Di quanto fra tutte le opere rende a noi superiori gli antichi, e gli distingue la magnificenza degli Edifizj, e la perfezione dell’Architettura, di tanto senza dubbio alcuno dee sopra ogni altro Scrittore antico essere stimato Vitruvio: ciò molto più perchè dei molti, che di quei tempi scrissero su tal materia, egli è il solo, che ci sia rimasto; e per conseguenza è oggi l’unica chiave per intendere la ragione delle bellezze di tante stupende opere e Greche, e Romane, le quali il Mondo tutto ammira, anche in quelle poche dimezzate reliquie, che il tempo, e la barbarie non han finito ancora di consumare.
Nella perdita però di quegli altri simili Scrittori dobbiam consolarci, se questo solo si è fino a noi conservato; perchè in questo solo abbiamo quanto di meglio scrissero sparsamente tutti gli altri, e questo solo, e non gli altri veggiamo stimato, e citato sin dai suoi tempi medesimi: anzi è notabile, che quasi per tradizione siasi continuata per lui e non per gli altri costantemente questa stima, anche nei secoli più barbari ed ignoranti, giacchè la quantità grande dei Codici manoscritti, che nelle nobili biblioteche tuttavia si custodiscono, mostra abbastanza, quanta gente, a confronto anche d’ogni altro Autore, ha dovuto tenersi impiegata per moltiplicarsene a tal segno le copie.
Crebbe e cresce a dismisura tale stima, dacchè sgombre le menti dalla fosca caligine della barbarie cominciarono tutti, e specialmente i professori ed intendenti a riconoscere, e van tuttavia più confermandosi, che la vera bella Architettura è solamente l’antica Greca, o Romana; e che questo è l’unico Autore, che ne spieghi l’arcano, e ne mostri per principj la vera e sicura via per iscoprirlo.
I Principi medesimi, anzi i più intendenti fra questi, hanno date spesse riprove del concetto, in cui hanno meritamente tenuto questo Autore. Si sa in fatti, che Alfonso il magnanimo Re d’Aragona, e delle due Sicilie, volendo risarcire il Castel nuovo di Napoli, non ricorse ad altri, che a Vitruvio; e perchè gli fu dal Panormita presentato quello che aveva mal legato e senza coperta, n’ebbe una riprensione, giacchè non meritava, disse l’Alfonso, di rimanere scoperto un libro, da cui impariamo noi a star coperti. Fu grata a Francesco Primo la bella, e può dirsi unica edizione Latina di questo Autore, che gl’indrizzò il dotto ed erudito Guglielmo Filandro. Luigi XIV il Grande tra le sue grandissime gesta non isdegnò di pensare ad ordinarne a Claudio Perrault la non mai abbastanza lodabile traduzione Francese e per la diligenza ed esattezza del traduttore, e per la veramente reale magnificenza della edizione.
Tutti i dotti in fine han sempre conosciuto questo libro così necessario per la intelligenza di tutti quanti gli Autori antichi, come è la Geografia riguardo alla Storia; mentre è l’unico, che ci apra la mente per intendere bene la vita, ed ogni azione e pubblica e privata, e civile e militare, e sacra e profana di quei tempi. Non è maraviglia dunque, se dopo tante e tante edizioni sia tuttavia sempre un libro questo, altrettanto raro, quanto ricercato.
Si è stimata certo sempre necessaria per chicchessia la lettura di un così pregevol libro; ma perchè da un’altra parte se n’è riconosciuta sempre difficilissima l’intelligenza, si son veduti perciò in ogni tempo impiegati i più vivi talenti a darne corrette edizioni, o ad illustrarlo con note.
Nè ciò punto è bastato, mentre pare, che ogni nazione lo abbia voluto fin anche tradotto nella sua propria lingua: ma come la sede di questi studj, e la maestra è stata sempre senza dubbio alcuno l’Italia; quindi è, che e le prime, ed in maggior numero sono state le nostre. Stampate in fatti, oltre alla presente, se ne numerano sino a quattro: tre di tutti i dieci libri, e sono quelle di Cesare Cesariani, di Lucio Durantino, e di Daniele Barbaro; ed una de’ cinque primi soli di Gio. Batista Caporali. Manoscritte inedite ve ne saranno molte: due sole però ne ho vedute io in Roma; ma di molte altre abbiamo notizia d’essere rimaste imperfette per l’immatura morte de’ traduttori.
Con tante cure però, e note, e traduzioni non è ancora questo Autore a comun sentimento nè chiaro, nè corretto in modo da poter soddisfare al pubblico desiderio; imperciocchè quanto al testo, se tutti gli Scrittori antichi han sofferto piaghe e flagelli dagl’ignoranti copisti, bisogna aver per fermo, che a proporzione di quanto è la materia di questo meno ovvia, e meno nota di quelle di tutti gli altri, di tanto sieno in questo ed in maggior numero, e più profonde. Se per le note, quelle del Filandro son sempre più sopra erudizioni, che su la materia principale, che era l’Architettura; quelle, che vanno colle quattro traduzioni, non meritano niente meno che esse questo nome, se non si vuol compassionare il secolo infelice, in cui furono scritte. Il Perrault senza dubbio è il solo, che merita sopra tutti finora singolare stima e per l’utilità delle sue note ben ragionate, e per la nettezza de la versione.
Mancava sempre, e con poco onore della nostra Italia, una traduzione che si potesse in qualche modo opporre alla Francese. Or se in tentar ciò è stato forse troppo il mio ardire, mi dovrà però sempre esser grato il pubblico, e l’Italia tutta pel buon animo avuto nel sostenere colle maggiori, benchè piccole mie forze, la gloria del suo linguaggio. Che se questa edizion mia, fatta a proprie spese, non potrà nella magnificenza competere colla Francese, fatta a spese d’un grandissimo Re, spero almeno due non le ceda nè in esattezza, nè in diligenza, nè in ogni maggior intrinseca bellezza.
Fu la prima mia idea di dar fuori solo la traduzione; ma per la rarità de’ testi Latini, e pel ritardamento dell’edizione, promessaci già da gran tempo dal Marchese Gio. Poleni, mi parve necessario accoppiarvi anche il testo Latino. Lo feci tanto più volentieri, quanto conobbi dovere a ognuno, specialmente in un libro oscuro e per la dicitura e per la rarità de’ termini, piacere il comodo di avere al fianco, chi legge il Latino, l’Italiano, o chi l’Italiano, il Latino.
L’ignoranza generale de’ copisti, e molto più nel caso presente per la novità e scabrosità della materia ci hanno renduti scorrettissimi tutti i codici manoscritti, donde è necessariamente derivata l’imperfezione anche dell’edizioni; si vedrà certamente, il più che umanamente si potrà, corretto un giorno colla faticatissima edizione del citato Marchese Poleni, collazionata co’ più rari e pregevoli codici d’Europa tutta. Ma intanto che ciò sia, io ho regolata questa mia presente su quella del Filandro, ch’è fin’oggi la più esatta; non ho avuta però difficoltà di servirmi in alcuni luoghi o di quella del Giocondo, o del Barbaro, o d’alcuno de’ due Codici della Vaticana, que’ due cioè, che fra i molti sono dagl’intendenti stimati i più antichi, e più corretti di tutti gli altri; uno segnato al numero 1504., l’altro a 2079. della biblioteca Alessandrino-Vaticana: o finalmente d’alcuna cavata da savie considerazioni di uomini dotti. E quando nè da’ testi stampati, nè da’ manoscritti, nè da autorità d’uomini dotti ho avuto alcun soccorso per rendere intelligibile un senso, mi sono veduto nell’obbligo di metter io le mani a qualche correzione.
In pochissimi casi per altro, e molto cautelatamente l’ho fatto: dove cioè era troppo chiaro, che vi fosse scorso errore di copisti, non consistendo il più delle volte, che in piccole trasposizioni di qualche lettera; nè mi farei certo presa tanta licenza, se non l’avessi trovata usata frequentemente dal Filandro in Vitruvio medesimo, e da’ comentatori, e curatori tutti delle più belle edizioni d’Autori antichi. E non è già, che io abbia ciò fatto per mero capriccio, ma con tutte le regole dell’arte Critica, non avendo nè anche trascurato mai di darne in simil caso in una nota le ragioni; anzi in contrassegno della mia renitenza, spesse volte si troverà da me ripreso il Perrault, per aver voluto troppo facilmente porre mano a correggere il testo, essendomi io sempre ingegnato di sostenere la comune lettura per tutti i versi e congetture possibili. Si vedranno dunque sotto la pagina latina notate quelle varianti, che per tutti questi mezzi mi è riuscito di poter procurare.
In alcuni luoghi, ove il testo parea, che descrivesse qualche figura, o formasse qualche costruzione, per farla capir meglio col prossimo ajuto delle da me disegnate figure, vi ho inserito per entro ai proprj luoghi le lettere, o i numeri, che indicano i punti, o le parti delle figure: ma coll’avvertenza di serrare le dette lettere, o numeri fra due parentesi nel testo Latino, per far conoscere non essere cosa di Vitruvio, o de’ testi antichi, ma aggiuntevi da me; e questo stesso è stato il motivo, per cui non si veggono simili lettere, o numeri serrate fra parentesi mai nella traduzione Italiana, e nel testo Latino solamente quando sono state apposte dallo stesso Vitruvio, o almeno dagli antichi amanuensi.
Mi venne alla prima il pensiero, coll’esempio per altro di moltissime edizioni d’altri Autori dirette da valentuomini, di cambiare la distribuzione de’ capitoli. Ognuno in fatti ben sa, che l’Autore, al solito degli antichi, non fece altra distinzione, se non di volumi, a sien libri al numero di dieci, nè si conosce nel corso d’ognuno, che ci avesse egli fatta suddivisione alcuna. Quando dunque l’introdusse l’uso di questi capitoli, ve gli misero gli stessi copisti; quindi è, che variano in qualche modo i capitoli, che si veggono distinti ne’ diversi manoscritti, e nelle diverse edizioni. La considerazione al contrario del possesso già acquistato da più secoli da questa qualunque divisione, e specialmente di quella tenuta dal Filandro, e dal Barbaro, che sono l’edizioni più recenti e più pure, ed il disordine, che si recherebbe alle citazioni che sono da molti Scrittori posteriori fatte de’ luoghi di questo Autore secondo questa divisione di capitoli, me l’hanno fatta ritenere anche in questa mia edizione. Ciò tanto più, che a ben considerare la cosa, qualora mi fossi determinato a cambiargli, mi farei veduto ancor io bene intricato a farlo a dovere; mentre non avendo l’Autore stesso pensato a distinguere in ogni libro non che i capitoli effettivi, ma nemmeno in un certo modo separatamente ciascuna materia, non s’incontra questa facilmente atta a sottoporsi a precise formali divisioni.
E perchè al contrario in modo alcuno non pregiudicava a tutte queste riflessioni il cambiar il titolo del capitolo; in far questo sì che non ho incontrato punto di difficoltà: mentre con buona pace di tanti valentuomini, che hanno ciò indolentemente prima di me trasandato, ve n’erano molti, che o falsamente, o imperfettamente indicavano il contenuto del capitolo, fino a confondere così la mente dei Lettori.
Non ho creduto nè anche delitto il non fare conto alcuna delle solite puntature, avendo in ciò usata tutta la libertà, e per uniformare al possibile i periodi Latini agl’Italiani, e perchè ognun sa quanto in ciò difettino l’edizioni antiche, e finalmente perchè alle volte una puntatura cambiata rendea intelligibile un senso, che altrimenti non lo era. In molti luoghi ciò non ostante rimane tuttavia bastantemente oscura la costruzione, ed a prima vista mostra scorrezion di testo: ma esaminandosi con più attenzione, si scopriranno idiotismi Vitruviani, o espressioni basse derivate o dalla poca cultura dello Scrittore, non ostante ch’egli debba numerarsi fra gli Scrittori del secolo aureo, o dalla scabrosità della materia, o dall’impegno contratto di spiegarsi rozzamente per essere meglio capito dagli artefici; mentre non potrà negarsi, che con assai migliore stile si esprime e nelle dotte prefazioni di ciascun libro, e ne’ tratti di storia, e d’altre materie scientifiche, che sparsamente s’incontrano.
Quanto riguarda poi la mia traduzione, a chiare note primieramente ognuno vedrà, che non è altronde cavata, che dallo stesso testo Latino, che le è a fianco; ed è il più che ho potuto fedele anche fino a far reciprocamente corrispondere di fronte il verso Italiano al Latino. Le voci sono, il più che ho saputo, Italiane; e se alle volte ho ritenuto le stesse voci Latine, o Greche, è stato per averle considerate come nomi proprj invariabili, o perchè altrimente non avrebbe avuto senso il discorso. Così i nomi de’ paesi, e città sono gli stessi Latini, o Greci italianizzati. Ciò e per venerazione del nome antico, e perchè il più delle volte o le città cadute, o i confini cambiati non avrebbero a puntino indicato co’ nomi moderni il vero sito antico.
Le note posso dir tutte mie, non altrimente che chiama così proprie ognuno le sue, benchè tutte frutto della lettura degli altri, e della riflessione sopra i medesimi. Non ve n’è alcuna per altro, che sia tratta interamente da altri, perchè mai, o al più poche volte mi sono incontrato cogli altri annotatori nella scelta dell’oggetto, che meritava riflessione, e ciò è stato per avermi prefisso di non volere incomodare il lettore con altre note, che con quelle attenenti alla materia particolare dell’Architettura, o ad altro, che vi avesse stretta connessione; e non è stato, come ognuno vedrà, che per necessità l’averne alle volte inserita alcuna di pura erudizione, quali regolarmente sono tutte quelle del Filandro, a cui rimando volentieri il lettore di esse desideroso. La brevità, che mi è naturale, mi è stata sempre oltremodo a cuore, mentre la quantità soverchia di parole suole più spesso confondere, che illuminare.
Benchè hanno alcuni Scrittori alle volte per la loro dottrina acquistata tale autorità sopra lo spirito degli altri, che giungano a sopraffare e prevenire la riflessione, e dirò quasi ad impedire di diversamente pensare, pure a me sembra, che il criticare le cose scritte da loro, quando è fatto fra le dovute regole della modestia e della venerazione, non debba meritar riprensione; perchè l’esame, e la critica delle opinioni è l’unico mezzo per rintracciare con sicurezza la verità. Non mi sia dunque di biasimo, se non lo sarà di lode, l’aver pensato e scritto molte cose nuove contra le accreditate opinioni di gravi Autori; mentre se sono stati questi grandi, sono stati non ostante Uomini.
Se si vedrà forse troppo frequentemente citato il Perrault, e contrastate le sue opinioni, creda benignamente ognuno, ch’egli è stato tutto effetto della stima grande che il mondo, ed io abbiam per lui: la quale avendo fatta acquistare a’ suoi detti grandissima autorità, sarebbero stati questi di gran peso a petto de’ miei, qualora io non avessi procurato per difendere questi miei, confutare i suoi. Oltrechè ognun vedrà, che il più delle volte è stato in occasione di aver voluto io sostenere Vitruvio, ch’era stato da lui attaccato; e non sarà certo per me colpa l’avere avuta maggior venerazione per Vitruvio, che per lui. Il Filandro è vero, che anch’egli ha gran merito e fa moltissima autorità; ma perchè nessuna, o quasi nessuna delle sue note toccano la materia dell’Architettura, benchè tutte sieno piene di vasta e profonda erudizione istorica, o filologica, ed all’incontro il sistema delle note mie è tutto diverso, questo è il motivo, per cui non mi sono, che poche volte incontrato in occasioni di dovere o abbracciare, o confutare, come per altro ho anche fatto, le opinioni sue. Il Cesariani, il Durantino, ed il Caporali sono niente meno degni di riguardo; ma l’essere stati i primi, ed in secoli poco illuminati fa loro meritare da tutti stima insieme, e compatimento. Il Barbaro è quasi nello stesso caso; ed ancorchè il suo comento può piuttosto dirsi parafrasi che note, pure perchè fin’oggi è stata l’unica traduzione che si è potuta in qualche modo leggere, ed aveva perciò preoccupato anch’egli le menti del Pubblico, ha meritato anche più d’ognun altro de’ nostri Italiani d’essere spesso nominato nelle mie note.
Sono questi libri stati sempre, e lo saranno forse ancora oscuri, non tanto per la poca comune latinità e per la singolarità de’ termini dell’arte, quanto soprattutto per l’irreparabile perdita delle figure, che vi aveva annesso lo stesso Vitruvio, troviamo spesso scritto d’averle messe in fine del libro, al quale erano assegnate. Il Filandro, ed il Giocondo in alcuni luoghi, e tutti gli altri comentatori, e traduttori hanno procurato in qualunque modo di supplirle quasi tutte; onde ho fatto lo stesso ancor’io, ma con metodo in tutto dagli altri diverso.
Ho procurato di ristringere in ogni tavola, o sia rame tutto quello, che in tutti i dieci libri si trovava sparsamente insegnato dall’Autore sopra una stessa materia; e qualora un rame solo non è stato capace di tutto, si troveranno almeno immediatamente l’uno dopo l’altro situati i molti rami, che contengono o una stessa, o simili materie. Questo metodo non può essere a meno, che non faccia riuscire istruttivi anche gli stessi rami soli, facendo vedere sotto quasi un solo colpo d’occhio uno per uno per esempio tutto un Ordine, uno per uno ogni genere di Tempio, e l’uno dopo l’altro gli Ordini tutti, e tutti i generi di Tempj, e tutte le specie de’ Cortili, e cose simili.
Gli altri tutti prima di me hanno stimato bene inserire le figure nel corpo stesso della stampa: cosa la quale non può riuscir comoda, se non replicando l’impressione della figura in ogni facciata, ove di quella si tratta; e pur ciò non ostante facendosi le figure di sole quelle parti che sono nominate, non danno spesso lume bastante al lettore, perchè non vi si vede la connessione, ch’esse debbono avere colle altre non nominate, o col tutto: vantaggio, che si ha solamente col metodo da me tenuto, perchè, come ho detto, trovano il più delle volte in un rame solo tutte le parti, che sono sparsamente nominate di un tutto: anzi i rami tutti si trovano in fine legati in modo, che si possano tener fuori le figure, mentre si leggono più e più facciate, ed alle volte l’una dall’altra distante, perchè forse in diversi libri.
Nel foglio stesso, ed a fianco della figura si troveranno brevemente notati colle chiamate di lettere o di numeri i nomi Latini e gl’Italiani delle parti disegnatevi, e oltracciò le citazioni de’ luoghi dell’opera, ove quelle bisognano, ed ove se ne tratta. Questo che a prima vista non parrà nulla, riflettendovisi, si troverà essere il più bello, e chiaro vocabolario d’Architettura latino-italiano, e italiano-latino.
Le figure tutte sono state da me medesimo disegnate colla maggior possibile accuratezza, e servitù alle parole del testo, per quanto ha portato la mia debolezza; sono quasi tutte geometriche, e non come quelle d’alcun altro in prospettiva, perchè quelle sorprendono sì, ma ingannano, ed in queste meglio si può comprendere la verità e l’esattezza: nè ho trascurato farle incidere dal migliore, ch’io mi abbia saputo scegliere fra i nostri, almeno per la diligenza, ed accuratezza.
Dee in fine ognuno persuadersi, che nel regolare la stampa di questa mia opera, altra maggior cura non ho avuto, che quella di renderne quanto più ho potuto bella e nobile edizione, e comoda e profittevole la lettura: quanto al testo con darlo il più che ho potuto corretto coll’ajuto delle edizioni tutte, e de’ divisati codici manoscritti: quanto alla traduzione con farla, come meglio ho saputo, italiana, ed oltracciò obbligandomi a far al possibile riuscire quasi dirimpetto al verso Latino il mio Italiano, accioccchè riesca facile al lettore di trovar la corrispondente voce o Latina, o Italiana, che si cerchi: quanto alle note, limitandomi per esse qualunque si fossero state, solamente le stesse facciate, ove occorrono, senza avermi mai presa la licenza o d’allungarle, sicchè si dovesse voltar carta, e scorrere sino alla facciata seguente, per finirla di leggere, o d’accortarle sì che vi rimanesse alcun verso bianco nella facciata; aggiungasi, che non solo il numero di ciascuna si troverà notato sopra le voci tanto Latine, quanto Italiane, alle quali va applicata, ma notato ancora alla margine accanto a quel verso, ove quella cade. Le figure sono tutte unite in fine e registrate secondo le materie, e in modo, come dissi, che si possano tener comodamente spiegate fuori del libro; e perchè può ad alcuno, vedendone una, venire il desiderio di leggere quello, che di essa nel corpo del libro si dice, a fianco della medesima si troverà notato il libro e il capitolo, ove se ne tratta.
Gli ornati medesimi, che fanno finale quasi in ogni libro sono anch’essi composti di cose appartenenti alla materia, di cui si è trattato nel libro: anzi quando ho potuto, ho procurato, che fossero pezzi di memorie antiche.
Questo è quanto ho saputo, ed ho creduto poter fare per servir bene il Pubblico agevolandogli al possibile la lettura, e l’intelligenza del presente libro. Prenda egli dunque in buona parte quella mia prima fatica, e l’abbia per un saggio del genio, e passione che ho per questa nobile scienza; mentre se avrò la sorte, che sia benignamente accolto, avrò maggiore stimolo di accrescere le mie cognizioni, e di sempre più meglio soddisfarlo in altre opere su la stessa materia.
Nell’assumere l’impegno di ristampare questa celebre Opera, abbiamo noi voluto rendere un particolar servizio agli Architetti e loro Scolari. Ora giudicando il Testo Latino alla maggior parte dei medesimi inutile ed incomodo, ci siamo determinati a pubblicare solamente la pregiatissima Traduzione Italiana del Sig. Marchese Gagliani; come già annunziammo nel nostro Manifesto.