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Mentre stava per uscire dal bosco un'altra visione lo colpì.

In un piccolo spiazzo scoperto, il vecchio Arcangelo, la testa spaccata, copriva la terra sanguinosa con la sua grande spettrale persona.

– Anche lui, finito così, come tutti gli altri, nella grande rovina, – mormorò Pietro guardandolo. Il vecchio Arcangelo aveva, lui, pagato il suo delitto.

Ed era venuta – almeno – per lui la fine!

Egli solo dunque era sopravvissuto, unico testimone di tanta morte!...

Riprese il triste cammino nell'immenso campo dei morti.

Quasi nel mezzo di esso si fermò: si sedette sopra una larga pietra chiazzata di sangue.

Intorno a lui i cadaveri si accumulavano e giacevano alla rinfusa. A Pietro parve scorgere come, in quel punto, apparissero tutti di giovani, in gran parte imberbi, quasi. Lì doveva esser venuta a morire una squadra di volontari.

Supino, con le braccia aperte, il volto fin quasi presso i suoi piedi, Pietro distinse, vicinissimo, un giovane soldato morto. Era giovanissimo, un fanciullo quasi. Il volto candido, calmo, senza una contrazione nè una macchia di sangue, spiccava nitido sulla terra nerastra.

E Pietro guardandolo vide passarsi davanti, rapida come una visione, la storia di quel giovanetto soldato morto.

Studente, forse: giovane, ardente, poeta! Una sera, al solito ritrovo de' suoi coetanei, come lui ardenti e poeti, una voce ha gridato viva alla guerra. La guerra!... la febbre, la conquista, la vittoria, la gloria!... Un cumulo di cose belle, grandi, giovani e ardenti. Il sangue dei giovanetti poeti ha colorito le loro guancie imberbi e con un solo grido, quella sera, hanno inneggiato alla guerra, alla divina, luminosa Guerra, alla conquista, alla vittoria, alla gloria!... E hanno urlato tutti di partire per la guerra.

E il giovanetto poeta è partito, fors'anche è fuggito: da qualcuno forse che ha tentato trattenerlo: una vecchia madre che non sa che piangere e che non conosce la Gloria.... Eccolo soldato, il giovanetto poeta! Gli han posto in mano un fucile, in fretta e furia; in un immenso cortile di caserma ingombro di carri, di armi, d'ambulanze, di soldati in partenza, gli hanno insegnato come adoperare a dovere quell'arma. Un ultimo grido di viva – a tutto: alla giovinezza, alla guerra, alla vittoria! – e il nuovo soldato giovanetto è partito. Cacciato da una caserma ad un'altra, dopo un seguito di marce notturne per lunghe strade bianche e polverose o lungo desolate campagne, per vigneti devastati e frutteti infranti, egli, stanco, ansante, morente di disagio, di sonno, di misterioso orgasmo, è giunto finalmente al grande campo della Gloria, come ha sempre detto – il campo della Morte, come intensamente sente ora. Un generale, forse un Principe, parla ancora a lui, e agli altri cento, che son con lui, della Bandiera, dell'onore, della vittoria e della gloria. Ma egli ascolta trasognato, tramortito, come in febbre, quelle parole che un giorno l'hanno fatto sobbalzare di ardore e di sdegno. Il giovanetto soldato poeta si guarda intorno. Che bel cielo sereno! Come sono verdi gli alberi, come è profumata la brezza che vien dalla valle! Che triste luogo per uccidere ed essere ucciso!... Ma non c'è tempo da meditare: un rombo lontano e continuo annuncia che altrove si muore. Non c'è tempo da perdere. La morte si avvicina. Bisogna uccidere od essere uccisi. A un tratto un movimento rapido di cavalli, di ufficiali, di comandi si fa davanti alla squadra. Un fremito passa fra le fila mute. La squadra si muove: si va alla guerra. Quasi correndo si discende la collina. I giovani volontari si guardano furtivamente in faccia. Tutti sono pallidi, contraffatti, ansanti. Uno piange convulsamente, silenziosamente, forse senza neppur saperlo. Il grido potente continua: avanti! avanti! Il rombo è vicinissimo. Passano sulla testa dei sibili acuti che lacerano gli orecchi. La squadra si ferma. Davanti è una densa cortina di fumo che impedisce di vedere. Il cielo azzurro, il verde, la valle, tutto è sparito. Rossi lampi solcano la densa cortina nerastra, che dissecca la gola e accieca gli occhi. Ad un tratto uno cade nella squadra: poi un altro, un altro, un altro ancora. La voce grida: "fuoco!" e urla: "e avanti, avanti sempre!..." Il giovanetto poeta che ormai ha veduto morire i due suoi compagni vicini e sa come si muore, rabbrividisce, poi punta il fucile, davanti a sè, senza nulla vedere e fa fuoco. Egli è calmo ora: non è in collera, non ha furore; anzi come una sottile gioia lo ha invaso, un desiderio acuto: morire, morire, morir presto anche lui! Uscire da quel fumo, da quel fulminar continuo di lampi rossi, da quel rombo infernale che non posa mai.

Ecco. Un lieve urto al petto. E la nebbia sparisce, la terra manca sotto i piedi. L'ultima violenta sensazione dolorosa di un piede brutale che urta in mezzo al petto, sulla ferita, poi sulla testa.... Poi più nulla. Tutto è finito. La morte del poeta soldato sul campo di battaglia!

Pietro si chinò sopra il morto. Il suo volto di cera non aveva una contrazione, i suoi occhi aperti, senza sguardo, fissavano il cielo.

Forse, molto lontano, in una viuzza, in una cameretta triste, una donna dai capelli bianchi piangeva e malediva la guerra. Una povera donna che non conosceva la Gloria, piangeva un caro sogno di speranza e di amore distrutto per sempre.

Così – anche – intorno a Pietro tutto ora finiva!

Il piccolo raggio di Bene ch'egli aveva creduto alle sue mani concesso da Dio, s'era annientato nel buio della morte e della distruzione.

Tutto era scomparso, distrutto, finito: la sola sua colpa ora rimaneva ed eterna.

Poichè il male non si distrugge, esso rimane nei secoli; il male è immortale. E poichè ogni speranza finiva, una freddissima angoscia scese al cuore di colui che, nella nuova sua vita, aveva voluto essere chiamato Pietro. Ed alzò il volto verso le fredde stelle scintillanti nel cielo nero.

Ma una lieve musica, uscente fioca e incerta dalla campagna immensa, intorno a lui, lo colpì. Era la canzone dei grilli, dei pochi poveri grilli che la fiumana di sangue dalla terra bevuta aveva lasciati ancora in vita. Egli ricordò un'altra volta la stessa canzone, nel prato sconfinato e pieno di erbe e di fiori, che la luce del tramonto velava di ombre rosee, mentre la brezza della sera portava lo scampanìo lontano delle chiesette perdute sul monte.

Come allora egli porse orecchio alla canzone dei grilli. Uno specialmente, più vicino a lui, che dal suo cespuglio ora non più fiorito ma intriso di sangue, chissà quante primavere di sole aveva veduto, cantava più forte ma più accorato.

E anche ora – come allora – la canzone del vecchio grillo diceva:

– La Natura è pura ed innocente – sempre ed ovunque – è l'anima degli uomini che è impura. Grava sulla loro anima trista un vecchio e misterioso Peccato che è sfuggito alla Grazia. Pende sul capo degli uomini una condanna che si perde nei secoli. Poichè la Natura è pura ed innocente, perchè come Dio l'ha creata è rimasta fedele. –

Così cantava il vecchio grillo, dal suo cespuglio non più fiorito ma intriso di sangue.

E Pietro ricordò le oscure parole che lo colpirono un giorno, fanciullo, leggendo la Sacra Scrittura, e che lo fecero piangere.

FINE.

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