Capitolo VII. De’ modi di Trasportare l’Acqua.

In tre modi si può trasportare l’acqua, (Tav. XXIII. fig. 5.) o per condotti di fabbrica, o per canne di piombo, o per tubi di creta; ed ecco le regole di ciascuno.

Se per condotti, la fabbrica sia quanto più soda si può, e il letto del medesimo abbia il pendìo a ragione di non meno di mezzo piede per ogni cento di lunghezza; e sia la fabbrica coperta a volta, acciocchè il sole non offenda l’acqua. Giunta questa alla città, si farà un castello, con accanto tre emissarj per ricevere l’acqua: nello stesso castello vanno situate tre cannelle ugualmente distribuite fra gli emissarj; e questi uniti in modo, che soverchiando l’acqua da’ due estremi, trabocchi in quel di mezzo. In questo di mezzo poi si faranno le cannelle per tutti i laghi, e fontane: nel secondo, quelle per i bagni, somministrandone al popolo ogni anno il convenuto, di cui si paga il dazio: e nel terzo, quelle per le case private, ma in modo che non manchi per il pubblico; così non potranno poi rivoltarla, una volta che cominciano da capo gli acquidotti particolari. Ho stabilita questa divisione a motivo, che il dazio, che li riscuote da’ particolari, che ne derivano l’acqua, si paghi agli appaltatori per il mantenimento degli acquidotti.

Che se fra il capo dell’acqua e la città vi saranno fra mezzo de’ monti, allora si farà in questo modo: si cavi lo speco sotto terra, livellandolo colla caduta detta di sopra, e se sarà tufo o sasso, si caverà in esso medesimo lo speco: ma se il suolo sarà terroso, o arenoso, si farà lo speco di fabbrica e a volta, e così si trasporterà; i pozzi si andranno facendo in modo, che l’uno sia distante dall’altro un atto.

Se poi si vorrà trasportare per canne di piombo, (Tav. XXIII. fig. 5.) si farà in primo luogo un castello vicino alla fonte; indi da quello castello a quello, che sarà dentro la città, si tireranno le canne proporzionate alla quantità dell’acque. Le canne poi si debbono gettare non meno lunghe di dieci piedi; onde se saranno larghe cento dita, saranno di peso ciascuna libbre 1200: se di ottanta, libbre 960: se di cinquanta, libbre 600: se di quaranta, libbre 480: se di trenta, libbre 360: se di venti, libbre 240: se di quindici, libbre 180: se di dieci, libbre 120: se di otto, libbre 96: se di cinque, libbre 60. Avvertasi, che le canne prendono la denominazione della grandezza dalla quantità delle dita, che contiene la larghezza della piastra prima di avvoltarsi in tondo; perchè se la piastra sarà di cinquanta dita, anche dopo che sarà ridotta in canna, si dirà di cinquanta, e così tutte le altre.

Questo acquidotto, che si fa per canne di piombo, si regolerà in questo modo: se il capo avrà la giusta caduta per la città, e non vi saranno monti per il mezzo alti sì, che diano impedimento, bisognerà con sostruzioni alzare gl’intervalli a livello, con la regola data negli acquidotti per canali: oppure con circuizioni, se non sarà lungo il giro. Se poi s’interponesse una lunga vallata, si dirizzerà il corso per il pendio, e giunto che si sarà al fondo, vi si farà una sostruzione, ma non alta, acciocchè sia, quanto più lungo si può, il tratto a livello. Questo è quel, che dicesi ventre, e i Greci chiamano chilian. Quando poi si sarà giunto al pendìo opposto, dopo che per il lungo tratto del ventre si sarà leggiermente gonfiata l’acqua, spingerà alla cima dell’altura: che se non si facesse nelle valli questo ventre, nè sostruzione a livello, ma vi fosse gomito, l’urto creperebbe, e scioglierebbe le commessure delle canne. Nel ventre oltracciò si hanno a fare gli sfiatatoi, per i quali possa sfogare la violenza del vento. Così chi condurrà l’acqua per canne di piombo, ottimamente potrà con queste regole formare e le calate, e i giri, e i ventri, e le salite. Per questo motivo ancora, qualora si avrà il livello della caduta dalla fonte alla città, non sarà inutile ogni quattro mila piedi ergere delle castella, perchè se mai patirà qualche parte, non si abbia a scassare tutta la fabbrica, e si possa con più facilità ritrovare il sito danneggiato: questi castelli non si debbono fare nè nelle calate, nè nel piano de’ ventri, nè nelle salite, e generalmente affatto nelle vallate, ma sempre nelle pianure.

Se però si volesse spendere meno nel trasporto dell’acqua, si farà in questo modo. Si facciano doccioni di creta non meno doppi di due dita, e in modo, che da una parte sieno più stretti, acciocchè possa uno entrare, e combaciare dentro l’altro: le commessure poi si hanno a fare con calce stemperata con olio; e ne’ gomiti, che fa il piano del ventre, si deve porre in vece di doccione una pietra di sasso rosso traforata in modo, che tanto l’ultimo doccione della calata, quanto il primo del ventre possano essere commessi in essa: come ancora sieno commessi ne’ buchi dell’altro sasso rosso tanto l’ultimo doccione del ventre, quanto il primo della salita dell’altura opposta.

Regolandosi così la direzione de’ tubi e nelle calate, e nelle salite, non si slogheranno mai; suole in fatti generarsi nell’acquidotto un vento violento sino a crepare i sassi: perciò si vuol dare dolcemente, e a poco a poco la prima volta l’acqua dal fonte, e fortificare i gomiti e le voltate con legature, o con peso di savorra: tutto il resto poi va fatto come per le canne di piombo. Oltracciò, quando si manda per la prima volta l’acqua dal fonte, vi s’immette prima della cenere, perchè con essa si turino quelle commessure, che non saranno forse ben turate.

Hanno tali condotti di creta questi vantaggi. Primo in quanto al lavoro, perchè accadendovi danno alcuno, ognuno è capace di ristorarlo, e poi è molto più sana l’acqua da’ doccioni, che quella dal piombo; sembra in fatti dover essere dannosa quella dal piombo, perchè con esso si fa la cerussa, e questa si vuole nociva a’ corpi umani: onde se questa, che si forma dal piombo, è dannosa, è certo che lo sarà anche esso. Ne possiamo trarre un argomento dagli artefici di piombo, i quali hanno pallida la carnagione, ciò perchè col soffiar che si fa per liquefare il piombo, il vapore, che n’esce, posando sulle membra, e tutto dì bruciando, n’estrae tutto il vigore del sangue: onde parmi che non si abbia a condurre per canne di piombo, se vogliamo avere acqua sana. Che poi sia migliore il sapore da’ doccioni, può ricavarsi dall’uso di mangiare quotidiano, mentre tutti, ancorchè abbiano servizj da tavola di vasellami d’argento, pure ne adoprano di creta per la perfezion del sapore.

Nel caso poi che non vi fossero fonti, onde trasportare le acque, allora è necessario cavare de’ pozzi; e in tali scavamenti non è da trascurarsene la cura, anzi conviene con tutta l’acutezza, e finezza esaminare le proprietà naturali delle cose, mentre molte e varie sono le specie delle terre, che s’incontrano. Ella in fatti è al pari di ogni altra cosa composta di quattro elementi: primo già della stessa terra, dall’acqua poi hai fonti, ha il fuoco, onde nasce il solfo, l’allume, e il bitume, ed ha finalmente potentissimi soffj d’aria, i quali, quando per i porosi canali della terra, giungono pesanti agli scavamenti de’ pozzi, e v’incontrano gli scavatori, otturano nelle loro narici col vapore naturale gli spiriti animali, e chi non è pronto a fuggire, vi muore; per riparare dunque a questo inconveniente, si farà in questo modo. Vi si cali giù una lucerna accesa, e se vi seguita ad ardere, vi si potrà senza pericolo calare; ma se vi rimanesse spenta dalla forza del vapore, allora accanto al pozzo a destra, e a sinistra si cavino degli sfiatatoj, perchè da’ medesimi, come da narici, si sventolerà il vapore. Quando sarà fatto tutto questo, e si sarà giunto all’acqua, allora si ha da circondare il pozzo di fabbrica, ma in modo, che non restino otturate le vene della sorgente.

Se poi fosse il terreno duro, oppure non si trovasse a qualunque fondo vena d’acqua, allora si hanno a raccorre le acque nelle cisterne, da’ tetti, o da altri luoghi superiori. La composizione dello smalto sarà questa: si procuri in primo luogo arena quanto più pura, e più aspra si può: le frombole sieno di selci, nè più grosse di una libbra l’una: la calce sia della più gagliarda, e la calcina sia composta di cinque parti d’arena, e due di calce; e con essa, e con frombole si coprano le mura della fossa profondata a quell’altezza, che si vorrà, e si battano con pistelli di legno ferrati. Battute che saranno le mura, il mezzo, se sarà terroso, si vuoti a livello del fondo delle mura, ed uguagliato che sarà il suolo, dello stesso materiale si copra, e batta il pavimento della stabilita massiccezza. Se si facessero duplicati o triplicati questi luoghi in modo, che si possano da uno in altro tramutare le acque, ne renderebbero molto più sano l’uso; imperciocchè lasciando da sotto al buco spazio, ove posi il fango, rimarrà più limpida l’acqua, e conserverà senza odore il suo sapore: in caso contrario sarà d’uopo mettervi del sale, e così purificarla.

In questo libro ho detto quanto ho potuto della proprietà e diversità delle Acque, del loro uso e trasporto, e come si provino: nel seguente tratterò della Gnomonica, e della costruzione degli Orologj.

Fine del libro ottavo.

Le due sottoposte Tavole sono estratte dal Tom. I. delle Antichità Romane del Piranesi. Una è segnata Tav. XXVII. fig. 1., e rappresenta l’avanzo del Castello delle Acque Claudia, e Anione Nuovo. L’altra è la XI. fig. l. rappresentante la porta di S. Lorenzo, per sopra la quale passano gli Specchi 1. dell’acqua Giulia. 2. della Tepola. 3. della Marcia.

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