I.

— Ti stancherai, bambina.... è da stamane che lavori.

La voce del padre risuonò calma e profonda nel salottino da lavoro che le ombre dei cortinaggi velavano di una silenziosa e raccolta quiete.

Cecilia alzò la testa dal telaino e dolcissimamente sorrise al padre.

— No, babbo.... non sono stanca – mormorò.

La fanciulla era stata presa, quel giorno, da uno de’ suoi abituali impeti di fervore al lavoro. Soleva stare delle intere giornate inerte, stanca, svogliata: poi, all'improvviso, l’estro la prendeva e allora si dava tutta alla sua passione, sino ad impallidire di stanchezza, sino ad esaurirsi.

Il padre la guardò in silenzio, poi le posò, con atto lieve, una mano sulla testina.

Ella aveva quindici anni: ed era sottile, bionda e tenue come un’immagine antica impallidita in un libro di preghiere.

E tutto era mite, tenue, impalpabile quasi, come l’ombra del sogno, in lei.

I fiori che sul telaino sbocciavano sotto le sue esili dita, non avevano ruvidezza alcuna di colore; intorno a lei non dovevano palpitare che toni lievi, evanescenti, vaporosi quasi. Le tinte audaci, ardenti, ferivano i suoi occhi miti come la sua anima. Così fiorivano sotto le sue mani i candidi fiori di neve che l'oro sottilmente venava, i rosei e cilestrini anemoni fantastici, le gracili rose dal pallore vergineo, i mughetti, le piccole viole, i miosotidi, le resede sottili ed evanescenti....

Era un legger cespo di gigli che sbocciava in quel momento sul telaino: gli steli snelli avevan lo slancio leggiero di uno zampillo di luce smeraldina, le corolle candide parevan conchiglie di neve, modellato nella spuma del mare....

Paolo, il padre, taceva, intento al lavoro della figliuola.

Ad un tratto Cecilia alzò il capo.

— Che hai, babbo?... sei triste!

Paolo sorrise e si alzò.

— Triste, io, bambina?... t’inganni.

E la baciò sulla fronte.

La fanciulla alzò verso lui gli occhioni fondi.

— Oh, babbo!.... – mormorò profondamente seria.

Ma in quel punto come un’ombra passò sulla sua fronte. Ella ebbe come un lieve palpito, improvviso.

Volse la testina verso la porta: e una fuggevolissima ombra di contrarietà passò come un lampo ne’ suoi occhi.

— Oh, mamma!... – mormorò.

E la vocina, un poco bassa, era ritornata stanca, come sempre.

Elisa, la madre, entrava: e con un rapido sguardo ella aveva scôrta la tenera scena fra padre e figliuola. Lievemente essa impallidì.

— Buon giorno, Paolo – ella disse.

Poi si avanzò, venne a sedersi vicino alla figliuola e rimase così, in silenzio, bassa la testa, pensosa, sulle trine che andava intrecciando.

Cecilia seguitò il suo lavoro, silenziosa.

Nessuno dei tre più parlò, per un pezzo, nel salottino quieto e raccolto.

Ad un certo momento, Paolo si alzò, venne a baciare sulla fronte Cecilia, poi salutò la moglie con alcune brevi consuete parole e uscì dal salottino.

La madre e Cecilia rimasero sole.

La fanciulla seguitava a lavorare in silenzio: ma il fervore era svanito, la sua mano era stanca. Ogni tratto un lieve palpito di sospiro le gonfiava il seno.

Elisa, dietro lei, smesso un momento il lavoro, la osservava indagatrice.

Intorno alla sua piccola bocca era una lieve ruga amara, quasi dolorosa. Gli occhi fondi avevano intorno una sottile tristezza di ombra....

— Cecilia.... – mormorò essa.

La fanciulla alzò la testa.

— Non ti senti bene, bambina mia?... – esclamò la madre. – Sei tanto pallida....

Cecilia non rispose alla madre. Pareva dubitosa. Poi disse:

— Perchè dunque se ne è andato il babbo?...

La madre la guardò in silenzio. Una rapida fiamma passò sul suo pallido volto regolare; ma fu un lampo.

— Non lo so – rispose.

Ma soggiunse tosto, riprendendosi:

— Sarà forse andato.... – e disse, accattando visibilmente le idee, dove credeva potesse essere andato il padre.

Cecilia nulla aggiunse: e sospirò.

Elisa chinò la testa sulle sue trine.

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