Prefazione.

Coloro, i quali hanno, o Imperadore, spiegato in grossi volumi le loro invenzioni e dottrine, hanno dato con ciò ai loro scritti grandissima e singolare riputazione: Dio il volesse, che anche in queste nostre fatiche ci fosse permesso di potere colle amplificazioni accrescere riputazione a questi insegnamenti; ciò però non è sì facile, come si crede. Perciocchè non sono gli scritti d’architettura, come le storie ed i poemi: le istorie da se medesime allettano i lettori coll’aspettativa di nuove e varie cose; i poemi dall’altra parte colla misura e coi piedi dei versi, coll’elegante disposizione delle parole e dei discorsi fra le persone, e col distinto suono de’ versi, allettando i sensi dei lettori, gli tirano senza tedio all’ultimo fine degli scritti. Questo però non può accadere ne’ trattati d’architettura, perchè i vocaboli formati dalla necessità e proprietà dell’arte fanno oscuro il senso per l’insolita maniera di dire. I termini dunque non sono da per se chiari, nè soliti; onde se non si restringono i diffusi scritti di regole, e non si spiegano con brevi e chiare espressioni, s’intrigheranno sempre più le menti dei lettori dalla quantità, e copiosità delle parole.

Queste ragioni mi faranno esser breve nell’esposizione delle voci ignote, e delle simmetrie delle membra delle opere, perchè con facilità si mandino a memoria, e più facilmente possano ritenersi. Si aggiunge, che avendo riflettuto all’occupazion continua de’ cittadini sì nei pubblici, come nei privati affari, mi son sempre più confermato nella brevità dello scrivere, acciocchè potessero intenderlo, anche leggendolo nei brevi intervalli di riposo. Pittagora eziandio, e coloro che seguirono la sua setta, si determinarono a scrivere le loro dottrine con distribuzione cubica: fecero il cubo di dugento sedici versi; e vollero, che non ne dovesse occupare più di tre ciascuna dottrina.

Il cubo è un corpo a sei facce quadrate eguali fra loro. Questo gettato resta fermamente saldo su quel lato, sul quale va a posare, seppur non sia mosso; tali sono i dadi, che i giuocatori gettano sul tavolino. Da ciò pare, che avessero tratta questa somiglianza, cioè, che questo numero di versi, sopra qualunque senso si posi, ivi, appunto come fa il cubo, formi una stabile e salda memoria. Anche i poeti comici Greci hanno diviso il filo della commedia, frapponendovi cori di cantanti; e facendo le parti con proporzione cubica, danno con questi intermezzi riposo ai recitanti. Se dunque sono state queste cose dai nostri maggiori ricavate dalle osservazioni naturali, vedendo io bene, che le cose, che debbo scrivere, saranno insolite ed oscure a molti, ho stimato scriverle in trattati brevi, perchè potessero più facilmente essere da’ lettori capite. Così saranno facili ad intendersi, e in oltre messe in ordine, acciocchè non abbia, chi ne cerca, ad andarle sparsamente raccogliendo, ma possa tutte insieme, ed in ogni libro trovare le dichiarazioni di ciascuna specie di cose.

Siccome dunque, o Cesare, ho esposte nel terzo e quarto libro le regole de’ Tempj, tratterò in questo delle disposizioni de’ luoghi pubblici; e in primo luogo dirò, come si abbia a formare il Foro, perchè quivi da’ magistrati si regolano gl’interessi e pubblici, e privati.

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