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La strada ora – più alpestre e solitaria che mai – correva tranquilla e piana sulla alta spianata della collina, ai piedi del gran monte che gradatamente si andava alzando. Ma intorno era ancora una grande aridezza: poche piante gettavan dal magro terreno roccioso; quasi tutte, arbusti angolosi e stentii. Però l'aria, a quell'altezza, era purissima. Venivano a tratti fresche ondate d'aromi alpestri e il cielo in alto era limpidissimo. Il viaggiatore camminava, senza curarsi della strada già fatta, senza sentire la stanchezza; la testa bassa, senza vedere il paesaggio. Egli non pensava che a proseguire: incurante dello spazio, incurante del tempo, del quale egli aveva ormai perduto la nozione, incurante della fatica, che quasi non sentiva più.

Dove andava egli dunque?

Non lo sapeva.

Egli fuggiva. Egli si allontanava dalla vita.

Una forza misteriosa lo guidava, senza ch'egli se ne dovesse dar pena, al luogo ignoto stabilito dal suo destino. Ed egli obbediva, senza saperlo, alla forza misteriosa che lo conduceva.

Intanto il corso del sole doveva essere già molto innanzi nel suo cammino: i raggi, sebben mitigati dall'altitudine alpestre, saettavano sulla fronte del solitario camminatore. Ma come egli appariva insensibile alla fatica della strada, così non faceva veruna attenzione al sudore che gli scendeva abbondante dal volto.

Però il cielo, fino allora sereno e limpidissimo, si andava lentamente velando di nebbia: sottile in alto e diffusa, ma all'orizzonte vieppiù grigia e densa.

E la strada s'era mutata in sentiero, mentre gli arbusti avevan ceduto il posto ad alberelli più alti, dapprima esili e radi, poi, man mano che il camminatore avanzava, sempre più fitti e ramosi.

A un tratto, incerto e velato, venne, forse dalla valle che s'era lasciata alle spalle, di fra le rame della boscaglia che vieppiù si affittiva, il suono lontano di una campana che invitava all'Angelus. Il viaggiatore si fermò un momento ad ascoltare la lontana voce di Dio, veniente dal mondo dal quale si allontanava: poi scrollò le spalle e riprese il cammino.

Il cielo si oscurò tutto: un rombo lontano annunciò la tempesta.

Il viaggiatore non se ne dette pensiero.

Una sottil acqueruggiola cominciò a cadere dal cielo. Egli parve sentirne refrigerio: si scoprì la testa per sentirne la fresca carezza sulla fronte ardente. L'olezzo della boscaglia che il fresco bacio delle stille dissetava, gli venne alle nari lieve e refrigerante.

E il sole ormai doveva essere presso la fine del suo corso. Apparì un momento acceso e sanguinoso fra le nubi dell'orizzonte. Il suo guizzo spruzzò di sangue le rame degli arbusti e fe' scintillare la sabbia umida. Pioveva sempre. Poi il sole si velò, e le ombre della sera scesero rapide dal cielo color del piombo.

Il bosco s'era fatto più fitto. Ma il viaggiatore ormai scorgeva a stento quanto lo circondava. Le ombre invadevano tutto.

Nella notte ormai oscura, mentre la pioggia cadeva sulla sua testa, fredda e uguale, egli continuò il suo cammino, per molto tempo ancora, forse per molte ore.

Finalmente si arrestò.

Davanti a lui, lontano lontano, incerto, velato, aveva scorto un lume.

Si diresse a quella volta, nel buio, senza discernere più nulla intorno a sè, guidato da quel barlume che ora scompariva per riapparire tra le fronde stillanti, come un faro.

Finalmente vi fu da presso. Era una grande capanna di legno e di paglia. La porta ne era chiusa, ma da un finestrino, ad altezza d'uomo, usciva il chiarore ch'era giunto lontano, sino all'occhio del camminatore e che gli era stato faro nella notte.

Egli si fece sino a quel finestrino e guardò.

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