II.

[103]

Un po' prima dell'anno mille era signore di Sora un tal conte Pietro, uomo di pessima vita. San Domenico lo andò a visitare, e il tiranno, tócco dalla divina misericordia, gli si gettò ai piedi chiedendogli la benedizione. Il Santo lo benedisse e lo abbracciò, e allora il conte Pietro gli parlò così: — Tu mi hai ridonato la divina salute; dimmi ora che cosa posso fare per ricompensarti.

E San Domenico, il quale non pensava ad altro che a fondare conventi e già ne aveva fabbricati o fatti fabbricare non so quanti in Umbria, nella Sabina e nell'Abruzzo, gli rispose subito: — Edifica un monastero. — Egli annuì, e l'indomani il Santo ed il conte galoppavano su due cavalli nei dintorni di Sora in cerca del sito più adatto alla costruzione della badia; e galoppa galoppa, quando arrivarono colà ove le limpide acque del Fibreno si gettano in quelle del Liri, San Domenico fermò il cavallo e disse a Pietro: — Ecco il luogo.

Fiat! — rispose il conte, e mentre il Santo se ne partiva per monte Montano a sorvegliare i lavori di un'altra abbazia, egli incominciò subito la fabbricazione del sacro edifizio; ma quando l'ebbe compiuta chiamò il suo maggiordomo e gli disse: — Badi bene che in questo cenobio io non ci voglio uomini.

[104]

Servo a Signoria! — balbettò il maggiordomo intelligente ed inchinandosi uscì.

E così il monastero, che doveva accogliere tra le sue mura i monaci, si cambiò in monastero di monache dove il conte Pietro si recava spesso a pregare.

Ma egli aveva fatto, come si suol dire, i conti senza l'oste. E l'oste che venne a rivedere i conti al conte fu Domineddio in persona, il quale mandò a San Domenico un angelo che, un pochino rosso in volto, lo informò di come andavano le cose nel sacro albergo del conte. Il Santo inorridì; e senza perder tempo ritornò subito a Sora, dove incontrato appena il suo uomo gli disse: — Oh, signor Pietro, a che giuoco giuochiamo?

Il peccatore si fece toccare per la seconda volta dalla divina misericordia e si ritirò nuovamente nel suo castello, e il Santo purificate le mura del monastero, vi chiamò i suoi monaci e ci rimase fino alla morte. Ora il suo corpo sta sepolto sotto l'altare massimo della chiesa, tutto intero, meno un dente che fu recato come reliquia a Cucullo.

Il dente ha oggi una virtù prodigiosa, poichè guarisce, a guardarlo solamente, morsi di cani rabbiosi e punture di vipere; e qui, quando qualche contadino vien punto o morso da uno di codesti animali, prima di correre agliu medeco se ne fugge a Cucullo, dove sa che toccare il prodigioso dente e risanare è tutta una cosa. E laggiù a Cucullo, nel primo giovedì di maggio, si porta in giro pel paese la famosa reliquia, e i contadini e le loro donne la seguono cantando le lodi di San Domenico e attorcigliandosi intorno alle braccia, al collo e alle gambe nude una quantità di serpentelli.

Queste e tante altre cose mi veniva raccontando [105] un pretonzolo di Sora, mio compagno di viaggio, mentre i cavalli della messaggera, scuotendo le ricche sonagliere, trottavano su la via d'Isola del Liri, e io, tutto orecchio nell'ascoltarle, le fissavo nella memoria per indi trascriverle nel mio taccuino, rallegrandomi di aver trovato, mentre mi recavo alla festa di Santo Dominico, un servo di Dio che mi avesse narrato la storia del celebre santuario.

* * *

Quando arrivammo all'Isola del Liri le nove ore della notte battevano all'orologio della torre nera e quadrata dell'antico palazzo dei Boncompagni, e lunghe file di sciarabbà pieni di gente che gridava e cantava salivano di carriera la via delle Forme.

Le Forme sono un'appendice dell'Isola del Liri; una città nuova, che s'allunga fino al santuario. Sessant'anni addietro su la via che dall'Isola mena a Sora, non vi erano che poche e misere casupole di contadini; ma le industrie dei nostri tempi, servendosi a meraviglia delle acque del Liri e del Fibreno, fecero sorgere su le sponde dei due fiumi cartiere, lanifici, molini e ville splendide, che in pochi anni han cambiato quei luoghi, prima squallidi e deserti, in una regione ricca e popolata, piena di attività industriale e commerciale.

Sull'azzurro cupo del cielo s'allungano i pioppi e di tanto in tanto gruppi colossali di platani allargano nell'aria scura i rami fronzuti.

Gli sciarabbà passano di carriera, e i cocchieri, schioccando la frusta, gridano a squarciagola: — Santo Dominico! Santo Dominico!

[106]

Giù in fondo alla via, sul cielo sereno, fra miriadi di lanternine, rosse, gialle e azzurre, rischiarato dalle faci delle baracche, sorge il santuario.

Più si va innanzi, più la folla aumenta, e si cammina a stento fra lunghe file di sciarabbà, di vetture e di carretti, mentre dalle bancarelle, che si seguono numerose, s'alzano canti, grida, squilli di trombe, suoni di tamburelli e d'organetti e s'effondono odori acuti e nauseabondi di ciammaruche (lumache) fritte, di polli arrostiti, di pannocchie di granturco abbrustolite su la bragia, di cacicavallitti e di muzzarelle.

Di tanto in tanto fra i contadini che già presi dal vino saltano furiosamente al suono degli organetti, delle zampogne e delle chitarre, mentre le loro donne battendo le mani cantano con le voci stridule volgari canzoni d'amore, passano file interminabili di pellegrini coi bordoni ornati da sacri amuleti e dalle immagini di San Domenico e della Madonna di Canneto: passano, e aprendosi a stento una via tra la folla festante entrano nella chiesa, si gettano in terra e incominciano le penitenze, trascinandosi con le mani sotto le ginocchia verso l'altare maggiore, segnando con la lingua sul suolo lunghe croci e lasciandosi dietro orribili strisce di bava e di sangue. Ma non tutti hanno la forza di farle le penitenze; poichè molti stracchi, spossati e sfiniti come sono dagli affanni e i disagi del duro viaggio, coi piedi gonfi, rotti e sanguinanti per il lungo cammino, appena toccano con le ginocchia il pavimento del santuario vi si stendono sopra e s'addormentano.

Sui gradini degli altari, dentro e intorno ai confessionali, lungo le balaustrate delle cappelle e accanto alle basi delle colonne, di cotesti sciagurati ne vidi a centinaia distesi come se fossero morti, [107] uomini e donne, vecchi e fanciulli tutti confusi insieme sotto la luce gialla e tremula delle candele che illuminava le loro membra coperte di stracci. Talvolta dai gruppi dei dormienti udii venire qualche lamento. Qualcuno, vinto dagli stimoli della fame, lo vidi destarsi e rompere il digiuno succhiando bucce di meloni e di cocomeri, raccolte da terra. Uno lo vidi correre a bere nella tazza dell'acqua santa.

In fondo alla chiesa, molto grande e tutta bianca, vi sono due scale per salire all'altare maggiore, e fra le due scale v'è la porta per scendere nel sotterraneo ove sta la sepoltura del santo. Vi discesi e lo trovai pieno di pellegrini che si affollavano a baciare una testa scolpita a bassorilievo sul davanti di un altare e a stropicciarvi sopra i loro bordoni. I baci schioccavano sonoramente. Una ricca lampada argentea mandava sprazzi di luce sui sordidi cenci dei contadini, che prima di lasciare il luogo sacro, mormorando preci, abbracciavano e baciavano le colonne tortili che sostengono le volte basse della cripta.

Quando uscii dal sotterraneo una folla di pellegrini che andava verso una cappella, ove sur un tavolino, tra quattro candele, sorgeva la statua di un santo, mi costrinse a seguire una donna, che sorretta da due uomini levava in alto un bambino che le si torceva fra le braccia piangendo. La poveretta appena arrivò dinanzi al simulacro lo baciò; poi, mentre i suoi vicini urlavano lamentevolmente: Grazia! Grazia! Grazia!, si cavò dal petto una pezzuola e dopo di averla strofinata sulla statua la passò più e più volte sugli occhi del suo bambino, mentre quelli che la circondavano, tutti con le mani tese verso la immagine sacra seguitavano sempre a urlare: Grazia! Grazia! Grazia!

[108]

Il povero bimbo era cieco, e la sua mamma per fargli riacquistare la vista era venuta a piedi non so da qual paese lontano, per recarlo davanti a quel pezzo di legno dipinto!

Esasperato dagli urli di quegli esaltati e commosso e turbato dalla vista di tante sciagure mi liberai dalla folla che continuava sempre a gridare: Grazia! Grazia! Grazia!, mi avvicinai alla porta della chiesa, ove un vecchio ben pasciuto, vestito di un sacco nero, scuotendo una scatola di latta piena di soldi gridava con voce imperiosa: — Fate l'elemosina a Santo Dominico! — uscii e, per avere un po' di pace, me ne andai in riva al Fibreno le cui acque inargentate dalla luna correvano sotto amene selvette di pioppi e di salici, fra il delizioso ondeggiare degli effluvii dei mentastri fioriti e il tremolio ininterrotto delle voci stridule dei grilli cantatori. M'ero appena seduto in terra con le spalle appoggiate al tronco scabro di un salice per ascoltare il canto soave di un rosignuolo, quando arrivarono due pellegrini: s'inginocchiarono, e rivolti verso la chiesa con le mani giunte incominciarono a pregare. Dopo un poco il più giovane si alzò, mi venne vicino e mi stese la mano aperta, chiedendomi qualche soldo. — Di dove siete? — gli domandai.

— Di Veroli. — mi rispose.

— E da dove venite?

Da la Madonna de Canneto. — riprese il pellegrino, e soggiunse: — So' quattro giorni, signoria, che jamo cammenenno giorno e notte pe' le montagne!

Gli rivolsi altre domande, ed egli allora mi raccontò come laggiù a Canneto vi sia un fiume con una corrente rapidissima e che passandolo a nuoto nove volte, si lucrano un sacco d'indulgenze; mi disse che [109] addò' ce sta la chiesia ce jesce 'no capo d'acqua gelata, e che insieme coll'acqua ce jesceno melioni de stellucce d'oro, e finì col dirmi che la Madonna di Canneto era sorella bona a Santo Dominico.

Gli chiesi notizia di quei luoghi ove sta il santuario di Canneto, e il contadino me li dipinse efficacemente con queste poche parole: — La chiesia, signoria, sta in fonno a 'na montagna pessima assaie, e loco a terra, ohi mamma! nun vidi 'no pajese!

Quando il giovinetto tornò al compagno, che seguitava sempre a pregare, lo riscosse e gli diede i soldi che io gli aveva regalati, e lui come li ebbe in mano li contò, baciò la terra e si allontanò per andarli a mettere nel bussolotto del vecchio, che gridava sempre: — Fate l'elemosina a Santo Dominico!

* * *

All'alba tornai nel santuario. Le lampade e le candele erano quasi tutte spente e una luce bianca e fresca entrava dalla porta spalancata; qualcuno si batteva ancora il petto innanzi alla statua del santo, e un sagrestano, fischiando, spazzava via dalla chiesa le bucce di melone e di cocomero e le altre molte immondizie che vi avevano lasciato i pellegrini.

Fuori della chiesa, davanti alle baracche, le venditrici insonnolite, avvolte in panni listati di rosso, di giallo e di verde, gridavano con voci rauche, sperando di invogliare i pochi rimasti a comperare ancora qualche chilo di frutta, qualche ciambella, qualche padellata di ciammaruche, e intorno a loro, qua e là sui mucchi di fieno, sotto ai carretti, fra le canestre, gli orci e i barili vuoti molti contadini briachi fradici dormivano profondamente.

[110]

Poco lungi, al di là di un prato umido di rugiada e cosparso di fiori, su la via provinciale passavano di tanto in tanto le diligenze di Sora e Roccasecca coi cavalli sonanti e risonanti di tintinnanti sonagli.

* * *

Prima di partire mi venne il desiderio di comperarmi un ricordo della festa e chiesi a un pellegrino se voleva vendermi un suo bellissimo bordone, ornato di medaglie, di immagini sacre e di stelle lucenti di carta di argento.

Gnornò. — mi rispose seccamente il pellegrino guardandomi con sospetto — Chessa è robba de la Madonna: nun se venne.

— Ti do una lira.

Gnornò, chessa è robba de la Madonna, nun se venne.

— Te ne do due.

Gnornò.

— Se me lo dai te ne do cinque. — ripresi io; ma niente! Il contadino stringeva sempre più tenacemente fra le mani il bordone e ripeteva sempre: Gnornò, gnornò, chessa è robba de la Madonna: nun se venne!

La sua cocciutaggine mi indispettì; cavai fuori dal portafogli una carta da dieci lire, gliela mostrai e tentando un'ultima prova gli dissi: — Se me lo dai ti do questa! — Egli mi guardò rimanendo per qualche istante incerto se dovesse pigliarla o no, poi tremando allungò la mano verso il biglietto; ma come l'ebbe toccato fece un salto indietro; si strinse al petto il bordone, e facendosi il segno della croce se ne fuggì.

[111]

Sarei davvero curioso di sapere quante volle quel povero contadino avrà già raccontato ai suoi amici come qualmente mentre egli si trovava dinanzi alla chiesa di San Domenico, gliu diavolo, vestute da signore, co' 'no cappillitto janco in testa e co' 'na pipparella 'mmocca, che jettava fumo e foco, glie comparì innante e glie disse...

[113]

Share on Twitter Share on Facebook