Nella vecchia sala da pranzo, troppo vasta per la lampada sospesa sulla mensa imbandita che mal riusciva a fugarne tutte le ombre, i Sergio si mettevano a tavola quando il vecchio Domenico recò s’un vassoio di argento – un’autentica nobiliare reliquia della famiglia – il telegramma da Roma.
I Sergio: il vecchio conte, la consorte e i due figliuoli si guardarono in volto, l’un l’altro indecisi; tutti secretamente turbati. Il presentimento era nel cuore di tutti. Poi don Paolo, il vecchio, lacerò con mano tremante il dispaccio, mentre donna Albina impazientita, spiegazzava un po’ ruvidamente il tovagliolino che aveva dinanzi. Silvia aveva nascosto il volto fra le mani.
Don Paolo riuscì a dissuggellare la busta e lesse: ristette; rilesse ancora e la sua bianca testa cadde sul petto, mentre una lacrima gli colava sulle gote.
E un lamento uscì dalle labbra tremanti:
— Ohimè! ohimè!
E, come un singhiozzo che scoteva tutta quella povera testa di vecchio doloroso, ancora:
— Oh, io attendeva questo!...
E il vecchio rimase in piedi, altissimo, dinanzi al bianco desco che dominava, una mano bianca ed affilata ove luceva ancora l’ultima gemma dei Sergio, largo aperta sulla nivea tovaglia. E la mano tremava, non di sola vecchiaia, in quel punto.
Donna Albina proruppe allora, mal potendo ormai più contenere il pletorico temperamento di borghese molto a fatica contenuto sotto le spoglie della contessa Sergio:
— Suvvia leggete, adunque! fate sentire la vostra voce! fate sapere a codesti altri vostri figliuoli ciò che del vecchio nome a cui tanto tenete, fa il vostro primogenito! Ma leggete adunque...
Il vecchio sospirò:
— È vero... non mi mancava che questo colpo! Doveva giungere a sessantacinque anni per vedere il mio nome... così!... – E le labbra aguzze e tremanti gemettero ancora, stanche: – ohimè! ohimè!
E cadde a sedere pesantemente.
Donna Albina ruppe novamente il silenzio che gravava nella vecchia sala da pranzo, tetra nelle ombre pioventi da le immense credenze d’altri tempi.
— Sicuro che attendevate cotesto, voi! oh, anch’io avevo preveduto quel che sarebbe avvenuto di cotesto vostro preferito figliuolo! (E la voce di donna Albina stridette sopra queste ultime parole.) Ma via, leggete il dispaccio, e leggete ben forte.... che noi tutti si possa godere delle prodezze del primogenito dei Sergio!...
E veduto che il vecchio, immoto, non parea neppure averla udita, ella riprese volgendosi ad Andrea, il secondo de’ figli che tacea, sgomentato anch’egli:
— Via, Andrea, leggi tu... e leggi forte.
Ma il vecchio distese le mani sul foglio e accennò al figliuolo:
— Non importa... è inutile.
E alzando la testa, proferì:
— Piero è stato cacciato dal suo reggimento.
Seguì un breve silenzio doloroso:
— Ed è stato cacciato... per debiti di giuoco.
La voce del vecchio tremò mentre la condanna del nome usciva a fatica, davanti agli altri figliuoli, dalle sue labbra.
Il silenzio doloroso gravò novamente nella sala da pranzo dei Sergio.
Donna Albina stracciò il tovagliolino che aveva tra le mani.
Silvia piangeva.
Don Paolo disse ancora, come un soffio:
— Egli sarà qui, domani.
E volgendosi al vecchio servo Domenico, il fido vecchissimo servo che aveva veduto nascere don Paolo e morire il padre don Livio Sergio, e che ora annichilito aveva assistito a tutta la scena, mormorò:
— Ed ora, Domenico.... fate pure servire il pranzo.