Prefazione.

Ebbero gli antichi il savio, ed utile costume di tramandare ai posteri i loro pensamenti per mezzo di scritti, acciocchè non solo non perissero, ma anzi crescendo sempre più col registrarsi in volumi, si giungesse così di grado in grado col tempo all’ultima perfezione del sapere. Non mediocri dunque, ma infinite obbligazioni si debbono avere a costoro, perchè non hanno con invidioso silenzio trascurato, ma tutto al contrario procurato cogli scritti di tramandare la memoria de’ loro sentimenti di ogni genere; che se non avessero così fatto, non avremmo potuto sapere quello, che avvenne in Troja: non le opinioni di Talete, Democrito, Anassagora, Senofane, e di altri fisici intorno alla natura delle cose: non le regole per ben vivere, che prescrissero Socrate, Platone, Aristotile, Zenone, Epicuro, ed altri simili filosofi; neppure quali cose, e come le avessero operate e Creso, e Alessandro, e Dario, ed altri Re sarebbero note, se gli antichi non avessero raccolti i precetti; e col mezzo degli scritti tramandatane la memoria a’ posteri. Quindi, siccome si ha obbligazione a costoro, così meritano all’incontro biasimo quelli, i quali rubando gli scritti altrui gli spacciano per proprj: niente meno che coloro, i quali si servono non de’ veri pensieri degli scrittori, e si gloriano di violarli, non solo meritano riprensione, ma pena ancora per essere empiamente vivuti.

Queste cose per altro si ha notizia, che fossero state esattamente punite dagli antichi: anzi non istimo fuor di proposito rapportare, com’è stato rappresentato a noi un esempio dell’esito di alcuni di questi giudizj. Avendo i Re Attalici, allettati dal gran piacere della filologia, eretta una eccellente biblioteca pubblica in Pergamo, una simile e per lo stesso fine con non minore studio ne raccolse in Alessandria nel medesimo tempo Tolommeo mosso da un sommo zelo e desiderio. Perfezionata che l’ebbe questi colla maggior diligenza, credette ciò non bastare, se non procurava ancora di andarla aumentando propagandola quasi per mezzo di semenze; onde istituì de’ giuochi in onore delle Muse, e di Apollo, stabilendo, a similitudine degli atleti, premj ed onori a’ vincitori ne’ pubblici scritti. Quindi all’avvicinarsi del tempo de’ giuochi si dovevano eleggere de’ giudici letterati per dare i voti: ne aveva già scelti sei il Re nella stessa città, e non ritrovandone prontamente un settimo capace, domandò a’ custodi delle biblioteca, se ne conoscevano alcuno abile a ciò fare: gli riferirono esservi un certo Aristofane, il quale con somma fatica, e diligenza andava ogni giorno leggendo i libri tutti l’uno dopo l’altro; onde nell’adunanza de’ giuochi, fra le sedie separate de’ giudici, sedè anche Aristofane nel luogo designatogli.

Uscita dunque alla prima la schiera de’ Poeti a recitare le loro composizioni, il popolo tutto con segni dava a divedere a’ giudici quello, che gli piaceva: furono questi nel dare il parere al numero di sei concordi, assegnando il primo premio a chi conobbero essere più piaciuto al popolo, ed al secondo il secondo: Aristofane però domandato del suo parere, pretese dichiararsi il primo colui, ch’era meno di tutti piaciuto al popolo. Essendosi di ciò e il Re, e tutti fortemente sdegnati, si alzò egli in piedi, e con preghiere ottenne, che lo lasciassero parlare: fattosi silenzio dimostrò, quello solo essere poeta, mentre gli altri tutti avevano recitate cose altrui; e che dovevano i giudici giudicare non de’ furti, ma delle composizioni. Perchè rimase il popolo meravigliato, e il Re dubbioso, fidato egli alla sua memoria, cavò da certi armari infiniti volumi, e confrontandoli coi recitati, ridusse i compositori a confessar da per loro d’avergli rubati; laonde il Re ordinò, che si procedesse con querela di furto, ed essendo stati condannati, diede loro vergognoso sfratto, ed onorò all’incontro Aristofane con grandissimi doni, e colla prefettura della biblioteca.

Capitò alcuni anni dopo dalla Macedonia in Alessandria Zoilo, il quale prese il cognome di flagello-d’Omero, e recitò al Re le composizioni fatte contra l’Iliade, e l’Odissea: Tolommeo però vedendo, che il padre de’ poeti, e il capo di tutta la filologia era, perchè assente maltrattato, e che erano di costui criticati i libri di uno, che era da tutte le nazioni venerato, andato in collera non gli diede risposta: Zoilo bensì trattenutosi molto in quel regno, oppresso dalla miseria dette supplica al Re, che gli facesse somministrare qualche cosa: or si narra, che il Re rispose, che se Omero morto già da mille anni aveva per tutto questo tempo dato da vivere a molte migliaia di persone, doveva molto più Zoilo potere mantenere non che se solo, ma anche più persone che non manteneva colui, il quale egli si vantava superare nel talento. Si vuole in somma, benchè con varie circostanze, ch’egli fosse stato condannato a morte come parricida: alcuni cioè scrissero, che fu da Filadelfo fatto morire in croce, altri lapidato, altri gettato vivo nel fuoco in Smirne: ma in qualunque di queste pene egli fosse mai incorso, degna sempre fu e meritata; non sembra in fatti poter meritare meno colui, il quale critica coloro, da’ quali non si può ora più sentire, quale sia il giusto senso de’ loro scritti.

Io perciò, o Cesare, nè pubblico questo libro col nome mio, cambiando i titoli d’alcun altro, nè ho pensato d’acquistar credito col criticare altri: sono bensì infinitamente tenuto agli Scrittori tutti, i quali avendo in varj tempi impiegato il talento e la fatica, chi in un genere, e chi in un altro, hanno ammanniti copiosi materiali, da’ quali prendendo noi, come acqua da’ fonti, e derivandola al proprio intento, abbiamo più feconde e più spedite facoltà, volendo scrivere; e avvalendoci delle fatiche di questi autori, ci avanziamo a scrivere cose nuove. Così io servendomi de’ principj, che ho trovati in costoro confacenti al mio proposito, ho intrapreso d"andar più avanti.

In primo luogo Agatarco, mentre Eschilo insegnava in Atene la tragedia, faceva le scene, e ne lasciò un trattato: presero motivo da costui Democrito, e Anassagora per farne un secondo: come cioè si debbano, secondo il punto di veduta e di distanza, far corrispondere ad imitazione del naturale tutte le linee a un punto stabilito, come centro, e ciò perchè con una cosa non vera si possano nelle scene rappresentare immagini di edifizj veri, e benchè dipinti sopra facciate dritte e piane, sembrino alcune allontanarsi, ed altre avvicinarsi. Diede dopo di questi un volume delle proporzioni Doriche Sileno: Teodoro del tempio Dorico di Giunone, che è in Samo: Tesifonte poi e Metagene del tempio Jonico di Diana che è in Efeso; e dell’altro anche Jonico di Minerva, che sta in Priene, Fileo: Ittino, e Carpione parimente scrissero del tempio Dorico di Minerva, che è nella Rocca di Atene: Teodoro Foceo della cupola, che è in Delfo: Filone delle simmetrie de’ tempj, e dell’arsenale, che era nel porto di Pireo. Ermogene del tempio Jonico pseudodiptero di Diana in Magnesia, e dell’altro monoptero di Bacco in Teo. Scrisse similmente Argelio sulle simmetrie Corintie, e sul tempio Jonico di Esculapio in Tralli, il quale si crede anche fatto di sua mano. Del mausoleo ne scrissero Satiro e Fiteo, i quali ebbero certamente grandissima fortuna; mentre i lavori di coloro, che si crede che avranno eternamente grandissime lodi, hanno dato infinito ajuto alle loro invenzioni. Prese in fatti ciascun artefice a gara la cura di ornare di buon gusto la sua porzione in ogni prospetto, e furono Leocari, Briasse, Scopa, Prassitele, ed alcuni vi credono anche Timoteo: la somma eccellenza nell’arte de’ quali fece meritare a quell’opera d’esser posta nel numero di una delle sette meraviglie.

Hanno oltra di questi molti altri, ma meno celebri, scritto i precetti delle simmetrie; quali furono Nessari, Teocide, Demofilo, Polli, Leonide, Salinione, Melampo, Sarnaco, Eufranore: molti sulla meccanica, come Cliade, Archita, Archimede, Ctesibio, Ninfodoro, Filone Bizantino, Difilo, Democle, Carida, Poliido, Firo, ed Agesistrato. Dai libri di tutti questi ho raccolto, e ridotto in un corpo tutto quanto vi ho trovato di utile in quella materia; e ciò tanto più, che ho veduto essere su di essa stati dati molti volumi da’ Greci, pochissimi dai nostri: poichè Fussizio fu il primo, che dette fuori un eccellente volume su questa materia: parimente Terenzio Varrone scrivendo delle nove scienze scrisse un libro sull’Architettura: Pubblio Settimio due: fuori di questi mi pare, che nessun altro fin’oggi abbia preso a scrivere in questa materia, nonostante che vi sieno stati anticamente grandi architetti nostri cittadini, i quali avrebbero potuto scriverne con non minore eleganza; in fatti i fondamenti del tempio di Giove Olimpico, che faceva costruire in Atene Pisistrato, furono gettati dagli architetti Antistate, Callescro, Antimachide, e Porino: dopo la morte di Pisistrato, per le varie vicende della Repubblica, si sospese la fabbrica: onde dugento anni dopo in circa, avendo il Re Antioco promesso di somministrare egli la spesa per questa fabbrica, fu un cittadino Romano, nominato Cossuzio, l’architetto, che disegnò eccellentemente e la grandezza della cella, e la distribuzione delle colonne intorno in forma di diptero, e de’ cornicioni, e degli altri ornamenti con grande accuratezza, e sommo sapere; e questa opera non solo è generalmente celebrata, ma numerata fra le rare per la magnificenza. In quattro soli luoghi in fatti sono tempi ornati di marmo, i quali sieno con grandissima fama celebrati coi nomi proprj de’ luoghi, dell’eccellenza, e delle belle invenzioni de’ quali sonosi compiaciuti fin’anche gli Dei.

Il primo è il tempio di Diana in Efeso d’ordine Jonico principiato da Tesifonte di Gnoso, e dal suo figliuolo Metagene, compito poi da Demetrio servo della stessa Diana, e da Peonio d’Efeso. Il secondo è il tempio d’Apollo in Mileto d’ordine parimente Jonico edificato dal nominato Peonio, e da Dafni di Mileto. Il terzo è il tempio Dorico di Cerere, e di Proserpina in Eleusina, la cui cella fu da Ittino fabbricata di smisurata grandezza per più comodo esercizio de’ sacrifizj, e senza colonnato esteriore; e questo stesso, a capo di tempo, cioè quando dominava in Atene Demetrio Falereo, lo ridusse Filone a prostilo, avendovi situate delle colonne solo nel frontespizio d’avanti: e con allargare così il vestibolo non solo aggiunse comodo per gl’inizianti, ma anche infinita maestà alla fabbrica. In Atene finalmente si narra, che fosse stato Cossuzio l’architetto del tempio di Giove Olimpico, ornato con quantità di modinature, e con quelle simmetrie e proporzioni Corintie, delle quali abbiamo parlato sopra. Di costui non si è trovato scritto alcuno: nè è che manchino solo gli scritti di Cossuzio su quella materia, ma anche quei di Caio Muzio, il quale col suo gran sapere tirò colle vere leggi dell’arte le proporzioni e della cella, e delle colonne, e de’ corniciamenti ne’ tempj dell’Onore, e della Virtù presso i trofei di Mario: opera, la quale se fosse stata di marmo, ed avesse perciò avuto non solo la finezza dell’arte, ma ancora il merito dalla magnificenza e dalle spese, sarebbe nominata fra le prime, e le più eccellenti.

Giacchè dunque pochi ne abbiamo di quei molti nostri tanto antichi; quanto moderni eccellenti architetti al pari de’ Greci, che abbiano scritto degl’insegnamenti, non ho stimato di passarla ancor’io sotto silenzio, ma anzi di trattare di ogni cosa, ciascuna nel suo libro. E poichè ho nel sesto libro date le regole per le Case Private, in questo, che è il settimo, tratterò dei Pulimenti, e della maniera, come possano avere bellezza, e durata.

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