NEL PAESE DELLE SCOGLIERE.

Mi trovavo in una grande città nordica, molto popolosa, molto vasta e inesorabilmente brumosa, seduto al tavolino d'uno sconfinatobar affollato da una turba cosmopolita, ed ove la birra correva a fiumi. Davanti a me era la figura preraffaellita di un pittore inglese alla moda, dall'aguzza barbetta color delle chiome degli angeli di Padre Angelico e dagli occhi cilestrini ripieni ancora della visione delle migliaia di paesaggi ove avea portato – girando mezzo mondo – il suo cavalletto smontabile ed i suoi occhiali d'oro.

Egli, offrendomi una sigaretta prese a dire, con voce di colui che insegue con lo sguardo della mente una visione lontana ma non isvanita ancora:

– E ho veduto, nel mondo, un paese tutto rocce e bagnato dal mare. Le rocce sono aride, ispide, terribilmente aguzze e selvagge; eppure il mare, intorno ad esse, ha la morbidezza del raso: de' lievi baci di spuma, delle tenui carezze di fiotto. Il mare, fra quelle rocce nere, ha tutti i riflessi possibili: da' più miti ai più ardenti. Dal berillo più tenero al viola cupo, profondo; dall'azzurro del cielo sereno al verde glauco pieno di misteri. E sopra quel mare multicolore, da' riflessi ogni minuto cangianti, s'alzano i più arditi, i più bizzarri, i più scontorni picchi rocciosi che imaginar si possa. Essi s'ergon minacciosi, giganti, per diruparsi, in basso, in mille schegge minute, in piccoli frantumi, in cento ciottoli che l'onda rende iridiscenti al sole. E come il sole sale sull'orizzonte, così cambia la loro tinta: da nera divien grigiastra, da grigiastra azzurra, da azzurra color di rosa, e poi viola tenue e poi bruna, e nera ancora. Alle volte fra quelle scogliere strane è una sottile nebbia: ed allora il sole giuoca in mille maniere sopra di essa, i più bizzarri scherzi di luce corron da un picco all'altro, da una fenditura all'altra, tra le crepe, i dirupi, i sassi iridiscenti: le più strane sfumature accendon quella nebbia, quegli scogli, quel mare sempre sussurrante... Ed era allora, vedete, proprio allora, ch'io gettavo via il mio pennello e la mia tavolozza, così vana, così povera, così inutile per me in quel momento e gridavo convinto: – Oh, no, Dio mio, è impossibile fermar tutto ciò sulla mia tela!... è uno spettacolo che bisogna lasciar filtrare per gli occhi nel cuore e portarlo con sè per tutta la vita!...

E il preraffaellita si fermava per guardarmi profondamente negli occhi.

– E cotesto paese delle rocce, – domandai, – sarebbe?...

– Non lo indovinate?

– La Norvegia?... i fiords, non saprei.

– I fiords?... Ah! – e il pittore batteva forte la mano sul tavolino tutti uguali voi italiani, e sempre uguali!...

E aprendomi sdegnosamente in volto i piccoli occhi cilestrini ripieni ancora della luce e dell'azzurro del paese delle Scogliere, egli mi gridava:

– Questo paese benedetto è nella vostra Italia! è la vostra Riviera! quella che il nostro Byron ha adorato da innamorato, ed ove il nostro vicino Karr ha perduto il suo spirito maligno per non sentir altro che l'ammirazione: la più grande, la più sconfinata, la più sincera ammirazione!...

Questo mi diceva una sera, in un grandebar pieno di gente cosmopolita, un entusiasta pittore inglese, in una popolatissima e assai brumosa città nordica.

E nell'autunno del 1829 sopra una alta strada di campagna, fiancheggiata da un lato da uliveti, che si prolungan su per il monte, e dall'altra scendente giù a scaglioni sino al mare, un giovane biondo scriveva ammirando, mentre guardava l'orizzonte spazioso, e pieno di luce, tutta luce, sopra un piccolo quaderno rilegato in rosso:

«Dall'alto del monte io vedo il mare... fra i picchi verdeggianti fa capolino l'onda azzurra, e le navi che si scorgono qua e là sembran passare a piene vele sulle montagne. Ah! se vi è dato goder di questo spettacolo all'ora del crepuscolo, quando gli ultimi raggi del sole intreccian la loro fantastica danza con le prime ombre della notte, e tutti i colori, tutte le forme, si fondono in un velo vaporoso, voi sarete rapiti da una magica illusione... la vettura discende strepitando, le più dolci imagini sopite nell'anima si destano e poi di nuovo dileguano...»

La strada fiancheggiata dagli uliveti e digradante al mare era quella famosa di Ruta, che reca a Genova, e il giovane biondo che scriveva le sue memorie di viaggio sopra un piccolo quaderno rilegato in rosso era un bizzarro tipo di poeta irrequieto e si chiamava Heinrich Heine.

Comincia il vero paese delle scogliere, subito dopo Genova, sotto la famosa collina di Albaro, ove passò il più sereno, forse, inverno di sua vita l'anima inquieta e travagliata di Giorgio Byron. Egli abitò nella Villa del Paradiso, e si narra che qualche notte – specialmente in quelle cupe di tempesta – scendesse giù sino al mare e si sedesse sugli scogli aguzzi, incurante dello schiaffo salmastro e minaccioso de' marosi che gli turbinavano intorno. E al mattino ai primissimi albori del giorno, i pescatori che scendean al mare per ritirare le reti, lo vedevan pallido e taciturno avviarsi in alto, dopo la fantastica notte, alla sua dolce Villa del Paradiso, che certamente, fra le sue quiete ombrie, mai più ha albergato anima posseduta da dèmone sì bizzarro ed agitato.

Subito, sotto la collina d'Albaro, ho detto, comincian le vere scogliere; e voglion cominciare grandiosamente, nella storia; con il famoso scoglio di Quarto dei Mille.

Sotto Nervi – la elegantissima Nervi, della quale dovrò dire fra poco – le scogliere divengon cosa d'arte. Osservate quelle grotte violentemente scavate dal mare, a morsi continui, nella roccia dura come il ferro!... Osservate quelle smerlettature incise dal bacio assiduo della spuma, quelle pareti che van sgretolandosi in mare, quegli ultimi ciottoloni tutti fessi, cincischiati, corrosi, pieni di ferite, di morsi, bucherellati dal continuo ed indefesso lavorio dell'onda verde che intorno ad essi non posa mai!... Vi ho veduto, intorno, degli artisti celebri, venuti da lontane parti del mondo, battersi la testa per la disperazione di non poter portarseli via, come ricordo, nei loro paesi senza sole e senza nebbia.

Il grosso scoglio, il Gigante, fra' suoi compagni, che è il promontorio di Portofino, veduto dal mare, dalla parte di Genova, ha un profilo dolce, d'un tenue azzurrino violaceo, tutta mitezza e serenità. Andatelo a veder da vicino! Sono macigni orrendi, dirupati a picco sul mare. Squarciature immense lo tagliano dall'alto al basso, come immani ferite. In mezzo a quell'orrida bellezza di pietroni v'è serrato un paesello, San Fruttuoso, il quale non ha altra strada che lo riunisca al mondo che il mare. Quando questo è grosso e la tempesta ricaccia indietro le barche, San Fruttuoso riman solo, fra le sue rocce scheggiate, separato dal resto dei viventi. L'ultimo scoglio del promontorio, è un colossale ciottolo rotolato giù in qualche notte di tormenta e rimasto lì, finchè al lavorìo delle onde piacerà non frantumarlo del tutto in piccole schegge.

Dal lato del paesello di Portofino il grosso scoglio è vestito di vecchi alberi e di ville. Nel piccolo seno dall'acqua verde che viene a lambire le casucce, venne a cercare un mese di riposo – l'ultimo – una nostra infelice donna di grande ingegno e dal cuore malato. Parlo della contessa Lara, la poetessa, che venne a passare in una modestissima casuccia di pescatori l'ultimo suo mese di vacanza: partita dalla casuccia marinaresca direttamente per Roma, pochi giorni dopo finiva la travagliosa sua vita nel modo più tragico... La ricordan ancora tutti, nel paesello, la bionda contessa – la chiamavan così.

Passato Portofino, dopo Santa Margherita e Rapallo la riva s'ingentilisce, si fa meno ruvida e dirupata. Siamo sempre tra le scogliere, ma qua e là s'apron morbide vallette vellutate, come ne' dintorni di Chiavari e di Sestri Levante. Ma avvicinandosi alla Spezia ritornan aride, per divenir poi addirittura selvagge... Le famose Cinque Terre – famose pel loro vino – sorgono in vetta a certe rupi scoscese che fanno deliziosamente paura alle belle miss che passan sotto di esse, nell'agile lancia scivolante sull'onda azzurra e spumosa. Nelle spaccature di quelle balze sporgenti nei flutti – ha scritto un vecchio scrittore marinaresco che i Liguri hanno il torto d'aver dimenticato troppo presto, il Morchio – entro poche manciate di terriccio, lassù deposte dal coltivatore, vegeta il magliolo che inghirlanda que' massi co' suoi pampini e li imporpora de' suoi grappoli famosi, affocati dal sole cocente e da' suoi raggi riverberanti dal sasso... E da quei filari sospesi lassù, sulla rupe a picco sul mare, vien fuori quel famoso vino delle Cinque Terre, celebre in Liguria e fuori, da' riflessi d'oro colato il bianco, e del più schietto rubino il rosso... Sulle vette delle rupi più elevate e minacciose guarda sempre sul mare qualche vecchio castello melanconico, che ha veduto i corsari saraceni, le galere venete e pisane, e i navigli dei vari Doria, degli Assereto e degli altri cento uomini di mare genovesi.

Io penso a ciò che dev'esser passato nella mente del più galante e spiritoso dei re francesi (quello che con una frase ben detta seppe salvarsi dalle conseguenze non del tutto lusinghiere d'una battaglia perduta) quando in una certa mattina del marzo del 1525, affacciandosi alla balconata d'un grande castello posto sull'alto d'una collina, guardò intorno e vide la più ampia e meravigliosa distesa del mare sereno che sia dato vedere. Ah! io giurerei che alla mente di Francesco I deve esser ritornato più volte, vivido, fra le gaie sue giornate di Francia, quel ricordo luminoso della sua prigionia!...

E subito dopo Quinto incomincia la famosa strada sugli scogli che abbraccia tutta Nervi. Credo che il suo nome venga ripetuto e ricordato negli angoli più opposti e reconditi del globo. Di ciò vi convincerete subito osservando i passeggiatori che su di essa voi incontrerete. Tutte le caratteristiche tradizionali delle razze, specialmente nordiche, voi scorgerete subito: il solito inglese; il solito tedesco, il barbuto russo, lo snello americano, il pallido e nervoso spagnuolo, il pétillant francese, e via dicendo. Italiani pochissimi, quasi nessuno: neppure degli abitanti stessi del paese. Chi sa perchè! Tanto che passeggiandovi spesso mi sentivo anch'io accomunato ad uno di quegli esotici signori e non mi passava più neppur lontanamente per la testa l'idea che pur non ero che a pochi passi dalla mia nativa e rumoreggiante città.

E la bellissima strada sugli scogli – unica nel suo genere – tutta piena delle più strane ed eteroclite fogge, dalle larghe zimarre a quadri inglesi ai comodi faldoni alemanni, dalle pagliette spagnuole ai mezzi cilindri gallici, corre giù serpeggiante, salendo e scendendo sugli scogli a picco sul mare, protetta appena da un esilissima ringhierina di ferro che par fatta apposta, specialmente per i bambini, per dar tutto l'agio di sguisciar giù a fracassarsi le costole sulle punte aguzze della scogliera a chi ne mostri vaghezza.

Davanti è il mare azzurro, sconfinato: da un lato la Lanterna di Genova s'innalza fra la nebbia sottile e cilestrina, dall'altro il promontorio di Portofino, che conosciamo, si profila dolcemente violaceo... Dalla parte di terra sono le palme, gli aranci, in mezzo a siepi di rose, di caprifogli, di eriche marine, di oleandri.

Quando a Genova – la città del vento perenne – il termometro è vicino allo zero e la gente corre per le vie imbacuccata e battendo i tacchi, colà il sole è sfolgorante e si passeggia in giacchettina e rappello di paglia.

E allora, mentre a Genova, cioè a pochi passi (12 chilometri) si gela, a Nervi, sul mare, bisogna togliersi ad ogni costo il paltoncino. Eppure, malgrado tutto ciò, malgrado il bel mare azzurro, il bel sole caldo, le palme, gli aranceti, le siepi di rose e di caprifogli, la cara cittadina non è gaia. Ella ha un velo di sottile tristezza che l'adombra tutta. Ad un poeta di sensi delicati essa fa pensare alla bellezza melanconica d'una serena giornata autunnale, piena di morente tepore, di vaga nebbia diffusa e di foglie morte. Nervi non è gaia! Ma non è sua la colpa. In quell'angolo poetico di natura privilegiata troppi vengon da lontano, e da lontano assai, a cercarvi l'ultimo ristoro alla lor stanca vitalità. Troppi vengon a bere – supremo rimedio – l'alito caldo del suo mare e dei suoi aranceti.

Voi incontrate strane e profonde figure, ne' cui occhi luccicanti vibra la tristezza del desiderio di vita che van invano chiedendo a quel mare sempre azzurro, anche quando è in collera. E vedete giovani miss pallide e bionde, e giovanotti tristi seduti ne' cantucci con un libro in mano, signore silenziose, e malinconiche coppie taciturne... È vero che a volte uno scoppio di voci allegre, un frigolìo irrequieto e turbinoso, quasi il fruscìo di uno stormo di passeri, vi colpisce nella piena quiete della strada sugli scogli, rotta appena dal susurro dell'ondata giù in basso. È una folata di bambini inglesi di que' bellissimi bambini di cui parla il buon De Amicis ne' suoi ricordi di Londra, dalle gran chiome bionde, dalle gambette nude e dagli occhioni profondi. Essi son sani, vivaddio! e lo dimostran le loro vocette squillanti e il turbinìo irrequieto delle loro gambucce nude.

Passan anche talvolta, a due, a tre, gruppi di quelle belle bimbe inglesi, già donnine in miniatura, da' lunghi capelli color d'oro schietto, dalle alte vitine flessuose e dalla suprema eleganza naturale di tutte le movenze che è il dono caratteristico della loro razza...

Ma quanti tristi incontri si fanno pur spesso, sulla bella passeggiata sul mare! Carrozzelle tirate a mano, poltroncine con le ruote... Ma lasciamo andare.

Pensiamo piuttosto che qua, davanti a questo mare, molte teste coronate, molti principi del sangue e dell'intelligenza son venuti a respirare l'alito salino e profumato delle alighe de' suoi scogli. Ricordiamoci che da qui Alfonso Karr ha spedito al suo paese qualcuna delle sue celebri Guèpes meno acri del solito, vinto suo malgrado dalla dolcezza di quanto lo circondava. Qui è venuto a riposarsi Moltke, ed uno zelante vecchio cameriere dell'albergo conduceva allora a vedere la cameretta della villa sul mare ove soleva lavorare, guardando il mare, ed ove egli gli recava il pranzo, militarmente sobrio e rapido. Il buon Massimo d'Azeglio – il gran cavaliere nostro – vi portò il suo spirito arguto e schiettamente italiano...

Non posso dimenticare, in una palazzina posta sul Viale delle Palme, in fondo, ove si scende per andar sulla strada degli scogli, una figura taciturna e pensosa che sotto una piccola veranda di marmo io solea veder tutte le mattine, scendendo al mare. Egli guardava il mare e aveva davanti a sè, sur un piccolo tavolo portatile, de' fogli di carta: ma non vi scriveva mai nulla (1903). Quel grande taciturno era Arrigo Boito. E a proposito di musicisti ricordo sempre l'alta ossuta, e caratteristica figura di Marco Sala. Egli volle venire a morir qua: fra gli aranceti e le palme. Tutti lo ricordan ancora, con una lagrima negli occhi, il buon don Marco: era l'anima d'ogni festa e, sopra tutto, d'ogni beneficenza... Mi par di vederla ancora, l'alta ed elegante figura, il sorriso buono e arguto del delizioso autore dell'Egitto. Molti artisti han pianto la sua morte: ma più tanti poveri ed infelici...

Una volta vidi scender giù, solo e tranquillo, sempre nello stesso Viale delle Palme, una serena figura di vecchio, che a me in quel momento apparì luminosa: era Giuseppe Verdi.

E ricordo anche una breve visione a cui assistetti nella piccola stazione ferroviaria – visione che è rimasta impressa nella mia mente con il ricordo della bella cittadina delle palme. Visione che si ripete, purtroppo, così spesso colà, tra quelle rose e que' boschetti sempre verdi.

Un nero vagone era aperto: quattro uomini vi deposero entro una piccola bara di noce lucida. Era un'inglesina arrivata poche settimane prima con la madre ed il fratello. Era venuta a chiedere ai fiori e al mare della bella cittadina quello ch'essa, troppo tardi, non avea saputo più ridarle.

I quattro uomini deposero la cassa di noce – stretta e lunga – nel mezzo del vagone nero e vuoto. Poi un giovanetto biondo con una cesta piena di viole si appressò: e a manciate coprì tutta la piccola bara delle stupende violette di Nervi. Quando tutte furon gettate, e la cestellina fu vuota, il giovanetto – il fratello – rimase impietrito a guardare; e i quattro uomini allora chiusero le portelle del vagone e vi posero i piombi regolamentari. La piccola inglese se ne ritornava alla sua patria.

FINE.

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