Il Mio Pellegrinaggio

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— Ma lei ci vada — mi disse la signora Ermelinda, un'affittacamere che da molti anni mi onora della sua benevolenza, — ci vada, e vedrà che quando ritorna non avrà parole per ringraziarmi. Ecco il biglietto. Ma faccia presto, corra, altrimenti non arriverà in tempo.

Presi il biglietto, scesi in istrada, salii su una vettura e dissi al vetturino: — A San Pietro!

* * *

Il vetturino, appena il cavallo si muove, incomincia subito a chiacchierare, e fra una frustata e l'altra mi descrive diffusamente le antiche funzioni papali, mi partecipa le ultime notizie della salute di Coccapieller, mi spiega l'interno de Castel Sant'Angelo, avvertendomi che si può anche chiamarlo la mola adriana per via che è tonno; e quando entriamo in piazza Rusticucci, indicandomi con la punta della frusta la più gran cuppola dell'Umanità, mi dice sorridendo come se pregustasse la mia sorpresa: — La vede quella palla che de quaggiù a lei gli pare un merangolo? Be', lì drento per sua regola sappia che ci vanno non meno di sette persone.

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— Ma davvero?

Non meno. — ribadisce il vetturino; poi, felice della mia sorpresa accennando, sempre con la punta della frusta, le due fontane in mezzo alle quali passiamo, continua: — E queste due fontane le vede? Sono due bellissime fontane perenne che le fece fare Sisto Quinto assieme all'obilisco di Nerone: e dice la storia che quanno lui le fece vedere ar re de Napoli, er re de Napoli se crese che fossero finte e disse ar papa... Un cordone di bersaglieri impedisce alla vettura di poter andare più innanzi, ed io son costretto a lasciarla insieme a Nerone, a papa Sisto e al re di Napoli.

Mentre la lascio, il grande orologio del Valadier con la sua voce sonora mi avverte che sono le dieci e tre quarti. Non c'è tempo da perdere: e mi avvio a passo accelerato verso la Sagrestia, davanti alla cui porta ci trovo una folla di preti, frati, monache e seminaristi che si stringe addosso a due «sampietrini».

Aiutandomi coi gomiti mi faccio innanzi insieme ad alcune «figlie di Maria», e presento il mio biglietto a uno dei «sampietrini», il quale appena lo vede mi dice: — Questo nun è bono.

— Come? Non è buono?

No. Lei è un pellegrino e li pellegrini deveno entrà' dar Portone.... — Sfido io!

...de bronzo.

Vado al Portone di bronzo; colà mostro il biglietto a un gruppo di signori in abito nero e cravatta bianca, ed entro. Appena muovo i primi passi nel corridoio del Bernini, uno svizzero mi si avvicina e mi offre una crocetta di panno bianco e una breve [277] carta su cui sono stampate le istruzioni per le udienze pontificie. Ringrazio il pronipote di Guglielmo Hötel, scendo nel vestibolo della basilica, saluto i miei due vecchi amici Carlo Magno e Costantino ed entro nel tempio.

Sotto alla colossale pila dell'acquasanta due gendarmi cór bonettóne a pelo si appoggiano alle loro durlindane. I due putti giganteschi li guardano e sorridono. Alcuni pellegrini con le gambe aperte e con la testa bassa son fermi ad osservare e forse a leggere le iscrizioni che segnano sul pavimento la misura delle principali chiese d'Europa; altri, parlando a voce alta, passeggiano facendo stridere i chiodi delle scarpe sulle pietre lucide e perfino su quel porfido ove un tempo gl'imperatori venivano a farsi incoronare; ma la chiesa è vuota.

— Come mai? — domando a una guardia palatina.

Eh — mi risponde il pacifico armigero, guardandomi dall'alto in basso, — che gli rimane di novo? Non lo sa che ne la gran grandezza tutto pare piccolo e che San Pietro pare sempre vòto? Lei giri e vederà si quanta gente incontra.

Seguo subito il consiglio palatino: mi unisco a parecchi pellegrini sardi i quali camminano adagio adagio, fermandosi di quando in quando a guardare in alto con le bocche aperte, e arrivo alla Confessione ove c'è un brulichio di gente nera che le famose ottantanove lampade di Mattia De Rossi non arrivano a illuminare. Mentre sto ammirando una guardia nobile, che deve essere certamente molto più nobile di quello che pare, arriva un branco di pellegrini d'ambo i sessi guidato da un pretonzolo sul cui volto pallido brillano due cristalli incastrati in due cerchietti d'oro.

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Egli appena si ferma alza subito un braccio verso una delle quattro colossali colonne di bronzo e incomincia a dire: «Questo, signori, è il famoso baldacchino del Bernini. Per costruire questa mole superba il grande artista impiegò un milione ottocento sessantatre mila trecento novantadue libbre di metallo e per dorarla spese quarantamila scudi; circa duecento mila lire della nostra moneta corrente».

I pellegrini manifestano coi gesti e con le parole la loro meraviglia, e il pretonzolo con la voce monotona, come se recitasse una lezione mandata a memoria, continua imperturbabile: «La mole superba che abbiamo dinanzi è alta ventotto metri; e il sommo pontefice Urbano ottavo la inaugurò nel giorno della festa di San Pietro nell'anno milleseicentotrentatre».

Arrivato all'anno milleseicentotrentatre il pretucolo si concede un attimo di riposo; poi girando lentamente intorno a se stesso sempre col braccio alzato ripiglia: «Le quattro statue colossali che lor signori vedono nelle nicchie dei quattro pilastri che sostengono la cupola rappresentano San Longino, Sant'Elena, Santa Veronica e Sant'Andrea. Nella loggia che sta sopra alla statua di Santa Veronica, nelle grandi festività, vengono mostrate alla venerazione dei fedeli le sagre reliquie che fanno sommamente venerabile questa basilica, la quale, oltre alla metà dei corpi dei santissimi apostoli Pietro e Paolo, possiede il santissimo Sudario, la lancia che trafisse il santissimo costato di nostro Signore, un gran pezzo della Croce su cui si compì la nostra redenzione, la testa ed un braccio di Sant'Andrea apostolo, una spalla di San Stefano protomartire, la testa di San Sebastiano, il corpo di Santa Petronilla figlia di San Pietro, ed oltre ad infinite altre reliquie, [279] che sarebbe troppo lungo ora di ricordare, i corpi dei primi dieci pontefici».

Appena compiuta l'enumerazione del tesoro sagro posseduto dalla basilica vaticana, il pretonzolo fa un gesto brusco con la mano aperta come se volesse dire: sbrighiamoci!, e si mette a camminare a passo svelto verso il monumento di Alessandro settimo. Tutti lo seguono; ed io mi avvicino ar Chiavettaro, e, dopo di esser rimasto fermo un momento a guardare la gente che gli si accalca intorno per baciargli il piede, entro nella navata destra. C'è folla. Preti di tutti i gradi, frati di tutte le razze, monache di tutti i colori, contadini di tutti i paesi e pellegrini di tutti gli odori si ammassano sotto al sarcofago di Gregorio decimoquarto, ove, davanti a un panneggiamento di stoffe rosse orlate di una frangia d'oro, veggo biancheggiare da lontano la spalliera di una sedia e riluccicare la punta di qualche alabarda.

Ignorando il programma dello spettacolo mi rivolgo a un canonico e gli chieggo: — Scusi, reverendo, il papa...

— Sì, figlio, viene di qua. — mi risponde lui subito, senza neppure lasciarmi finire la dimanda.

— Ma ritarda! — esclama una donna.

Il canonico cava fuori la sua saponetta, se l'accosta all'orecchia, la guarda e aggrotta le ciglia. Sono le undici e tre quarti.

La ponctualité c'est la politesse des rois. — mormora un signore, sorridendo.

— Sì, ma il papa non è più re, — osservo io.

Il canonico si inchina maestosamente e s'allontana.

E m'allontano anch'io per avvicinarmi a una bella pellegrina, seduta sul dorso marmoreo di una balaustra, nella speranza di poterle dire qualche cosa; [280] ma ohimè prima che io le domandi: «Che vuoi dirmi in tua favella?» essa mi annuncia che il papa non verrà più con le ventole.

— Ma ne è proprio sicura?

— Sicurissima.

Per liberarmi dal dubbio angoscioso fermo un bellissimo «sediaro» roseo e paffuto il quale passa pavoneggiandosi nel suo vistoso abito cremisino e gli chieggo: — Scusi, è vero che Sua Santità non verrà più in sedia gestatoria?

Fijo mio — egli mi risponde alzando il mento e aprendo le braccia — aveva da venì' in sedia; ma pare che abbia cambiato idea.

— E allora come verrà?

In portantina.

— Sarà sempre una bella cosa, però! — insisto io, e il «sediaro» inchina lentamente il capo assentendo; ma storce la bocca.

Dal fondo della navata viene un brusìo confuso: mi volto e veggo su la massa oscura e ondeggiante qualche cosa che brilla.

— È una croce? — domando.

Macchè croce! So' bajonette! — mi risponde subito una popolana alta come un granatiere; e una monachella piccola piccola che, poverina, per quanto provi a rizzarsi sulle punte dei piedi non arriva a veder nulla, commenta con una vocetta deliziosa: — Si lei mi assicura che sono propio baglionette, allora vuol dire che viene lui.

Un rumore di voci bianche e nere, vicine e lontane esclamanti tutte insieme: — Viva il papa-re! Viva il santo padre! — e uno sventolìo prolungato di fazzoletti ci dicono che la monachella ha ragione.

Quando la calma e i fazzoletti rientrano nelle tasche [281] e negli animi dei pellegrini, sotto le volte aurate della basilica enorme si fa un gran silenzio; ed io allungando il collo riesco a distinguere da lontano fra un gruppo di cardinali purpurei, di monsignori violacei, di guardie nobili rosse e di svizzeri multicolori, il sommo pontefice che si soffia il naso.

Dopo un po' ritorno ad allungare il collo e veggo ancora il papa, vestito di una mozzetta paonazza rallegrata da una ricchissima stola d'oro, volgersi con la persona magra ora a destra ora a sinistra, alzando e abbassando le braccia.

Le cose vanno per le lunghe, e intorno a me tutti si dolgono di non poter sentir nulla. Per fortuna la popolana, trovandosi in grado con la sua alta statura di arrivare a vedere qualche cosa, di tanto in tanto ci informa di quello che succede, e a un certo punto con la sua bella pronuncia armoniosa ci dice: — Sapete? Er papa sta a fa' un bellissimo discorso; ma disgraziatamente la voce nun l'assiste!

La monachella che fino ad ora, poverina, per quanti sforzi abbia fatto non è riuscita a poter vedere neppure un pezzetto di papa, abbassa gli occhi e sorride; e la popolana esclama: — Ah, Pio nono! Quello davero era un sommo pontefice! Me ricordo che er giorno de la messa novella quanno s'affacciò a la loggia pe' dacce la benedizione inurbis e torbis disse un orèmuse che s'intese a Monte Cavallo.

Tutti ridono, e una guardia palatina, raccogliendo il discorso della popolana dove essa lo ha lasciato cadere, continua a tessere le lodi dì Pio nono; e di lode in lode, scandalizzando e spaventando la povera monachella, arriva a raccontare le bojate de la notte der sedici lujo, ossia di quella notte memoranda in cui la salma del pontefice al lume discreto e pio de [282] le torce de li preti e al chiarore indiscreto e reo de li bengalli de li frammassoni fu trasportata da San Pietro a San Lorenzo for de le mura.

Quanno fossimo a li novi quartieri — seguita a dire la guardia, commentando le parole con gesti solenni — le serciate se spregaveno. A me me ne passò una qui, che si fortunatamente nun pijava su la schina de Pippo, io nun ritornavo più a casa.

Un lungo applauso tronca sul più bello, con mio rincrescimento, il racconto della guardia palatina; i fazzoletti come uno sciame di farfalle bianche ricominciano a svolazzare sulla folla bruna, e una voce robusta grida: — Viva il sommo pontefice, cattolico, apostolico, romano! — Un lungo batter di mani segue il grido, e quando lo scoppiettìo degli applausi sta per cessare una vocetta stridula di galletto accapponato urla: — Abbasso Umberto! — Due gendarmi cór bonettóne a pelo pongono subito le loro quattro mani inguantate addosso al galletto accapponato e lo portano via, forse per rimetterlo in gabbia. Intanto la folla si riversa correndo nella navata centrale: mi ci riverso anch'io e aspetto con lei il passaggio del papa il quale a dir vero non si fa molto desiderare; difatti dopo qualche minuto di attesa fra due file di guardie palatine col fucile, di svizzeri con le alabarde e di guardie nobili con le scimitarre sfoderate, seguendo un crocifero incominciano a passarci davanti seminaristi con le cotte bianche pieghettate, chierici con le zimarre nere e col roccetto, canonici con le mozzette pelose, prelati vestiti di seta, frati con le tonache di panno ruvido, e cento altre figure con gli abiti di tutte le stoffe, di tutte le forme e di tutti i colori, le quali al loro apparire suscitano la curiosità della folla e provocano commenti [283] bizzarri, motti impertinenti e dimande e risposte spesso ridicole, ma qualche volta anche argute.

Di un signore lungo come una pertica, con le spalle coperte da un ricco mantello di saja scarlatta, sento dire che egli nella Corte pontificia deve avere una carica altissima. Un altro, piccoletto, con la testa grossa, il petto largo e le gambe corte lo sento qualificare per il segretario dei brevi.

Una donna vedendo un vescovo barbuto, con la dalmatica e con una specie di corno dogale in testa, che incede solennemente in mezzo ad altri vescovi imberbi, domanda: — E lui perchè ci ha la barba? — Perchè nun ci avrà avuto tempo de farsela! — le rispondono.

Un signore attempato, vestito di nero come Carlo quinto, che cammina tronfio e pettoruto, lo veggo additare da tutti come un cameriere di spada e scappa.

Un cantore della cappella Sistina dalla chioma grigia lucida, folta e profumata, passandoci accanto, volge verso di noi il suo volto simile a una prugna gialla insecchita e ci guarda con gli occhietti languidi velati di mestizia. — Poveretto! — mormora una donna del popolo — se deve esse' perso quarche cosa!

La processione si ferma un momento come se volesse ripigliar fiato, e si rimette subito in moto.

Un sardo che mi sta vicino, impettito nel suo giubbone di pelle gialla, con la faldetta nera e con le brache bianche entro le ghette di orbace che gli arrivano al ginocchio, rimane sorpreso nel veder passare un bel tipo alto, robusto e rubicondo, in sottana e mantellone, e domanda chi egli sia. Una ragazza gli risponde, non so con quanta ragione: — È uno scopatore segreto.

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Il sardo poco pratico delle diverse qualifiche, più o meno onorevoli, che allietano i componenti della numerosa Famiglia pontificia, credendo che la giovane voglia scherzare, alza le spalle e sorride nella barba ispida e nera; ma un giovinotto voltandosi verso la ragazza le osserva come lo scopatore non possa essere uno scopatore segreto, perchè se egli scopasse veramente in segreto lei non potrebbe saperlo.

Ella si mette a ridere, mostrando per qualche istante fra le sue labbra rosee i denti bellissimi, e si volta subito a guardare la portantina che arriva.

Attorniata da molti svizzeri e guardie nobili, preceduta da un gruppo numeroso di cardinali e seguìta da una folla acclamante, la portantina sostenuta dai «sediari» ci passa davanti adagio adagio. Molti si inginocchiano strillando: — Santo padre! La benedizione! — e, appena veggono uscir fuori dalla finestra della bussola un braccio a benedire, alzano le mani piene di rosarii, di medagliuzze, di immagini sacre e di scapolari perchè la benedizione papale scenda non soltanto su le loro teste, ma anche sui loro «generi di devozione».

La portantina, intanto, fra un ricco e variopinto ondeggiare di rasi, di sete, di saje, di velluti, di frangie, di fiocchi, di pennacchi e di piume, nel quale, tra un velo azzurrino e leggero di incenso, di quando in quando lampeggiano croci e corazze, pastorali e alabarde, candelieri e fucili, si allontana a poco a poco, seguìta dalle acclamazioni; piega a sinistra ed entra nella cappella del Sagramento. Colà, mentre la folla rimane di fuori dei cancelli del Borromini, sempre acclamando e sventolando i fazzoletti, alcuni cavano fuori il papa dalla bussola, gli mettono su le spalle magre un mantello di scarlatto; gli coprono il capo [285] canuto con un cappello rosso, alla don Basilio, e lo accompagnano verso una porticina. Egli vi rimane fermo davanti per qualche istante; poi, mentre tutti si inchinano, vi entra e sparisce.

La funzione è finita.

La gente alza ancora qualche grido che non arriva di certo alle orecchie di musaico degli apostoli e dei profeti i quali ci guardano dall'alto, e s'avvia allegramente, in fretta, parlando a voce altissima, verso la porta spalancata del tempio.

Mentre scendo nel vestibolo della basilica e mi rallegro nel rivedere il cielo azzurro, una donnetta vestita di nero con una lunga mantiglia di seta tagliata all'antica mi si avvicina, osservando le asole della mia giacca e mi dice: — Guardi che lei non ha la croce.

— Ma io non sono cavaliere, — le rispondo: ed essa mettendosi subito un dito sul petto, ove tiene appuntata una crocetta di panno bianco, ripiglia: — No, no, io dicevo di questa: parlavo della croce del pellegrinaggio; — e vedendo che io non capisco mi guarda con gli occhietti acuti e mi chiede: — Ma lei è pellegrino o non è pellegrino?

— Pellegrinissimo!

— E dunque perchè non ha la sua croce?

Non sapendo dirle altro apro le braccia e balbetto: — L'ho smarrita.

— Smarrita?! E le indulgenze?

— Quali?

— Ma come? Non lo sa?

Io accenno col capo di non saper nulla, e allora lei, scandalizzata della mia lagrimevole ignoranza, dopo di avermi detto più volte: — Ma legga, legga il suo biglietto! — se ne va tentennando la testa e [286] scrollando le spalle come se volesse dire: — Ma guardate un po', Signore mio Dio, se che bei tipi di pellegrini vanno in pellegrinaggio per il mondo!

Quando la donnetta è lontana ripesco in una delle mie tasche il biglietto offertomi dalla signora Ermelinda, lo leggo ed imparo che se quella crocetta di panno bianco che lo svizzero mi diede nel corridoio del Bernini, invece di averla regalata poco dopo a un bambino piangente per farlo star quieto, me la fossi appuntata sul petto, io non soltanto avrei lucrato «tutte» le indulgenze, ma sol che lo avessi voluto avrei potuto «applicarle in modo di suffragio anche alle anime sante del purgatorio».

Sarà per un'altra volta!

* * *

Entrando nella via di Borgo Nuovo un ingombro di vetture mi costringe a fermarmi accanto a un gruppo di gente che parla lamentandosi di Sua Santità perchè non è scesa nella basilica in sedia gestatoria coi flabelli; e sento dire a una donna: — Per me er papa è sempre er papa; ma però, si lui non viè' co' le ventole, nun vale gnente.

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