III.

Fu portata un giorno a Roma e a Cesare presentata, che lungamente se ne compiacque.

Egli la serbò alcun tempo fra le sue tazze murrine e i vasi di Corinto che aveva preziosissimi.

Poi un giorno, al finir di un’orgia, il Cesare ordinò di toglier quanto avanzava di su le mense e giù dalle logge gittar tutto alla bruta plebe che sotto avida attendeva, attratta e soggiogata dalle armonie che dalla aurata Casa scendevano nella notte....

E fra le tazze murrine e gli aurei vasi che dalle logge volaron giù, nella notte, sulla bruta plebe, cadde anche la cristallina anfora di Hersitele.

Avide si stesero le mani sui nappi d’oro e d’argento che confusamente guizzavan raggi nell’ombra.

Ma l’anfora greca rotolò non veduta nella mota e ivi sepolta ed obliata rimase.

Passò verso l’alba Cestilia, la vergine che tutta avea dato la sua anima giovanetta alla nuova Fede e che ritornava, mesta e pensosa, dal supplizio di una compagna.... La fanciulla Cristiana scorse pallidamente scintillare ai primi raggi dell’alba l’oro dell’anfora sozza di fango e la raccolse.

Nelle mistiche ombre di una Catacomba senza fine l’anfora d’amore raccolse e serbò per quasi due secoli il sangue dei martiri e delle vergini con che Roma placava i suoi Dei, dappoichè un biondo uomo, laggiù in Oriente, morendo sul legno dei colpevoli avea pianto e implorato pace ed amore fra gli uomini fratelli.

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