Le specie de’ tempj sono cinque, e questi sono i loro nomi: Picnostilo, cioè di colonne spesse: Sistilo, un poco più distanti: Diastilo, anche più distanti: Areostilo, distante più del dovere; ed Eustilo, di giusto intercolunnio. Picnostilo dunque è, (Tav. VI. fig. 2.) quando l’intercolunnio è d’una grossezza e mezzo di colonna; tal’è il tempio del Divo Giulio, e quel di Venere nel foro di Cesare, ed altri simili, se ve ne sono. Sistilo è quello, (Tav. VI. fig. 1.) in cui l’intercolunnio è di due grossezze di colonne, ed i plinti delle basi sono eguali a quello spazio, che resta fra i due plinti: tal’è il tempio della Fortuna equestre presso il Teatro di pietra, ed altri, che mai fossero fatti della stessa maniera. Ambedue queste specie riescono difettose, perchè le madri di famiglia, quando pei gradi salgono per andare a far preghiere, non possono passare accoppiate per la strettezza degl’intercolunnj, ma solo l’una dopo l’altra: in secondo luogo rimane dalla vicinanza delle colonne nascosto sì l’aspetto delle porte, come delle statue; e finalmente per la eccessiva strettezza rimane impedito lo spasseggio intorno al tempio.
Il Diastilo è quando l’intercolunnio è largo tanto, (Tav. V. fig. 2.) quanto sono tre grossezze di colonne; tale è il tempio d’Apollo, e di Diana. Questa maniera ha il difetto, che gli architravi per la troppa lunghezza si spezzano.
Negli Areostili poi non si possono adoprare affatto architravi di pietra o di marmo, (Tav. V. fig. 1.) ma solo lunghi travi di legname; (Tav. VIII. fig. 1.) e l’aspetto di tali fabbriche riesce tozzo, basso, e largo. I frontespizj di questi sogliono ornarsi all’uso toscano di sculture di creta, o di bronzo dorato: tali sono presso al Cerchio massimo il tempio di Cerere, e quello d’Ercole eretto da Pompeo; tale anche il Campidoglio.
Rimane ora a dar conto della proporzione dell’Eustilo, la quale è la migliore, (Tav. VII. fig. 1. e 2.) e la più adatta e per comodo, e per bellezza, e per fortezza. L’intercolunnio di quella specie dev’essere di due grossezze di colonne e un quarto; il solo intercolunnio di mezzo tanto della fronte, quanto del di dietro è di tre grossezze di colonne: imperciocchè in questo modo farà bello l’aspetto, non impedito l’accesso, e maestoso il passeggio attorno attorno alla cella. Le proporzioni poi sono queste: (Tav. XII. fig. 5.) se nello spazio destinato per la fronte si vorranno mettere sole quattro colonne, si dividerà in undici parti e mezzo, non contando gli sporti delli zoccoli, e delle basi: se sene vorranno metter sei, si divide in diciotto parti; se otto in ventiquattro e mezzo. Di queste parti poi, siano di tetrastilo, di esastilo, o di ottastilo, se ne prenda una, e questa sarà il Modulo, a cui si farà eguale il diametro della colonna. Onde ciascuno intercolunnio sarà di due di questi moduli, ed un quarto, eccetto i due intercolunni di mezzo sì della fronte, che del di dietro, ciascuno de’ quali sarà di tre moduli: l’altezza delle colonne sarà di otto moduli e mezzo; e così con quella distribuzione si avrà la giusta misura e degl’intercolunni, e dell’altezza delle colonne. In Roma non ve n’ha esempio, ma in Asia evvi nella città di Teo il tempio di Bacco ad otto colonne. [[[UNTRANSLATED text:reference-mark: ]]] Queste proporzioni le ha stabilite Ermogene; il quale anche fu il primo autore dell’ottastilo, e dell’invenzione dello pseudodittero: imperciocchè dalla figura del dittero tolse la fila interiore (Tav. VII. fig. 1. e 2,) delle colonne al numero di trentotto; e con questa invenzione risparmiò spesa e fatica: poichè lasciò intorno alla cella un largo spazio nel mezzo da passeggiare, ed intanto non iscemò niente l’aspetto, nel quale, non apparendovi la mancanza delle colonne superflue, conservò la maestà in tutta l’opera con tal distribuzione. Le ale in fatti, ed i porticati attorno al tempio sono stati ritrovati, acciocchè l’aspetto acquistasse maestà dalle interruzioni degl’intercolunnj; ed inoltre acciocchè se una improvvisa pioggia vi sorprendesse, ed obbligasse a trattenervisi una gran quantità di popolo, potesse questa, parte nel tempio, e parte nel porticato esteriore restarvi liberamente e spaziosamente. Questi comodi si hanno soprattutto ne’ pseudoditteri; onde parmi avere in ciò Ermogene oprato con grande acume, ed intelligenza dell’effetto dell’opera, avendo di più lasciato a’ posteri i fonti, onde potessero attignere il metodo delle invenzioni.
Ne’ tempi Areostili le colonne (Tav. V. fig. 1.) debbono avere il diametro un ottavo della loro altezza. Nel Diastilo si divide l’altezza in otto parti e mezzo, (Tav. V. fig. 2.) ed una di queste è il diametro della colonna. Nel Sistilo l’altezza si divide in parti nove e mezzo, (Tav. VI. fig. 1.) e se ne dà una al diametro della colonna. Nel Picnostilo si divide l’altezza in dieci parti, (Tav. VI. fig. 2.) ed una di queste è il diametro della colonna. L’altezza della colonna del tempio Eustilo si divide, (Tav. VII. fig. 1. e 2.) come nel diastilo, in otto parti e mezzo, e da una di queste si cava il diametro da basso della colonna. Questa dunque è la regola pei respettivi intercolunnj; perchè siccome crescono le distanze fra le colonne, così debbono a proporzione crescere le grossezze delle colonne. In fatti le nell’Areostilo la grossezza sarà un nono, o un decimo dell’altezza, sembreranno delicate e sottili le colonne, perchè l’aria, che giuoca per la troppa larghezza degl’intercolunnj, apparentemente consuma, e scema la grossezza de’ fusti: come al contrario se la grossezza delle colonne ne’ Picnostili sarà un ottavo dell’altezza, farà tozza e brutta vista per la spessezza, e strettezza degl’intercolunnj; bisogna dunque adattare le simmetrie alla specie dell’opera. Per la stessa regola le colonne de’ cantoni debbono avere il diametro un cinquantesimo maggiore di quello delle altre, perchè circondate dall’aria aperta, sembrano più sottili; perciò colla riflessione si uguagliano le disuguaglianze cagionate da inganno dell’occhio.
Quanto poi al ristringimento delle colonne nel sommoscapo, questo si ha da fare colla seguente proporzione: (Tav. X. fig. 4.) se la colonna sarà di quindici piedi in sotto, si divida la grossezza inferiore in sei parti, e se ne diano cinque alla parte superiore: se la colonna sara fra i quindici piedi ed i venti, l’imoscapo si divide in sei parti e mezzo, e si farà di cinque e mezzo il sommoscapo: in quelle da’ venti a’trenta, si divide l’imoscapo in parti sette, e se ne danno sei al ristringimento: in quelle fra i trenta e i quaranta, divisa la grossezza da basso in parti sette e mezzo, se ne daranno sei e mezzo al ristringimento: in quelle fra i quaranta e i cinquanta piedi, sarà l’imoscapo d’otto parti, e si ristringerà a sette il sommoscapo; e così della stessa maniera si andrà determinando a proporzione l’assottigliamento delle altre colonne, che fossero più alte. Quanto a questo però è da avvertirsi, che per la grande altezza ingannano la vista di chi le guarda da terra, onde conviene rimediare con dell’aggiunta alle grossezze. L’occhio è quello che ricerca la bellezza: onde se non si soddisfà al suo gusto tanto colla proporzione, quanto con queste aggiunte, le quali appunto ingrandiscono quello che sembrerebbe scarso, comparirebbe all’occhio de’ riguardanti sproporzionato e scomposto l’aspetto. Come si faccia poi in mezzo della colonna quella giunta, (Tav. X. fig. 3.) che i Greci chiamano Entasi, acciocchè riesca dolce e propria, apparisce nella figura data alla fine del libro.