli individui spariscono negli interessi e gli interessi nelle idee, lo diventa forse peggio di ogni altra. A tale potenza di astrazione corrisponde naturalmente un sistema muscolare e nervoso, che esse non hanno, e poichè la vita animale non deve disturbare l’esercizio delle altissime funzioni intellettuali, l’uomo che diventa padre in un attimo vi è meglio disposto della donna, che impiega nove mesi nella gravidanza e un anno e mezzo nell’allattamento.

Solamente un grande ironista potrebbe immaginare Danton gravido nelle terribili sedute della Convenzione, o Napoleone nella ritirata da Mosca col re di Roma al petto e disperato di non potergli dare il latte in quel freddo di morte.

Ma vi è qualche cosa per le donne più difficile ancora della metafìsica e della musica, ed è la giustizia. Esse simpatizzano o disprezzano, amano o odiano; l’astrazione morale più alta di quella scientifica rimane loro impossibile: potrebbero forse diventare scrittrici eloquenti o avvocatesse seduttrici, giudici mai. Misericordia, pietà, carità, tutte le forme dell’amore, sono tanti difetti nella giustizia, che è invece la più pura negazione dell’amore.

La giurisprudenza infatti tra tutte le discipline è ancora la meno infestata da prove femminili.

L’invasione delle donne nelle carriere maschili non cominciò quindi da una passione intellettuale, ma dall’orgoglio della nuova libertà.

Nelle famiglie mediocri la smania dell’ascensione sociale diventò una malattia; mentre si proclamava contro l’ozio degli ultimi, decrepiti aristocratici la nobiltà del lavoro, una ripugnanza saliva dall’anima moderna contro il lavoro manuale. Nessuno volle più essere operaio: la genialità dei vecchi mestieri mortificati dalle grandi macchine e dalle più grandi officine non ebbe più seduzioni: le piccole arti femminili divennero umilianti nel cospetto delle donne, che le pagavano, e si sognò di entrare maestra in una classe, impiegata in un telegrafo, cassiera in un negozio, istitutrice in una casa. Non si sentì o si finse di non sentire l’umiliazione di tali uffici, pur di potersi distinguere dal volgo operaio. La vanità e la vacuità della prima istruzione fecero il resto: le professoresse pullularono da un pantano di giornali e di libri femminili. L’arte non poteva soffrirne, ma il pubblico ne fu come soffocato.

Così cresciuto nella scuola e nella stampa, il femminismo si diffuse fra le donne, che non avrebbero più voluto essere tali che in certe ore, ad un brusco richiamo del sesso e del senso: forse un rimpianto della modesta ma tranquilla posizione perduta singhiozzava secretamente nel fondo dei loro cuori; una invidia delle donne veramente donne, seduttrici nella eleganza del lusso o amate nella bontà dell’aiuto devoto, bruciava loro il sangue: ma la politica le attirava come tutti gli spostati, e molte vi si precipitarono affettando una superbia di negazioni scolastiche, fingendo una passione democratica, che era soltanto amarezza plebea.

Adesso il grande problema del femminismo è politico: la donna, proclamandosi pari all’uomo dovrà essere pareggiata a lui nell’elettorato?

Se questo derivasse soltanto da un minimo di capacità intellettuale la risposta non potrebbe essere dubbia; soltanto un vieto orgoglio di privilegio maschile vieterebbe ancora alla donna la funzione legislativa della sovranità. Infatti la concezione democratica, uguagliando gli uomini, abbassò siffattamente il livello della loro capacità che ad essere elettori oramai bastava avere raggiunto la maggiore età. In una febbre di emancipazione e nella insofferenza di tutti i vecchi vincoli non si pensò forse abbastanza alla difficoltà di tale funzione legislativa, affettando di credere che l’istinto vi avrebbe abbastanza bene supplito al difetto di coscienza: e dopo, malgrado i dolorosi risultati della esperienza non si volle, o meglio non si potè più restringere il voto concesso. Accade quasi sempre così nella storia del progresso umano, che le grandi idee e le massime riforme vi trionfano violente e il tempo deve poi, lentamente, faticosamente equilibrarle. Ma un istinto profondo al solito guidava questa rivoluzione dell’elettorato anche là dove le esagerazioni teoriche sembravano maggiormente comprometterlo.

Dichiarando elettori tutti gli uomini in una volontaria dimenticanza delle loro disparità e insufficienze sociali la legge sentiva di riposare sicura non già sulla somma degli individui elettori, ma sulla loro categoria: in questi antagonismi ed antitesi si sarebbero conciliati: l’intelligenza e la volontà superiore dei più colti avrebbe integrato l’incapacità degli infimi, i vizi di una classe sarebbero stati neutralizzati dai vizi di un’altra, la corruzione della violenza da quella del danaro, le improntitudini dei rivoluzionari dalle testardaggini dei conservatori, le demenze degli anomali dal buon senso della massa.

E così fu.

Il suffragio universale maschile può essere stato impolitico nel momento della sua attuazione, come affermava Proudhon, la più vasta mente e la più schietta coscienza rivoluzionaria nel secolo decimonono, ma è vero come idea; il suffragio universale femminile non aggiungerebbe elettori ad elettori, ma opporrebbe una categoria ad un’altra. E poichè il loro numero sarebbe pari e la capacità dispari, la unità della coscienza ne soffrirebbe. Il governo degli uomini dalla Politica di Aristotele alla Costituzione inglese di Bagehot creò una serie di capolavori: il governo delle donne non ne ispirò che uno nella Lisitrata di Aristofane. Non si tratta di affermare spiritosamente che madama di Sevigné avrebbe ben diritto di votare quanto il proprio giardiniere, il quale saprebbe appena sillabare i capolavori della padrona, ma di stabilire se la categoria politica di madama di Sevigné abbia i caratteri, che danno diritto al voto. Se adesso votano i giardinieri, ciò accade perchè la loro categoria maschile ha prodotto recentemente nella politica Cavour e Bismarck, nella scienza Darwin e Wirkow, nella filosofia Hegel, nella storia Taine, nella giurisprudenza Laurent, nell’economia Marx: perchè i suoi poeti si chiamano Hugo, i suoi romanzieri Balzac, i suoi eretici Lammenais, i suoi critici Strauss, i suoi musici Wagner, i suoi scettici Renan, i suoi atei Bukle, i suoi eroi Garibaldi, i suoi generali Moltke, i suoi imperatori Napoleone Perchè la categoria maschile atteggiò tutta la storia del pensiero e dell’opera umana attraverso i sacrifici della barbarie e la passione dello spirito: perchè l’uomo solo ha il dono della creazione e della sovranità, l’uomo solo è capace di dominarsi nella astrazione davanti alla natura e alla storia, portando l’angoscia dei problemi insolubili e volendo l’umano oltre i limiti dell’individuale. Egli è più uomo che padre, più cittadino che uomo: la sua volontà si protende in uno sforzo di suicida che ha bisogno di immolarsi ad una idea. Certamente non tutti gli uomini sono così alti, ma il senso dell’altezza è in tutti.

La donna invece è la garanzia immediata della generazione nell’allevamento, e la sua maternità lunga, difficile, assoluta, respinge dalla, propria orbita tutto quanto minaccia il bambino, o può colpire il figlio: è egoista sino all’eroismo ed al sacrificio, non vuol sentire, non vuol pensare oltre la propria sfera. Se così non fosse diminuirebbe la garanzia della vita nella razza; la famiglia non vi ha altra funzione, nella famiglia la donna protegge il bambino contro tutti. Ecco perchè la natura lasciò in lei prevalere la femmina, mentre nel maschio soverchia l’uomo. La bambina, la fanciulla, la vergine preparano la madre, accumulano la seduzione pel maschio, la forza pel figlio: il resto è contorno, assimilazione di sensi e di fantasia, mimetismo sentimentale ed intellettuale. Quando la donna ripetè la nostra opera, snaturò se stessa.

Per esercitare il diritto sovrano della legislazione bisogna che nel nostro spirito la ragione prevalga al sentimento, e la giustizia alla passione; per compiere il dovere di elettore bisogna poter prima accettare quello di soldato; le donne invece possono ancora meno intendere la guerra che farla. Tutto il loro cuore si rivolta davanti a tale tragica necessità, le loro viscere gridano ancora più forte della loro voce contro questa morte, che il mortale deve imporre al mortale.

In uno dei suoi opuscoli Dumas credette di scrivere eloquentemente così: «La donna non deve essere soldato, perchè ha molto di meglio da fare, e deve partorirlo, ma quando passa un conquistatore e le uccide un milione e ottocentomila figli, se non ebbe come donna il diritto di votare contro questa forma di governo, ha guadagnato come madre per la sua fecondità, per le sue angoscie, per i suoi dolori, il diritto di votargli contro, se volesse tornare». Sciaguratamente avrebbe votato contro anche prima, e l’impero napoleonico sarebbe stato impossibile, e la rivoluzione non uscendo dalla Francia per rovesciare la vecchia Europa feudale non avrebbe creata la moderna Europa democratica. Il milione e ottocentomila figli, salvati allora, sarebbero morti egualmente, ma la storia non avrebbe profittato della loro morte.

Invece la politica eseguisce la stessa ecatombe dappertutto decimando i mestieri, scatenando i vizii e le malattie, la violenza della libertà e della tirannide per raggiungere i propri fini istintivi, quasi sempre in antitesi colle sue necessità immediate. La guerra muta così campi ed armi, non costume: il medesimo legislatore, lo stesso soldato vi sono sempre egualmente necessari.

Non bisogna dunque concedere alla donna più di quanto le si può chiedere.

L’invasione del femminismo nelle carriere maschili si arresterà presto alla resistenza dei maschi, e l’uomo non sarà battuto che nelle più piccole, dove la pazienza e la sobrietà assicurano la vittoria: nelle altre, nelle professioni della medicina, della giurisprudenza, della matematica la donna soccomberà prima ancora che la concorrenza commerciale la sopraffaccia; nell’arte rimarrà un pleonasmo, nella scuola un sostituto senza autorità, se gli scolari non siano più bambini.

Fra una sarta ed una maestra il valore dell’ingegno non può essere dubbio: foggiare un vestito di sopra una bella armonizzando pieghe e colori, aggiungendo una grazia alla giovinezza e un sorriso alla vita, è ben più difficile che da una piccola cattedra sillabare ciò, che in un bel libro scrisse un grande autore.

E le donne lo sentono, perchè gli uomini lo sanno.

La natura non fa duplicati: se un uomo e una donna compiono la stessa funzione, uno dei due ha torto, e poichè l’uomo non potrebbe mai esercitare le funzioni femminili, la donna agisce contro sè medesima, pareggiandosi all’uomo.

La sua sovranità, il suo regno sono altrove.

Bisogna comprendere e spiegare il femminismo nel presente periodo storico come una fra le tante forme sporadiche della democrazia; la prima vanità della coltura fece dispettare il lavoro manuale rivelando così in un nuovo vizio il principio aristocratico dello spirito; ma lo spirito invece riconosce sè medesimo ancora più in un mestiere che nella scimmiesca riproduzione di alcuni schemi.

Senza la donna, tutta donna, il bambino non vive; senza la donna tutta madre, sposa, sorella, figlia, la vita è vuota: l’uomo deve lavorare per tutti nella propria casa, bastare solo a mantenerli, a difenderla. Ecco l’ideale: il resto passerà come un errore, o durerà come una miseria.

L’ideale solo è vero.

Il posto d’onore per uomo sarà sempre sulla fronte di una battaglia armata od inerme, nell’oblio del proprio coraggio, nella esaltazione delle proprie forze; soldato o generale, la sua vita non consente pace; gli bisogna assoggettare la natura, creare la storia. Per la donna il posto di onore è al capezzale di un bambino: lei sola può farlo vivere, mettergli nell’anima i sentimenti che l’egoismo delle passioni non saprà poi soffocare. La donna sterile avrà una maternità spirituale, più profonda forse e più pura: essa può ascendere alla intelligenza dell’opera, se non alla sua creazione.

Dopo aver sedotto l’uomo coll’incanto della propria bellezza o soltanto col fascino della gioventù la donna non può essere che ispiratrice o consolatrice; rivale nel lavoro, antagonista nella carriera, è costretta a disertare la casa, a non sentire che se stessa, e allora inaridisce e si deforma. Il suo danaro costa assai più di quanto vale: può aiutare la spesa, non la vita della famiglia.

I grandi uomini non amarono mai che donne semplici: nessuna delle grandi donne moderne è femminista: la più gloriosa delle scrittrici, George Sand, non seppe nelle analisi femminili de’ suoi romanzi rivelare un solo secreto muliebre.

Davanti ad una donna femminista mi sono sempre ricordato l’amaro motto del poeta: soltanto la bara è abbastanza stretta, perchè una donna non possa sdraiarsi al nostro fianco.

San Paolo ordinava alle donne di entrare velate nella chiesa, perchè la loro bellezza non distraesse gli occhi dell’uomo dalla contemplazione di Dio; ad una dama piccina, che gli chiedeva come una donna potesse diventare grande, Byron rispose: arrivando sino al cuore di un uomo.

Le donne non riceveranno mai nè un complimento più bello, nè un consiglio migliore; non è la donna che ci fece perdere il paradiso, non è lei sola che può farcelo dimenticare?

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