Dovendosi mettere in opera quelle colonne, si cavi pei fondamenti fino al sodo, e su il sodo si alzino a quella larghezza, che richiede l’opera, e tale fabbrica debbe essere da per tutto fortissima. Sopra terra poi si alzino sotto alle colonne i muricciuoli di larghezza per una volta e mezza delle medesime, acciocchè le parti di sotto sieno più ferme di quelle di sopra: chiamansi questi muricciuoli stereobate dal sostener che fanno i pesi: lo sporto delle basi non deve eccedere il sodo: la grossezza del muro superiore dee regolarsi nell’istessa maniera; il suolo poi che rimane fra i medesimi, dee essere occupato o da volta, o da terrapieno ben battuto, acciocchè si tengano raffrenate le mura. E se mai non si troverà il sodo, ma il luogo sarà tutto sino in fondo di terra smossa oppure paludoso, in tal caso si cavi, e si voti sino ad un certo segno, e poi vi si faccia una palizzata di travi d’alno, d’olivo, o di quercia abbrustolati, conficcandoli bene con battipali, quanto più contigui si può, e rimanendovi dei vani si riempiano di carboni: indi si riempia della più forte fabbrica il resto dei fondamenti: compiti questi si situino a livello i piedistalli, e sopra i medesimi si distibuiscano le colonne colle regole dette di sopra, cioè ne’ Picnostili colla regola de’ Picnostili, e colle respettive proprie regole ne’ Sistili, Diastili, ed Eustili, scritte di sopra: negli Areostili solo evvi la libertà di situarle a quella distanza, che piace: sempre però nelle fabbriche, che hanno colonnati attorno, si hanno a distribuire le Colonne in modo, che vi sia ne’ fianchi il doppio degl’intercolunnj, che sono nella fronte; perchè così la lunghezza della fabbrica sarà doppia della larghezza. Hanno perciò sbagliato coloro, che hanno fatto il doppio delle colonne, perchè viene ad esservi nella lunghezza un intercolunnio più del dovere.
I gradi, che si fanno nella fronte, debbono essere sempre di numero dispari; perchè così se si sale il primo grado col piede destro, quello anche viene ad esser il primo, che si pone sul piano del Tempio. L’altezza del grado stimo che non debba esser maggiore di dieci oncie, (Tav. X. fig. 1.) nè minore di nove, perchè così non sarà faticosa la salita: il piano de’ gradi non dee farsi minore di un piede e mezzo, nè maggiore di due; e se si vorranno fare de’ gradi attorno attorno al tempio, si faranno della stessa maniera. Ma se attorno al tempio, cioè per tre lati, vi si volesse alzare un parapetto, questo si farà in modo, che lo zoccolo, il tondino, il dado, la corona, e la cimasa corrispondano colle membra del piedistallo, che è sotto la base delle colonne.
Il piedistallo si ha da tirare in modo, che abbia pel mezzo sporti a guisa di scannelli risaltati; (Tav. XIII. fig. 4.) che se sarà tirato a filo, parrà accanalato. Ma come si abbiano a fare proporzionati questi scannelli, si vedrà nella dimostrazione, e nella figura posta alla fine del libro.
Ciò fatto, si situino le basi ne’ proprj luoghi: la loro proporzione giusta è, che l’altezza, (Tav. XII. fig. 2.) compreso il plinto, sia quanto mezzo diametro di colonna; e un quarto del diametro l’aggetto, che i Greci dicono Ecforan: onde sarà tutta la base per lungo, e per largo un diametro e mezzo di colonna: l’altezza, intendo dell’Atticurga, si divida in modo, che resti nella parte superiore quanto è un terzo del diametro della colonna, il resto di sotto rimane per il plinto. Lasciando dunque da parte il plinto, si divida il resto in quattro parti: di queste una l’occupa il bastone superiore, e le altre tre si dividano in due, una sia pel bastone di sotto, l’altra pei listelli e canaletto, che i Greci dicono Trochilon .
Ma se la base vorrà farsi Jonica, allora le proporzioni saranno queste: la larghezza della base da ogni parte sia quanto il diametro della colonna, con un quarto e un ottavo di più: l’altezza del plinto, quanto quello della base Atticurga: ma quel che resta del plinto, che sarà la terza parte del diametro della colonna, si divida in sette parti: di queste sette, tre sono del bastone superiore, e le restanti quattro si dividono egualmente in due, una è del cavetto superiore coi suoi astragali e listello, l’altra resta pel cavetto inferiore, il quale in tanto parrà maggiore, perchè il suo aggetto giunge sino all’orlo del plinto. Gli astragali saranno un ottavo del cavetto: e lo sporto della base sarà in ciascun lato tre sedicesimi del diametro.
Compite e situate le basi, vi si debbono alzar sopra le colonne, quelle di mezzo, sì della fronte, che delle spalle, a piombo sul punto di mezzo: ma quelle degli angoli, e tutte quelle che saranno a filo delle medesime, tanto a destra che a sinistra si hanno a situare in modo, che la centina interiore, che riguarda il muro della Cella, sia tirata tutta a piombo, l’esteriore solamente si ristringa colle regole dette di sopra. Così sarà di giusta proporzione il ristringimento di tutta la figura del tempio.
Situati che saranno i fusti delle colonne, (Tav. XII. fig. 3. 4.) rimangono i capitelli: lo scompartimento di questi, se sarà a piumaccio, o sia Jonico, si farà colle seguenti proporzioni. L’abaco ab si faccia di lunghezza e di larghezza, quanto è il diametro, e un decimo ottavo di più: l’altezza poi gc, compresevi le volute, la metà della larghezza. Dall’estremità a dell’abaco si deve andare in dentro, e tagliare una diciottesima e mezza ad per determinare le fronti delle volute: indi a’ tagli dell’abaco, specialmente del suo listello si tirino i piombi de, detti Cateti. Tutta l’altezza go si divide in nove parti e mezzo: di queste una e mezzo resta per l’abaco gf, e delle altre otto se ne formano le volute. Indi da ciascuna linea calata come sopra per gli angoli dell’abaco, detto Cateto, distante una parte e mezzo in dentro, se ne calino delle altre; ciascuna di queste si divide poi in maniera, che rimangano sotto l’abaco quattro parti e mezzo; e in questo luogo, che sparte le quattro parti e mezzo dalle altre tre e mezzo, si segni il centro dell’occhio h: con questo centro, e con un diametro eguale a una delle otto parti, si tiri un cerchio, e questa sarà la grandezza dell’occhio, in cui si tiri un diametro ad angoli retti del cateto. Cominciando indi dalla parte superiore sotto l’abaco, in ogni girata di quarta di cerchio si scemi mezzo diametro d’occhio, e così si faccia finchè si ritorni all’istessa quarta, che corrisponde sotto l’abaco.
La grossezza del capitello deve esser distribuita in modo, che delle nove parti e mezzo ne rimangano tre sotto l’astragalo del collarino, ed il resto rimane per la cimasa, o sia ovolo, abaco, e canale: lo sporto dell’ovolo eccederà quello dell’abaco per quanto è una grandezza dell’occhio. I cingoli 5. del piumazzo hanno d’avere tale sporto fuori dell’abaco, che posta che sia una punta del compasso in quel punto m, che segna una quarta parte del capitello, e l’altra si apra fino all’estremità dell’ovolo n, tirato il cerchio, quello determini il contorno d’essi cingoli. Gli assi delle volute 6. non siano maggiori della grandezza dell’occhio, e le stesse volute abbiano il loro incavo profondo un duodecimo della loro larghezza. Queste proporzioni sono pei capitelli di quelle colonne, che si faranno di quindici piedi al più: nelle maggiori tutte le proporzioni si regoleranno nell’istessa maniera: avvertendosi, che l’abaco sarà lungo, e largo quanto è un diametro di colonna, e un nono di più; e ciò affinchè scemando sempre la diminuzione a proporzione, che avanzano in altezza le colonne, abbia anche il capitello proporzionato aumento di sporto e di altezza. Alla fine del libro si darà la figura e la regola, come si abbiano a descrivere col compasso esattamente le volute.
Compiti i capitelli, e situati sui sommiscapi delle colonne non a filo, ma con uno adattato scompartimento, acciocchè la simmetria ne’ membri superiori corrisponda alle giunte fatte ne’ piedistalli, si ha poi da dare la giusta proporzione agli architravi.
E la lor proporzione è questa: se le colonne saranno di piedi xii. in xv., l’altezza dell’architrave sarà per la metà della grossezza della colonna da basso: se di xv. a xx., divisa l’altezza della colonna in tredici parti, una di queste è l’altezza dell’architrave: di xx. a xxv., divisa l’altezza in dodici parti e mezza, una sarà l’altezza dell’architrave: di xxv. a xxx. si divide in dodici, ed una di queste si dà all’architrave. E così a proporzione dall’altezza delle colonne si ricava l’altezza dell’architrave: avendo in considerazione, che quanto più in alto deve guardare l’occhio, tanto più difficilmente penetra la densità dell’aria, onde la vista debilitata, e spossata per la distanza dell’altezza, forma una immagine confusa delle grandezze: quindi alla giusta simmetria delle membra, se saranno queste o poste in luoghi alti, o di proporzione gigantesca, si ha da fare un proporzionato supplemento, acciocchè compariscano della dovuta grandezza. La larghezza inferiore dell’architrave, cioè ove posa sopra il capitello, sarà tanta, quanta è la grossezza superiore della colonna: la larghezza superiore poi, quanto la grossezza della colonna da basso. La cimasa dell’architrave (Tav. XII. fig. 1. e 2.) dev’essere la settima parte della sua altezza, ed altrettanto l’aggetto: quel che rimane oltre la cimasa, si divide in dodici parti, tre cioè alla prima fascia, quattro alla seconda, e cinque alla più alta. Il fregio, che va sopra l’architrave, dev’essere un quarto meno di esso architrave; ma se vi si dovessero fare delle sculture, dovrà allora essere un quarto più alto dell’architrave, acciocchè facciano spicco quelle sculture. La cimasa sia un settimo della sua altezza, ed altrettanto lo sporto.
Sopra il fregio si farà il dentello (Tav. XII. fig. 1. e 3.) alto quanto la fascia di mezzo dell’architrave; e lo aggetto eguale all’altezza. Lo spartimento, che in Greco si dice metoche , si ha da fare in modo, che il dentello abbia di larghezza in fronte la metà della sua altezza; ed il cavo dello spartimento sia per due delle tre parti della larghezza della fronte: la sua cimasa, la sesta parte della sua altezza. La corona, o sia gocciolatojo colla sua cimasetta, e senza la gola, è quanto la fascia di mezzo dell’architrave: lo sporto del gocciolatojo col dentello si ha da fare uguale allo spazio, che passa di sopra al fregio fino a tutta la cimasa del gocciolatojo: anzi generalmente tutti gli sporti allora riescono più graziosi, quando hanno l’aggetto eguale all’altezza.
L’altezza del tamburo, che è dentro il frontespizio, (Tav. VIII. fig. 3.) si trova così: si divide la lunghezza di tutta la fronte del gocciolatojo da una punta all’altra della cimasa in nove parti, e se ne prende una per l’altezza di mezzo del tamburo: del resto corrisponda a piombo su l’architrave, e su i collarini delle colonne. La corona, che gira sopra il tamburo, dee farsi eguale a quella di sotto, che va senza cimasa: sopra la corona poi si hanno a fare le gole, che i Greci chiamano Epitithedas, alte un ottavo più dell’altezza della corona.
Gli Acroterii de’ cantoni sieno alti quanto mezza altezza del tamburo, e quei di mezzo un ottavo più di quelli de’ cantoni.
I membri tutti, che sono dai capitelli in sù, (Tav. X. fig. 5.) cioè architrave, fregio, cornice, tamburo, frontespizio, ed acroterj si hanno a fare colla cima piegata innanzi, quanto è un duodecimo dell’altezza di ciascuno.
È chiaro, che ponendoci dirimpetto a un edifizio, tirate dall’occhio due linee, una alla parte inferiore, l’altra alla superiore, e più lunga quella, che si tira alla superiore: questo fa che quanto è più lunga questa linea visuale, che giunge alla parte superiore, tanto più supina sembra l’immagine. Ma se, come abbiam detto poc’anzi, si sarà piegata verso la fronte, così parrà stare a piombo, e a squadra.
Le strie, o sieno canali delle colonne, (Tav. XI. fig. 3.) hanno ad essere ventiquattro, e incavati in modo, che applicando la squadra per entro la scanalatura, girandosi tocchi colle due gambe l’estremità del canale a destra, ed a sinistra, e colla punta la concavità del canale. La grossezza de’ pianuzzi ha da essere eguale all’aggiunta, o sia gonfiezza, che si fa al mezzo della colonna. Nelle gole, che sono sopra i gocciolatoj a’ fianchi de’Tempj, si hanno a scolpire delle teste di leoni, distribuite in modo, che primieramente ne vengano alcune a dirittura sopra ogni colonna, e le altre in eguali distanze fra loro, in modo che corrispondano alle docce di mezzo. Quelle, che si faranno sopra le colonne, sieno bucate a forma di doccia, che riceve l’acqua piovana da’ tetti: ma quelle di mezzo sien chiuse, acciocchè la copia dell’acqua, che da’ tegoli cola nelle docce, non venga giù tra l’una colonna, e l’altra, nè bagni chi passa: ed all’incontro quelle teste, che sono sopra le colonne, parrà che vomitino acqua dalla bocca. In questo libro ho descritto, quanto meglio ho potuto, le proporzioni de’ tempj Jonici: nel seguente tratterò delle proporzioni. Doriche, e delle Corintie.
Fine del libro terzo.