La vasta sala del teatro si andò lentamente vuotando, i lumi furono abbassati e man mano spenti: al frastuono e all’animazione di poco prima successe lentamente il silenzio e la quiete, rotta soltanto ancora dalle voci degli operai di scena che lavoravan tra le quinte. E il vecchio violinista, rimasto ormai solo in orchestra, si mosse con la scatola del suo violino sotto il braccio per uscire. I suoi compagni eran tutti andati via da un pezzo: ma egli era solito indugiare così, tutte le sere; sì che usciva sempre per ultimo. Quella sera poi una maggiore pesantezza alle gambe lo faceva indugiare vieppiù ed incespicare ad ogni passo, tra le poltrone smosse ed i leggii fuori di posto. Gli era che il mattino aveva riscosso le sue cinque serate di paga e, subito, ne aveva fatto abbondante omaggio al suo «delizioso amico»….
Ma la brezza tagliente della via lo rinfrancò alquanto. Era una notte nitida di gennaio; le strade bianche sotto la luce elettrica eran ormai del tutto deserte: e il vecchio violinista, alzando gli occhi per meglio respirare, scorse le stelle che danzavano allegramente su nel cielo terso e nero. Ebbe cura di tenersi ben rasente al muro e si avviò col suo passo non del tutto sicuro verso la povera cameretta a tetto che da due mesi ospitava lui, la sua miseria e il suo violino. Egli però sembrava ansioso ed affrettava il passo: finchè giunto allo svolto della viuzza e spinto lo sguardo verso un noto angolo parve rassicurato e tutto si rallegrò.... Il fido botteghino non era ancor serrato! Egli in breve vi giunse e religiosamente prese dalle mani del padrone il prezioso fardello, che, accuratamente involto nella candida carta, costui gli porgeva.
— Non si aspettava che voi per chiuder bottega!
— Grazie, grazie.... ma, dite: mi avete trattato bene questa volta?
— Oh! – ghignò il bottegaio – state sicuro. Grappa da principe regnante!...
Il violinista prese il bianco fardello, lo nascose con cura sotto il mantello e s’avviò di nuovo lesto e balzellante. Ma non ebbe il coraggio di resistere al dolce invito dell’amico, del fido amico sincero che sentiva soavemente oscillare sotto la carta fra le sue mani. E fermatosi in mezzo alla via buia, sturò con un piccolo ferro, del quale sempre era munito, la bottiglia e se ne regalò due lunghi ineffabili sorsi. Alzò poi gli occhi al cielo: – Assassino! – gorgogliò con tenerezza, beato; e ricollocato bene al sicuro il tesoro sotto il mantello riprese più baldo e più tentennante che mai la sua via.
Ma ecco finalmente a lui dinanzi l’immensa casa nera e buia; lassù, in alto, sopra l’ultimo piano lo attendeva la sacra cameretta dell’artista, tanto nuda ohimè, e fredda. Aprì il portoncino e salì annaspando e cauto l’interminabile scala. Ed eccolo così giunto finalmente davanti alla porticina libera sì, ma non poco sconquassata! Accese un solfino e la sacra nonchè presso che vuota cameretta s’illuminò per un istante. Cantarellando con la sua vecchia voce e rauca trovò la lampada a petrolio e l’accese. La cameretta dai tristi mobili s’illuminò vivamente e stabilmente, questa volta. La luce era l’unico lusso che si concedeva il vecchio violinista; giacchè egli, abituato alla fulgida luce del teatro, non poteva soffrire il buio. Tolto questo povero lusso, tutto il restante delle sue facoltà egli dedicava allegramente al suo «delizioso amico». Ed ora difatti, poi che ebbe acceso il lume, egli sgombrò il rozzo tavolino, ch’era nel mezzo della camera, dalle carte di musica che lungo il giorno andava ricopiando per aggiungere qualche soldo alle povere due lire e mezzo serali cavate dal suo violino, e v’insediò sovrana la bottiglia rutilante, adesso, alla allegra luce della lampada. Ebbe però, avanti, ancora un pensiero pel suo violino che aveva sofferto quella sera non sò qual piccolo guasto alla cordiera: lo guardò, lo medicò e finì per appenderlo al suo chiodo, sulla parete di faccia al tavolino. Quindi guardando amorosissimamente la scintillante bottiglia le si avvicinò per essere tutto di lei.
Ne assaporò un primo sorso, la lodò, e alzò gli occhi al cielo soddisfatto; quindi si sdraiò sulla sdruscitissima poltrona, compagna delle sue estasi, e fu tutto veramente della cara bottiglia....
E il cervello cominciò a lavorare per conto suo.
Qualcuno lo aveva rimproverato della sua passione.... Mah! non era l’unica sua gioia ormai, povero vecchio? Bisognava anche dire che quella sera il suo amico era d’una delizia.... d’una delizia!... il bottegaio non lo aveva corbellato: «grappa da principe regnante!» aveva detto, ed era vero.... Benedetto, benedetto che gli riscaldava il vecchio sangue infrollito che non valeva più niente!... Non lo chiamavano appunto per quello latte dei vecchi?... Ormai, tanto, egli era bello e finito!... Oh, quindici anni innanzi!... Allora era un’altra cosa. Il suo violino, allora!... Che bella cosa, eh!... quando sognava di diventare un Paganini.... Perchè non lo era diventato?... Lo sapeva bene, lui. Era statalei!... Oh! quella donna! Perchè l’aveva conosciuta? Perchè s’era lasciato prendere dai suoi occhi ridenti e dalla sua boccuccia rossa? Perchè l’aveva sposata? Ah! chi glielo avesse detto, quando l’adorava, tutta circondata di luce e di fiori, su quelle assi del palcoscenico!... Chi glielo avesse detto!... Era stata lei la sua rovina. Il lutto! La sua morte! Oh, maledetta!... E lui aveva cominciato a bere. E la mano col bere gli diveniva sempre più pesante e l’archetto non voleva più andare!... Altro che Paganini da quel giorno!... Ed erano quindici anni che beveva!...
La bottiglia era vuota.
Passavano fiamme davanti ai suoi occhi. Che luce, che ardore!... Non era più una sola la lampada che sfolgorava nella cameretta, eran dieci, cinquanta, centinaia di faci ardenti e fiammeggianti. E che guizzi, che barbagli, che scintillamenti in ogni angolo! E qual ardente e dolce calore in ogni vena del suo vecchio corpo di cartapecora!...
Gli occhi vitrei, la bocca aperta e ansimante, il vecchio rideva, cantava, borbottava. Davanti a lui, intorno a lui, tutto moveva. Ma guarda! che cosa buffa!... Anche il suo violino, là davanti, appeso al suo chiodo voleva ballare!... C'era da ridere! Egli voleva ballare, come il suo padrone!... Ma no! Egli non ballava! Egli si contorceva! Egli voleva scappare!... Da chi? Da lei, dalle sue mani. Certo era lei, ancora lei, semprelei, che ora gli voleva spezzare il suo violino, l’ultimo suo amico, come già aveva spezzata la sua vita! Ah, maledetta! Anche ora, anche ora!... non la smetteva dunque neppure ora di tormentarlo?... oh, maledetta, maledetta, maledetta!...
Il vecchio si slanciò contro il violino, per difenderlo, per strapparlo dalle mani della sua nemica.
Ma andò a cadere sopra il tavolo; il lume si rovesciò sopra di lui e rimbalzando per terra si infranse. Una fiamma guizzò sopra il petrolio sparso: la barba del vecchio pregna di alcool prese fuoco ed egli cadde rantolando, mentre le fiamme gli guizzavano intorno al vecchio capo che si contorceva nello spasimo.