Numeri e Sogni.

Una mano si posò sulla spalla del giovine, chino sopra il libro.

– Marino – disse la voce grave e dolce del padre – tu avrai domani l'esame,di astronomia...

Il giovane si volse.

– Sì, babbo... oh, ma son preparato!

Il padre sorrise.

– Non ho detto per questo... chè ne son ben, sicuro. E poi, lo sai... ne so pure qualcosa anche io!...

E aggiunse, ancor sorridendo:

– Era per dirti che tu sarai dimandato, in mia vece, dal collega De Marta... quello di geografia; tu mi comprendi.

– Oh, babbo – disse Marino ridendo – non ti farò sfigurare... sta certo.

– Bene.

E la mano paterna tornò ad abbassarsi grave e tenera sulla spalla del figliuolo.

Era una bella, alta e serena figura, quella del padre. Il professore Marini avea dato alla scuola, alla famiglia e alla sua Specola, su, sull'alto della torretta bianca della casa, tutto il suo pensiero di uomo e di studioso. E all'Istituto Nautico era adorato.

Il tavolino ove Marino studiava era accanto al balcone, pendente sugli ulivi e sul mare aperto, infinito, là sotto e davanti a lui. Una nave nera passava in quel momento nell'azzurro, e sembrava librata in aria. Marino ne ascoltò l'ansar precipitoso della macchina, pari al batter del cuore della nera nave che filava nel tramonto...

– E domani – riprese la voce del padre, con tenerezza – tu compi i diciotto anni...

– E sarò capitano!... – rispose il figlio.

E le braccia del figliuolo s'appesero al collo del padre.

Ma una lieve tossetta si era fatta udire, dietro di loro.

Si voltarono.

Era la mamma, la buona mamma che rideva, gli occhi umidi, alla scena.

E l'abbraccio si rinnovò, in tre, questa volta.

– Capitano! – diceva ridendo la signora Irene.

E guardava il figliuolo, che vedea ancora fantolino biondo e paffuto, così poco tempo indietro, nel suo cuore. Diggià! era dunque divenuto sì grande? eran dunque passati così presto gli anni?...

– E poi il mare!... i diciotto mesi di pratica, alla vela! – mormorò il figliuolo, guardando davanti a sè, fuori del balcone, l'azzurro che diveniva violaceo.

Ah! una lieve nube passò sul volto della buona madre. Questo pensiero la corrucciava. Era questa la sua ombra nera! I diciotto mesi di mare, per avere la patente!... Ma perchè pensarvi adesso, in quel momento?...Ella si chinò di nuovo sulla testa del figliuolo e la baciò, lasciando in quel bacio tutte le sue ansietà e il suo corruccio. E corse di là, ove la chiamavan le cure della casetta.

– La vita è dovere – disse il padre con tenerezza, guardando il bel figliuolo sano e forte, nato appunto pel dovere e la lotta.

– Lo so, babbo – disse Marino, alzando sul volto del padre i suoi occhi cerulei, pieni di volontà e di convinzione.

E si alzò.

Andó presso il balcone e guardò in giù. Il dorso del colle, la vallicella, il mucchio di case, si velavano della penombra vaga che saliva dal mare. Camogli ammucchiato in fondo, era già tutta scura, nell'ombra. Una finestra della Chiesa, ch'è proprio sul mare e sembra una fortezza bianca, sola scintillava, rossa come un occhio di fuoco. Veniva su, l'odor della sera, alitante di mare, di piante e fiori. E l'occhio del giovane scese giù, accarezzando, sul dorso del colle pallido d'ulivi. Si fermò alla casina chiara, che riposava queta, baciata da un'ultima carezza rosea che veniva dal mare. La casina chiara!... Il cuore del giovane palpitò; la carezza del suo sguardo l'avvolse tutta. Il cielo in fondo era tutto roseo.

Il padre, accanto, guardava anche lui giù, nelle ombre che s'addensavano.

Aveva forse, il sagace cuore paterno, intuito ove s'era indugiato, carezzoso, lo sguardo del figliuolo?

Egli disse

– Il signor Paoletti... ah, s'è deciso sai? pel figliuolo!...

– Ebbene? – mormorò Marino.

– È uomo di carattere! – continuò il padre. – Il ragazzaccio gli ha dichiarato, l'altro giorno, che non si sentiva di dar l'esame. Il padre gli ha risposto: – Sta bene, avrai tempo a darlo in altro momento, l'esame! Frattanto partirai subito per la pratica. – Ed è partito questa mane da Genova, semplice mozzo, sulla Battistina! Mi capisci?...

Marino annuì.

– Il signor Paoletti conosce la vita – continuò il professore – egli l'ha salita tutta, dal primo gradino, lavorando di schiena: i suoi milioni di oggi gli costano gocce di sangue e sudore! Fa bene a non voler signorie fiacche, in casa. Anche la ragazza...

Marino attese, guardando nelle ombre che salivano sempre.

– Anche la ragazza la pensa come lui – finì il padre.

La sera era caduta ormai. Si sentiva il respiro del mare, nell'ombra. In basso si accendevano piccoli lumi qua e là, da ogni parte. Un più diffuso barlume era Camogli. A destra, ogni tratto, nella bruma splendeva una stella vivida, un solo momento, poi si spegneva: era il faro di Genova.

La nave nera di poc'anzi s'era involata nelle brume del mare. Però Marino aguzzando la vista – la sua buona vista di futuro marinaio! – intuì, lontanissimo, incerto, il fanale rosso perduto nella notte... E pensò che la nave correva, ormai sicura e sottomessa al suo destino, come tutti, sulla terra e sul mare. E anche lui un giorno, come quegli ignoti uomini là, sarebbe corso nelle brume, incontro al suo destino, alla sua mèta lontana...

– Io ti lascio, Marino, a studiare – disse la voce del padre che avea taciuto sino allora.

– Buona sera, babbo – mormorò Marino.

– Vado anch'io a studiare, nella Specola, il mio cielo – disse sorridendo, ancora, il professore d'astronomia.

E Marino rimase solo.

Prima di rimettersi davanti al libro, grave di formule e di cifre, il futuro marinaio si fece ancora una volta al balcone. Il suo occhio nel buio, trovò subito, e s'indugiò sul caro cantuccio lontano. Il pensiero che anche là dentro, era entrata un'ombra di tristezza per una partenza violenta e cattiva, che una dolce creatura forse dolorava, in quel momento, gliela rese misteriosamente più cara. Il suo cuore si gonfiò di tenerezza. E volò con un palpito giù, giù, per i dorsi degli ulivi che dormivano, fin laggiù sul caro tetto, nella cara cameruccia sul caro cuore... La vita era dovere... ed anche amore!...

Accese la candela e ritornò al suo libro.

E la mente ripiombò tenace sull'intrico dei numeri e delle formule...

Ma una dolce improvvisa pressione sugli ómeri lo fe' voltare.

Era la mamma.

Avea posato le due sante braccia intorno al suo collo e la cara testa s'era reclinata accanto alle sue gote.

– Studia, Marino, e il Signore ti accompagni...

E avea soggiunto, sottovoce, ingenuamente, titubante nella sua viva materna sollecitudine:

– Ma non t'affaticar troppo... non ti stancare... è tutto il giorno che sei sui libri!...

Marino non rispose, ma afferrò la santa testa della mamma con ambe le mani, e la coperse di baci.

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