Granci, ricci e sole.

La nuda schiera dei ragazzi si preparò all'assalto:

– Attenti, dunque... e pronti!

E l'ondata, svolgendo turbinosa le sue spire bluastre come una enorme serpe lanciata, si precipitò d'un gran balzo contro lo scoglio e la spiaggia. S'infranse in un getto altissimo e luminoso, una nuvola di candore, scorrendo, scivolando e perdendosi poi per una miriade di rivolini di spuma e di perline nell'onda tutta mossa e palpitante all'intorno.

Il grido incitante dei ragazzi si ripetè:

– Attenti, dunque... e avanti!

E la schiera si gettó nella conca formata dal forte risucchio delle acque tutte frementi ancora per lo schiaffo dell'ondata di poc'anzi.

Con quattro colpi vigorosi di braccia e di gambe la schiera conquistatrice fu inerpicata sulle sporgenze aguzze del gran masso nerastro tutto crepe, e gran reame di ricci, arselle e granchiolini.

– Urrà! – fu il grido di quei sette od otto piccoli conquistatori, nudi, la pelle bronzata dal bacio marino, tutti stillanti d'acqua e i capelli imbevuti di salino.

Ma il capo della schiera, un bel ragazzo biondo, non arrestò il suo impeto alle prime pietre: agile e svelto continuò l'ascesa su per le punte bluastre, ed in breve fu sulla vetta. Ed ivi si rizzò, bello, forte, scultoreo, tutto nudo com'era, contro il sole e l'azzurro, guardando il mare davanti a sè ed i suoi compagni sotto, aggrappati alle sporgenze dello scoglio, tutti più piccoli di lui, in quel momento.

Ed un nuovo grido, quasi di sommissione, salì da essi a lui:

– Urrà! Urrà!

Ed ecco la nuova ondata che correva a unire il suo ruggito al grido dei ragazzi. Venne, si precipitò, s'infranse; scintillò nivea al sole un momento e si perdette ancora nell'onda in movimento...

– Ecco i granci – gridò uno, protendendosi verso una gran crepa dello scoglio.

– I ricci, i ricci! – fecer eco gli altri, affollandosi in un anfratto pieno ancor d'acqua e di spuma.

Il ragazzo biondo, dall'alto del suo picco, non si curò gran che di loro: il suo occhio spaziò all'intorno: prima sul mare azzurro e ribollente, quindi si volse alla spiaggia, e su su, sopra il paese. Camogli, che s'inerpica con le sue casette rosse, i suoi giardini, le brevi viuzze ripidissime, su, pel monte alto e pallido d'olivi, fino alla strada di Ruta...

Alcune nuvole correvano, a destra, verso Genova: a sinistra il promontorio di Portofino s'ergeva diritto e bluastro – una barca in pieno sole si lasciava cullare dalla bonaccia azzurra...

– Marino – gridò uno da basso – non ne vuoi dunque portare tu a casa de' ricci? ...

Marino guardò, fece un guizzo, sotto il sole che gli seccava la pelle, e discese, sicuro, giù per le balze del dirupo marino.

Immerso fino alla cintola nell'acqua salsa egli ne assaporò il voluttuoso arziglio (è così in ligure l'olezzo del mare) se ne spruzzò il volto, la testa, le spalle, poi si gettò a nuoto mentre la nuova ondata si preparava da lontano a raggiungerlo.

Ma egli con due colpi vigorosi di braccia non si lasciò avvicinare: e un poco prima ch'ella spumeggiante si scagliasse sulla riva, era già ritto, e ridente sulla sabbia umida e al sicuro.

I compagni, ricchi abbastanza di preda, aspettavano dallo scoglio il risucchio dell'ondata per lanciarsi alla lor volta alla riva.

E si lanciarono, ridendo e schiamazzando.

Uno solo non fece in tempo. La nuova ondata gli era sopra, vicinissima, turbinosa. Il poveretto mando un urlo che gli spruzzi soffocarono. I compagni guardavano tra ridenti, sorpresi ed indecisi... Ma, Marino, il bel ragazzo biondo si lanciò e prima che la grande onda li afferrasse ambedue, avventò a terra il piccolo inesperto. E si voltò ancora, ridendo, a mostrare i pugni all'acquazzone salmastro che lo aveva investito alle spalle, impotente.

Il povero ragazzo s'era buttato – al sicuro adesso – a sedere sulla sabbia, e un poco pallido, guardava lo sfacelo dell'ondata che aveva tentato giocargli il brutto tiro...

Marino gli si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla:

– Di' la verità, hai avuto paura? – dimandò.

– Io? no... – mormorò l'altro.

Ma tremava ancora.

Marino gittò un sasso nell'acqua, momentaneamente cheta, e stette pensoso a guardar le onde a cerchio, da prima piccole, poi maggiori, poi sempre maggiori... finchè si perdevano nel grand'azzurro.

Indi corse a vestirsi con gli altri.

Su per la straduzza ripida, fiancheggiata da' muri dei giardinetti delle case, che conduceva in paese, i ragazzi carichi della loro preda marina andavano, ora, allegri e cantando

Marino non aveva che un solo riccio, ma enorme, bellissimo: una rarità.

La bruna bestiola, dai neri aculei aguzzi e taglienti, non istava quieta: ruotava le sue armi, anelante il suo scoglio, il suo salino... Marino rideva, sentendosi pungere.

– Cecchino non canta! ha avuto paura di affogare – disse uno della comitiva.

Cecchino era l'inesperto rimasto in acqua nel ritorno dallo scoglio.

– Lasciatelo stare, Cecchino – disse Marino, avvicinandoglisi.

Era un ragazzetto mingherlino e pallido, figlio di ricchissimi, ben vestito e poco forte.

– Fatti dare il fernet, appena a casa – disse un altro.

Cecchino si strinse nelle spalle, più pallido ancora e taciturno.

Marino gli mormorò vicinissimo:

– Di' la verità, hai avuto paura? Ti sei fatto male?

– No – rispose il ragazzo.

Marino gli mostrò il bel riccio.

– Tu non hai nulla da portare a casa dalla pesca... lo vuoi?

Il ragazzo lo guardò riconoscente.

– Sì.

– To', prendilo.

E Marino gli strinse il braccio con amicizia.

E Cecchino rise, racconsolato.

I ragazzi si disperdevano per le vie del paese. Molti avean le loro case abbasso, presso la Chiesa; Cecchino s'infilò per il viale alberato, poichè egli aveva la casa sulla piazza, un poco più in giù del monumento del colonnello Schiaffino, quello morto a Calatafimi, con Garibaldi.

Marino invece abitava più in su di tutti, sulla collina, verso Ruta.

Egli passò dinanzi all'istituto Nautico ove suo padre in quel momento stava certamente insegnando, e, rimasto solo, s'avviò per la solitaria stradetta che s'inerpicava in alto, fra gli ulivi...

Il sole scottava. Ma che bel sole! Marino sentiva nelle vene, in tutto il corpo, la forza benefica e sana del buon bagno fatto nel mare, suo amico. Un benessere, una pienezza giovanile e forte che lo inebbriava tutto. Teneva alta la testa, aperto il petto; respirava forte la brezza fresca che veniva su dal mare. E ovunque intorno, era il sole!

Si fermò un momento a guardare: giù nel suo mare alcune vele candide s'erano aperte, come ali.

E fu in quel punto che il cancelletto della «Villa Bianca» proprio al suo fianco, stridette, cigolò, s'aperse.

E la snella figuretta della signorina Maria apparve nel vano.

Avea il corsettino rosso, attillato sulla gonna corta, d'un azzurro cupo.

Sotto il cappellone scuro, sotto i brevi riccioli bruni, nel visetto pallido ed aristocratico i suoi occhi nerissimi sfolgorarono, un lampo, fissi su di lui.

Poi voltò la testolina, civettuola, indietro, verso la donna che veniva dopo...

Marino la guardò discendere, bellissima, nei suoi quattordici anni già donnina, elegante, a fianco della cameriera, giù per la viuzza ripida...

Giunta in fondo ella si voltò: i suoi occhi neri sul visetto pallido, sotto il gran cappello, sfolgorarono ancora, verso lui.

E scomparve dietro il muro.

La signorina Maria! la figliuola del ricchissimo forestiero, che avea comprato la villetta da poco, rimettendola tutta a nuovo...

E Marino riprese il cammino verso la sua casetta, tutta bianca fra gli ulivi, lassú in alto, in mezzo al sole.

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