Con questi principj dunque si formano i vasi di rame secondo le regole matematiche, giusta la grandezza del teatro: (Tav. XVII. fig. 3. e 4.) cioè a dire di struttura tale, che toccati diano i suoni di quarta, quinta, e consecutivamente sino all’ottava di ottava. Indi formate le celle fra i sedili del teatro, ivi si situano con distribuzione musica, ed in modo, che non tocchino punto il muro, anzi abbiano intorno intorno, e di sopra dello spazio: si pongano anche riversati, e dalla parte, che riguarda la scena, abbiano un sostegno non meno alto di mezzo piede; in fronte a queste celle si lascino delle aperture di sopra il piano del grado inferiore lunghe ciascuna piedi due, larghe mezzo.
Per determinare poi i luoghi, ove si hanno queste a fare, si avrà questa regola. Se il teatro non sarà molto grande, (Tav. XVII. fig. 3. e 4.) si stabilirà il giro alla metà dell’altezza: in esso si facciano tredici cellette distanti fra loro per dodici intervalli eguali; sicchè quei tuoni, che abbiam detto di sopra, che suonano il nete-iperboléo, si situino i primi nelle celle, che sono alle due estremità di una parte, e dell’altra: i secondi, cominciando da’ due ultimi, suonino la quarta, cioè il nete-diezeugmeno: i terzi la quarta, che è il nete-parameso: i quarti la quarta nete-sinemmeno: i quinti la quarta mese: i sesti la quarta, cioè l’ipate-meso: in mezzo finalmente uno, che è la quarta ipate-ipato. Con un tale spediente così la voce, che esce dalla scena, spandendosi attorno, come dal centro, e percuotendo la cavità di ciascun vaso, rimbomberà con maggior chiarezza ed armonia per la corrispondenza dell’accordo.
Ma se la grandezza del teatro fosse maggiore, allora tutta l’altezza della scalinata si divide in quattro parti, acciocchè si formino tre registri di buche a traverso, uno per l’Armonico, il secondo pel Cromatico, ed il terzo pel Diatonico. Il primo cominciando di sotto servirà pei tuoni armonici colle regole dette sopra per il teatro piccolo: in quello di mezzo i primi vasi nelle due estremità del giro saranno quelli, che hanno il suono iperboléo cromatico: i secondi la quarta diezeugmeno cromatico: i terzi la quarta sinemmeno cromatico: i quarti la quarta meso cromatico: i quinti la quarta ipato cromatica; i sesti il paramese, il quale accorda coll’iperboléo cromatico in quinta, e col meso in quarta. In mezzo non vi va niente, perchè non è suono nel genere cromatico, (Tav. XVII. fig. 3. e 4.) che abbia coi detti accordo di consonanza.
Nell’ultima divisione poi, o sia registro di buche, nelle prime all’estremità si pongono i vasi del suono iperboléo diatonico: nelle seconde la quarta diezeugmeno diatonica: nelle terze la quarta sinemmeno diatonica: nelle quarte la quarta meso diatonica: nelle quinte la quarta ipato diatonica: nelle seste la quarta proslambanomeno; in mezzo il mese, il quale accorda in consonanza di ottava col proslambanomeno, e di quinta coll’ipato diatonico. Che se mai volesse alcuno intender meglio queste cose, osservi alla fine del libro la figura disegnata con regole musiche, ed è quella, che ci ha lasciata Aristossene formata con gran sapere e fatica colle divisioni generali de’ tuoni; quindi chi porrà attenzione a queste regole, alla natura della voce, e al gusto degli ascoltanti, saprà più facilmente formare con tutta la perfezione i teatri.
Può forse dire alcuno, che molti teatri si sono ogni anno eretti in Roma, eppure in nessuno di questi si è osservata veruna di queste regole. L’inganno nasce, perchè non hanno riflettuto, che tutti i teatri pubblici, così fatti, sono di legno, e hanno tanti intavolati, che per necessità naturalmente rimbombano. Si può ciò ricavare dal vedere che, quando le mutazioni cantanti vogliono cantare su i tuoni acuti, si rivoltano verso le porte della scena, coll’ajuto delle quali danno rimbombo alla lor voce. Ma quando però si hanno a costruire teatri di materia dura, cioè di cementi, di pietre quadre o di marmo, le quali cose tutte non possono rimbombare, allora è necessario farli colle divisate regole. Se si cercasse ancora, in qual teatro si siano fatte queste cose, dirò, che in Roma non ne abbiamo da poter mostrare, ma bensì in vari luoghi d’Italia, e in molte città de’ Greci. Sappiamo ancora, che Lucio Mumio, smantellato ch’ebbe il teatro di Corinto, trasportò in Roma i vasi, che vi erano di bronzo, e consecrò tutto il bottino al tempio della Luna.
Anzi molti ingegnosi Architetti, fabbricando teatri in città piccole, hanno in mancanza usati vasi di creta dei già detti suoni, e disposti della stessa maniera, i quali hanno fatto ottimo effetto.