Lo specchio.

Voi avete conosciuto Orazio Miralta: avete lette le sue novelle, le sue bizzarre e profonde novelle, dalle quali emana misterioso il fascino dell’«al di là», dell’ignoto, dell’invisibile.... Voi avete letto e meditato quelle sue prose che lasciano pensierosi; poi più nessuno intese parlare di lui. Il suo nome – che tante ombre ha evocato alla vostra coscienza – è ritornato anch’esso tra le ombre dalle quali pareva uscito soltanto per raccontarne i misteri....

Ebbene, io ho avvicinato Orazio Miralta: gli ho parlato, l’ho studiato, ho saputo della sua fine.

Anzi, meglio ancora, ho potuto seguire da presso, analizzare la dolorosa catastrofe che ha ottenebrato per sempre quella mente superba, privandoci di ulteriori rivelazioni intorno ad una vita a noi ignota.

*
* *

Era alto, bruno, piuttosto magro. I suoi occhi – bellissimi e stranissimi occhi – colpivano subito. Ardeva in essi perenne una fiamma, una tristezza, e a tratti una rapida gioia e un profondo sgomento che vi lasciava perplessi e pensosi. La vita di mille uomini diversi era in quegli occhi indimenticabili. Calmo, tranquillo, sdegnoso di ogni posa, alquanto chiuso di carattere, inclinato piuttosto, come tutti i veri sognatori e pensatori, alla quiete e alla solitudine, Orazio Miralta appariva cortese, semplice e naturale in ogni suo atto. Tutta la sua essenza, tutto «lui», era in quegli occhi. Talvolta, quando gli parlavate, rispondeva logicamente, a senso, dirò così. Ma i suoi occhi non erano con voi: quegli occhi aperti, sbarrati – o ridenti, commossi, estasiati – erano fissi in qualcosa che voi non potevate scorgere.

Mille vite bizzarre e lontane tumultuavano in quegli occhi. Strane visioni dovevano in essi passare inseguendosi: mille anime diverse dovevano ardere in essi. Occhi di allucinato, a volte, di sognatore, di amante, di filosofo, di poeta, e ahimè di pazzo!...

*
* *

Conobbi il titolo – solo il titolo, poichè altro non potè scrivere – dell’ultima sua novella: – «Lo specchio.»

Egli era frugatore instancabile di vecchi giornali, di antiche cronache della vita reale di ogni giorno. In essi egli cercava i fantasmi delle sue creazioni. Una di queste narrazioni colpì vivamente la sua fantasia.

Trattavasi d’un puro e semplice «fatto di cronaca.»

La giovane e bellissima marchesa di C*** un giorno era stata trovata dai servi assassinata nel suo palazzo, nel grande salone da ballo, chiuso e buio. Il marito era assente, lontano, a Londra: nel salone, sul luogo del delitto, nulla che potesse dare indizio alcuno dell’assassino, del movente, della situazione della dama durante il crimine.

Il salone, come si è detto, in quei giorni, stante l’assenza del padrone di casa, era chiuso; sbarrate le imposte, i mobili rivestiti delle loro coperte di tela bianca. Il salone era inoltre lontano dall’appartamento della signora.

Come mai lì dentro essa era stata trovata uccisa, in abito da camera, con una breve profonda ferita d’arma da taglio sotto alla nuca?... Un suicidio non era ammissibile, dato il genere della ferita. Su alcuno dei servi, subito arrestati, potè elevarsi il menomo dubbio di colpevolezza, tant’è vero che furono tutti rilasciati sicuri della loro innocenza.

Un dramma intimo, un amante, un mistero?...

La terribile domanda rimase per sempre senza risposta.

Il bianco freddo cadavere della bellissima Marchesa portò con sè nella tomba di famiglia la chiave del terribile enigma.

*
* *

Orazio Miralta rimase scosso seguendo – tre anni dopo il delitto – la narrazione e i particolari del famoso «fatto di cronaca.» Partì subito per la città ove esso si era svolto e si recò al palazzo dei marchesi C***. Dopo la tragedia il palazzo era rimasto chiuso e sbarrato. Il salone specialmente, il lugubre salone teatro del delitto, era stato lasciato intatto: il marchese aveva dato ordine di lasciarlo religiosamente come al momento del misfatto: non una scranna doveva essere smossa o toccata.

Orazio ottenne, dopo qualche esitanza, dal custode di poter visitare il palazzo. Si fermò a lungo, in particolar modo, nel famoso salone. Era uno dei soliti saloni nobiliari da ballo, ornato di ricchi mobili stile Luigi XV, in bianco e broccato rosso; dalla vôlta pendeva un vecchio lampadario di bronzo, pregevole lavoro del settecento. Ma ciò che profondamente colpì Orazio Miralta fu un grandissimo specchio sulla maggior parete del salone. Il custode gli mostrò il punto preciso ove il corpo della marchesa, freddo ed esanime, era stato trovato dai servi.

Il tappeto sul quale la morta era rimasta adagiata durante tutta la sua ultima notte, era ancora lì, allo stesso posto: e vi si scorgeva la chiazza – quantunque lavata e scolorita – lasciata dal sangue raggrumato della povera assassinata.

Orazio alzando la testa e gettando lo sguardo nella verde profondità misteriosa dello specchio ebbe come una rapida ed improvvisa visione nella mente.

«Quello specchio aveva veduto il delitto.»

Se qualcosa di ciò che è rimane nelle cose che circondano, quello specchio doveva serbare la imagine dell’attimo orrendo nel quale il delitto era stato consumato.

*
* *

Orazio Miralta fu preso, da allora, da questa idea fissa.

Spiegata la sua qualità al custode e rimuneratelo generosamente, egli ottenne di poter passare molte ore, solo, nel lugubre salone.

E là dentro, nel più profondo silenzio, egli sentiva serpeggiare nel suo cervello la strana febbre del mistero che ivi incombeva e di cui dovevano essere impregnati, per così dire, que’ mobili muti, quelle pareti, quelle vôlte istoriate; ma che sopra tutto doveva celarsi – inafferrabile visione alla sua povera vista di uomo – nelle profondità dell’immenso pauroso specchio che «tutto avea veduto.»

E preso dalla strana follia che ormai offuscava la sua ragione, egli passava lunghe tormentose ore davanti alla verde conca di quello specchio ove scorgeva misteriose ombre muoversi, aggrovigliarsi, senza riuscire ad afferrarne l’essenza, il contorno.... La poca luce che dalle chiuse imposte giungeva sino allo specchio sconvolgeva vieppiù i fantasmi in esso celati.

La salute di Orazio Miralta era scossa. Se in quei giorni qualche medico o qualche amico avesse potuto sapere ciò che andava agitandosi nel suo spirito, l’avrebbe a forza tratto di là, da quella fatale città, e da quei fantasmi di malato, salvandogli così la ragione.

Ma la sorte di Orazio Miralta era forse decisa.

Un giorno – era una triste giornata coperta e plumbea – Orazio indugiò più del solito nel nefasto salone.... La sera già cadeva ed egli era ancora là, ritto innanzi allo specchio fatale, ormai quasi tutto nelle tenebre.

A un tratto davanti a’ suoi occhi lo specchio parve animarsi: una luce cominciò ad ardere nell’abisso delle sue ombre ed egli scorse un’alta figura, rigida e spettrale, immota.

Era lui, Orazio Miralta. lui in persona che lo specchio rifletteva circonfondendolo della luce da cui erasi animato. E davanti agli occhi dell’allucinato la sua figura ad un tratto si mosse, pallida e fremente: qualcosa brillò nelle sue mani: un pugnale. Lo spettro si chinò e vibrò l’arma più volte, rapido, forsennato.... Ai suoi piedi era la bianca visione della marchesa scarmigliata e sanguinosa. Quanto sangue e quanta bianchezza!... Lui, lui, dunque l’assassino – lui, Orazio Miralta che uccideva – lui che sguazzava nel sangue, lui il colpevole ch’era venuto a domandare allo specchio?...

Orazio Miralta, gli occhi sbarrati, le membra agitate dal grande tremito che non doveva più abbandonarle, cadde al suolo.

La sua pazzia incominciava....

Share on Twitter Share on Facebook