Ricordo che quando, arrivato al centoquarantesimo scalino che dalla strada mi avvicinava alle due camerette sacre all’arte, ohimè, e al disordine del disordinatissimo mio amico Claudio, fui colpito da un indiavolato frastuono che dall’abitazione dello stesso mio amico partiva.
Quando giunto davanti alla sua porta bussai ed egli in persona mi venne ad aprire osservai, con mio sommo stupore, che l’anticamera – la chiamava così, lui – dello studio ove soleva dipingere i suoi interminabili quadri, era pieno di monelli alti un palmo e poco più.
Lo guardai.
— Cosa diavolo fai tu mai di cotesti mocciosi, quassù?... – gli dissi.
— Taci, sono i ragazzetti del mio portinaio: ne ha otto.... ma ti spiegherò tutto, vieni di là.
E volto ai monellucci:
— Forte, forte, ragazzi miei, dateci dentro, coraggio, strillate bene.
Io lo guardai di nuovo, sbalordito sinceramente.
— Sei un bel matto! – mormorai.
Il mio amico pittore mi aperse la porta dello studio, e mi ripetè:
— Saprai tutto, non dubitare.
Quando fummo dentro egli si pose tranquillamente a sedere davanti ad un suo quadro rappresentante una certa Venere molto più nuda del naturale.
Allora osservai ch’egli pareva aver fatto ricerca, per indossarli, degli abiti più macchiati e sbrindellati del suo guardaroba.
— Che diavolo di toletta hai fatto tu dunque stamane? – gli domandai, guardando.
Ma egli invece di rispondermi stava in ascolto delle voci discordi e acute de’ marmocchi che avea raccolto di là, nell’altra stanza.
— Bene! senti? se la cavano a meraviglia! Meglio di così non potrebbero contentarmi! Bene, bene, li ricompenserò a dovere....
— Ma insomma – gridai io – mi spieghi o no che cosa sono tutte queste novità? Ti sei addobbato come un cinghiale domestico e hai empito la casa di sudici marmocchi. Cosa vuol dire dunque tutto ciò?...
L’amico mi guardò con olimpica serenità.
— Fra poco vedrai.... e forse, capirai.
E si rivolse alla sua Venere.... Accesi una sigaretta e aspettai.
Da lì ad un momento drin drin, una scampanellata.
Claudio corse ad aprire. Sentii un breve dibattito, un chiedere e un rispondere (la risposta veniva data dalla voce di Claudio), poi infine distinsi queste parole del mio amico:
— Grazie, voi mi ridonate la pace.... per qualche giorno!
La porta fu chiusa e Claudio rientrò. Aveva in mano un sudicio portamonete dal quale cavò pochi biglietti da una lira che posò in un angolo, sul cassettone, insieme ad altri che già vi erano.
Allora, non potendone più, mi alzai e serio e severo, questa volta, mi avvicinai a lui:
— Mi vuoi dunque spiegare di che si tratta? Comincio a non capire più nulla. E temo....
— Non temer nulla – mi rispose Claudio – siedi e leggi.
E mi porse una copia di un popolare giornale cittadino.
— Leggi – mi ripetè accennandomi un avviso in quarta pagina.
Ed io lessi:
«Un povero padre di famiglia, carico di figli, ha perduto un vecchio portafoglio con una non grossa somma di denaro che rappresentava per lui e per la sua misera prole il sostentamento e la vita per parecchi giorni.... L'anima pietosa che lo avesse trovato e che lo porterà all’ultimo piano della casa ecc., ecc. nella via ecc., ecc. farà sacrosanta opera di misericordia, e si avrà le benedizioni di un povero padre e di cinque angioletti».
Lo guardai stupefatto.
— Sono già venuti tre, con l’ultimo che hai sentito – disse Claudio.
— Il povero padre carico di famiglia....
— Sono io! – disse Claudio trionfante.
— E i cinque angioletti....
— Li senti di là?
— Claudio.... – cominciai.
Ma egli non mi lasciò parlare.
— Senti! Suonano: bisogna che vada.
Scena di poco prima, domanda, risposta, lunghi ringraziamenti da parte del povero padre: ed ecco Claudio di nuovo trionfante sulla porta.
— Dieci lire, questa volta! Vediamo un po’ come son fatti i biglietti da dieci.... Li ho perduti di vista da tanto tempo!
Allora io parlai:
— Claudio.... ti sembra onesto quello che fai?
Egli mi guardò.
— Amico mio! io non rubo mica, sai? la società ha dimenticato del tutto un povero artista nel suo studio... ed io le chiedo un prestito. La società in massa, me lo concede: il che, individualmente, nessuno avrebbe fatto; tu per il primo. Alla prova, del resto: prestami dieci lire e io restituisco subito queste a chi me l’ha recate.
— Non dir sciocchezze!
— Lo vedi? oh non mi fare dunque il moralista. Del resto, il mio strattagemma non ha nulla d'immorale: io non aveva più il becco d’un quattrino e devo finire ad ogni costo la mia Venere, che, come vedi, mi sorride e mi attira co’ suoi baci irresistibili là dalla tela. Doveva rubare? mendicare?... Mi sono rivolto al gran Prossimo. E il signor Prossimo, come vedi, mi risponde.... E poi con questo strattagemma io ho voluto fare anche una prova....
— Cioè?
— Conoscere il buon cuore del Prossimo. E, come vedi, dobbiamo convincerci che il signor Prossimo ha più buon cuore di quanto noi supponevamo.
— È vero.
— Lo vedi?
— Ma intanto, i veri proprietari di questo portamonete che in buona fede portano a te?... naturalmente, sono poveri, lo si vede, e forse fra essi v’è sicuramente il vero padre di famiglia carico di figli, in ben altro modo che non lo sia tu!...
— Oh, ma caro amico mio, tu non sai ancora una cosa....
— Cioè?
— Che questi denari che il signor Prossimo reca a me io non li prendo che in prestito e che fermamente conto di restituirli.
— Ah sì?
— Sicuramente: quando avrò terminata, esposta e.... venduta la Venere che ride. E sai in qual modo io li restituirò?... Empiendo ciascuno di questi vecchi e sdrusciti portafogli della stessa somma con la quale furono recati a me, e quindi seminandoli, perdendoli, hai capito? di nuovo per le vie.... il signor Prossimo li troverà, li raccatterà e il mio debito sarà pagato e la mia coscienza resterà tranquilla.
Non potei a meno di ridere e di esclamare:
— Sei un gran mattacchione!
In quel momento drin drin; una scampanellata alla porta.
Il mio amico corse raggiante ad aprire, esclamando volto verso di me:
— Se il buon cuore del signor Prossimo si manifesta così, questa sera finirò per essere milionario!...