Il piccolo gabinetto che le ricchissime tende da ogni parte spioventi e i folti tappeti di pelliccia celavan e proteggevano come un tepido cantuccio nel grande palazzo che la festa, al colmo della sua ebbrezza, tutto inebriava – quietamente taceva.
Sonnecchiava in un canto il globo luminoso, d’una sottil luce opaca che pareva spandersi sui damaschi, sulle pelliccie, sui grandi cuscini indolenti, sui piccoli inutili mobili, come una carezza....
A un tratto una porta si aprì, una tenda si sollevò: un fascio di luce fulgidissima guizzò come un lampo dalla gran sala e, come un fiocco di neve, un nembo di veli, di raso, di gioielli corruscanti, di spalle nude, di capelli biondi, fe’ rapidamente irruzione, come un’improvvisa visione, con il rapido frastuono di mille voci susurranti, con un’ondata di profumo, con un palpito di musica voluttuosa....
La tenda ricadde subito: il lampo fulgidissimo della luce sparve, le voci, la musica, tutto svanì e la bellissima signora, involta ne’ veli e corruscante di gioielli, s’inoltrò, sola, fin nel mezzo del gabinetto, ritornato alla quiete e alla sua luce discreta.
Ella era pallidissima. Le due piccole mani, sin sopra il gomito vestite de’ lunghissimi guanti di neve, eran unite in una stretta convulsa sul seno, che l’abito scollato lasciava nudo.
Poi la dama strappò con rapido atto uno dei guanti e lo lasciò cadere sui tappeti e con la breve mano aprì, violenta, i veli che nello spasimo quasi la soffocavano.
Aprì la bocca, contratta, quasi per cercar aria, per respirare....
Poi si prese la testa con le mani e scoppiò nel pianto doloroso che tanto le teneva serrata la gola.
Si lasciò cadere, affranta, sopra uno dei grandi cuscini che l’accolse pietoso, quasi con un sottil gemito della seta allo schianto....
— È finita..., è finita.... – mormorò la dolorosa, e tutta si abbandonò sul cuscino.
Piangeva.
Le lagrime, libere, scendevano sul bellissimo volto: cadevan, non trattenute, sulla ricca acconciatura bianca del ballo: alcune si fermavano sulla meravigliosa collana di perle che le cingeva il collo, altre inumidivano i due solitari appuntati un poco sopra la cintola, che guizzavano fuggevoli bagliori alla opaca luce del globo luminoso.
— È finita.... è proprio finita....
E le lagrime scorrevano impetuose nel femineo abbandono scorato.
Poi alzò la testa: gli occhi arrossati e scintillanti pel pianto si volsero verso la parte d’onde era entrata.
Nel grande silenzio del gabinetto giungeva come un’eco lontana e indecisa il susurro della festa e la musica deliziosa del ballo.
Ella parve voler ascoltare un momento; poi, puntando le belle braccia sul foltissimo tappeto, si alzò, stanca, disfatta, affranta.
E si avvicinò alla tenda.
Stette alquanto così, ritta, la testa appoggiata contro la tenda, in vago atto d’ascolto: poi trasalì.
Un pensiero....
Si accostò ad uno dei piccoli inutili mobili-gingilli: era una minuscola scrivania di ebano, avorio e bronzo, una trina d’intarsio, uno scherzo d’artista in un momento di leggiadra fantasia.
Ne trasse rapidamente un piccolissimo foglio di carta e una quasi invisibile matita d’oro, e in fretta scrisse alcune parole.
Poi, fattasi alla parete, premette sopra un bottone.
Quasi subito dalla parte opposta a quella ov’ella era entrata, apparì un servo in livrea, irreprensibile.
Il servo s’inchinò alla sua signora, in silenzioso atto di attesa.
— Giovanni, presto.... questo biglietto a donna Attilia.... fa in modo di farglielo tenere.... senza che nessuno se ne avveda. E presto....
Il servo prese il biglietto.
Il gabinetto ritornò nel silenzio.
La donna pareva calma, adesso. Il pallore sul suo volto si era fatto più intenso; come una maschera d’avorio pareva essersi posata sopra i suoi lineamenti – i purissimi e nobili lineamenti così alteri, così fulgidi, così belli in conspetto della folla tacita e ammirata della capitale che l’adorava, per la sua bellezza e per la sua bontà.
Ella si avvicinò alla parete, sollevò il lembo di un arazzo e ne trasse, da una breve nicchia ove era riparato, un piccolo crocifisso di bronzo, un capolavoro d’artefice moderno.
Fisse in lui gli sguardi, fatti supplici ora, e mormorò:
— Perdonatemi, Signore, perdonatemi!
E chinò le labbra sul divino simulacro e piamente lo baciò.
Poi lo ripose ove lo aveva tolto.
— Sono pronta – mormorò ancora.
E alzati gli occhi sul freddo globo inconscio, parve rivivere un momento una visione, un palpito; tutta la sua vita forse, o un attimo penoso e terribile di essa....
In quel punto la porta dond'era uscito il servo si aperse cautamente, e un’altra signora, bellissima, entrò pianamente, guardandosi intorno con gli occhi incerti, confusa, nella poca luce, lei che veniva dall’intenso fulgore della sala da ballo....
— Laura – fece ella – mi hai chiamata.... così.... perchè mai?
La dama mormorò, a bassa voce, ma sicura:
— Vieni, Attilia.... chiudi bene quella porta.... e vieni qua, vicino a me....
— Quanto mistero!...
Sorrise l’altra, non ben sicura, guardandosi intorno, un poco diffidente.
— Vieni, Attilia, vieni – ripetè l’altra, ancora.
E donna Attilia andò vicino a donna Laura.
Le due bellezze parevano fatte per completarsi insieme. Donna Laura alta, bionda, bianchissima, sottile: un sogno di poeta. Donna Attilia bruna, ardente, tutta ardore ed opulenza nella splendida figura piena di vita, negli occhi corruscanti, nei capelli magnifici....
— Attilia – cominciò l’altra – tu sei stata la mia amica.... ricordi?... da fanciulla....
— Ma Laura!... – interruppe donna Attilia, sempre più sorpresa e dubbiosa.
— Non m’interrompere, perdona – continuò donna Laura; – da bambina tu sei stata la mia amica....
— Lo sai....
— Poi da giovinetta.... da sposa?
— Sempre.... sempre.
— Abbiamo diviso giuochi.... divertimenti.... idee, sentimenti....
— Sì, sì; ma perchè questo, ora?... – disse donna Attilia, turbata alquanto, suo malgrado.
Donna Laura la fissò.
— Perchè dunque. Attilia....
— Continua.... – fe’ l’altra, trasalendo.
— Perchè dunque, Attilia, tu hai voluto....
E pianissimamente finì la frase al suo orecchio.
— Laura! – esclamò donna Attilia, levandosi in piedi, fatta pallidissima.
— Perchè, dunque, perchè lo hai tu voluto?... – continuò l’altra glaciale, nella sua bianchezza di statua.
Donna Attilia nel frattempo si era rapidamente rimessa.
Ella aprì il suo grandissimo ventaglio di neve.
— Tu scherzi. Laura – disse ella ridendo.
— No, Attilia, no – vaneggiò ancora la dolorosa – no: tu lo hai pur voluto; e perchè dunque?... questo io ora ti chiedo. Tu lo sapevi che io non vivevo che pel suo amore, tu, ch’eri stata testimone della mia passione per lui di fanciulla, tu che hai avuto le mie confidenze, le prime, le vergini confidenze, le pure.... tu la sapevi, tutta, la immensità del mio amore, tu la conoscevi.... e tu.... tu....
— Taci! – mormorò Attilia sordamente.
— E tu mi hai tolto il mio amore.... tu, proprio tu.... – finì la donna come un soffio.
Attilia non rispose.
Era pallida, agitata.... Il grande ventaglio di piume bianche fremeva tutto nelle sue mani, come una grande ala di fantastico uccello spaurito....
Donna Laura mormorò ancora, alta, sul volto pallido dell’amica:
— Ora è finita.... per me.
E continuò:
— Vedi, e sei tu, sei tu che devi finire del tutto questa mia inutile vita....
Andò ad uno stipetto e ne trasse una breve scatola intarsiata.
L’apri e ne cavò due piccoli oggetti, due gingilli che scintillarono alla discreta luce del globo.
— Prendi dunque, – mormorò donna Laura porgendo all’amica uno de’ due gingilli, – e uccidimi....
Donna Attilia indietreggiò.
Era un picciol revolver, un giuocattolo, dalla breve canna d’acciaio brunito, quello che le porgeva la sua amica d’infanzia.
— Prendi, prendi, – ripetè l’altra fermamente, – e uccidimi....
— Laura, sei pazza, dunque, tu!... – mormorò Attilia cercando con gli occhi la porta per fuggire.
Ma l’altra non gliene dette il tempo.
Con le braccia ne cinse il magnifico collo nudo e lasciandosi cadere sul cuscino ove poc’anzi aveva pianto, e tirandosi tutta la donna smarrita e vieppiù sgomenta sul petto, così riprese a parlare:
— Sì, Attilia ora è finita e tu l’hai voluto.... che gioia finire!... Senza il suo amore, tu comprendi perchè lo sai, senza il suo amore, io non potevo vivere.... Morire! e sono contenta di morire, vedi, di morire, di morire: per lui.... e per te....
Donna Attilia nella stretta convulsa di che l’avvinghiava la vaneggiante, cercava invano di liberarsi: pallidissima, atterrita, presa da un folle terrore alle parole della donna che la teneva stretta, avvinghiata a sè, tenacemente e convulsamente.
— Laura, sei pazza, lasciami!... – rantolò ella, cercando sempre sventolarsi.
Ma le braccia di donna Laura, pallida come un cadavere e agitata da un tremito febbrile e mortale, vieppiù si stringevano intorno al suo collo – fredde e tenaci – come spire di gelo e di morte.
— Uccidimi! – mormorò donna Laura.
Nella stretta convulsa delle sue mani, ch’ella non riusciva a disserrare, Attilia stringeva sempre il piccolo gingillo mortale, il piccolo revolver dalle lucide canne scintillanti.
— Uccidimi, – ripetè donna Laura, – fa presto!
Attilia si sentiva soffocare.
Grosse gocciole di sudore le imperlavano la fronte: sentiva la gola disseccarsi sotto la stretta di quelle due braccia che la stringevano, che quasi le toglievano il respiro e la voce.
Stava per gridare, per chiamare al soccorso, sentendosi vincere follemente dal terrore, dalla disperazione.
— Laura, lasciami, lasciami.... – articolò ancora una volta, rauca, a mezzo soffocata, convulsa.
— Uccidimi, dunque! – le sibilò nell’orecchio donna Laura con voce sorda, strana, diversa e paurosa, quasi l’eco dell’al di là ove stava per entrare.
— No! – urlò Attilia, folle.
— Urla pure, urla.... fatti sentire.... tutti sanno di là.... tutti sanno.... e verranno tutti.... e verrà anche lui.... e vedranno.... e sapranno.... Urla pure, chiama, fatti sentire....
Donna Attilia tacque.
— Uccidimi, dunque, una volta! – sibilò nuovamente donna Laura.
— No! – ripetè donna Attilia.
— Ah! no?... tu dici di no?... saprò io bene costringerti allora....
Donna Laura alzò la mano: e in essa Attilia vide scintillare il pugnaletto.
— Aiuto!... – gridò Attilia.
— Chiama.... chiama pure.... debbono venire tutti qua.... debbono trovarmi morta ai tuoi piedi.... e per chi.... chiama pure, dunque. Ma affrettati: uccidimi....
— Aiuto! – ripetè Attilia follemente.
Donna Laura alzò il pugnaletto verso il collo nudo di Attilia.
— Ah sì! – stridette in un folle riso. – Ah sì! guarda....
Un rigo rosso di sangue spiccò alla sottile puntura, fra i veli e il raso della scollatura di Attilia.
Alla vista del sangue Attilia perse la testa: perduta, forsennata allungò la mano che teneva il piccolo revolver-gingillo.
— Aiuto! Accorrete! – gorgogliò ancora una volta.
Il piccolo gingillo aveva lasciato partire il colpo.
— Ah!... – aveva esclamato donna Laura rovesciandosi sui cuscini.
Nella sala da ballo folleggiante il colpo era stato udito.
L’uscio del gabinetto fu spalancato, la tenda rialzata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .