*

Ritornai un paio di ore dopo.

– Non ne ho avuto il coraggio, – mi disse all'orecchio la vecchia Mary.

– Diavolo! – esclamai.

– Perdonatemi.... sono così commossa! Non so come incominciare, cosa fare, che dire....

– Andiamo, – dissi, – tenterò io.... Come sta mistress?

– Molto bene, questa mattina. S'è risvegliata di ottimo umore. E quasi allegra. Non è mai stata così sollevata.

– Benissimo, allora. Il momento non potrebbe essere più propizio....

Mary m'introdusse nel solito salottino. Mistress Mildred comparve quasi subito. Alla prima occhiata riconobbi che Mary aveva detto il vero. Mistress pareva ringiovanita di dieci anni. I suoi occhi scintillavano, il pallore era quasi scomparso. Ella sorrideva. Mi tese la mano ed esclamò:

– Voi mi portate buone nuove, non è vero?

– Lo sapete?

– L'ho sognato stanotte.

– Brava.

– Oh, ma quello che ho sognato sarebbe troppo straordinario....

– Sentiamo.

– Lasciamo andare, – esclamò mistress, – i sogni, da tempo immemorabile, sono fallaci e inutili....

– Meno di quanto si crede, alle volte, – mormorai. E deciso, volto a lei: – Mistress, vi reco veramente delle buone notizie....

– Dite davvero? – esclamò ella scotendosi.

– Sì, mistress. Ma voi dovete anzitutto promettermi una cosa....

– Vi ascolto.

– Di essere calma.

– Dio mio! – esclamò ella tutta agitata, – ma dunque....

– Cose belle, cose belle! – esclamai.

– Parlate su, vi ascolto.

– Abbiamo notizie di....

– Di.... – ripetè lei impallidendo.

– Di ciò che voi desideravate sapere, – diss'io, cercando di venire gradatamente alla grande notizia.

– Delle mie bambine? – esclamò ella.

Era pallidissima: le sue labbra tremavano.

– Se un giorno è stata colpevole, – mormorò dentro di me il mio cuore, – questo momento la deve assolvere completamente!... – E a voce alta: – Sì.

Ella mi guardò smarrita.

– Dite, dite, vi prego....

– Datemi la vostra mano, mistress, e siate forte....

– Dio mio, – gemette la povera signora.

– La vostra bambina.... la grande....

– Ethel.

– Sì, Ethel....

– Ebbene?

– Vive, – dissi.

– Dio! – urlò la madre.

Rimase un istante rigida, gli occhi sbarrati, immota. Poi si gettò su di me.

– Vive, avete detto? – borbottò; – vive? avete detto davvero? non avete mentito? è possibile questo? vive?...

– Calmatevi, signora mia, – esclamai, – sì, la vostra bambina, la vostra Ethel vive....

– Dov'è dunque?

– Oh, molto più vicino che voi non immaginiate.

– Dov'è?

– A New-York.

Mistress si alzò.

– Andiamo. Voglio vederla. Conducetemi da lei. Da mia figlia!

– Calmatevi, prima.

E cercai di spiegarle che la figliuola era già pronta per venire; che la stessa sera gliela avrei condotta.... Che anch'ella, poverina, in quel momento attendeva come lei, tutta agitata e fremente, l'istante tanto terribilmente dolce e atteso.... Ma ella pareva impazzita.

– Andiamo, subito, voglio vederla subito, – gridava.

Mary accorse. Ella si mise intorno alla sua padrona, cercò di calmarla, di convincerla ad aver pazienza, a non precipitare le cose. Io cercavo di secondarla del mio meglio. Infine la prima crisi nervosa si acquietò. Mistress divenne più calma, più ragionevole. Finì per comprendere.

– Avete ragione, avete ragione, amici miei, – esclamava tra le lagrime che abbondanti le scorrevano pel volto.

Quel pianto fece bene a mistress Mildred e la calmò.

– Mi promettete di condurmela subito, la mia creatura? – mormorava ogni momento.

– Ma sì, subito, – badavo io ad assicurarla.

Ed ella seguitava a piangere, a piangere, chetamente ora. E quelle lagrime refrigeranti le aprivano il cuore come una pioggia benefica mollifica e addolcisce la terra arida e bruciata dal sollione che l'ha arsa inesorabile per settimane e settimane.

– E Ketty?... – mormorò ad un tratto.

Cercai una pietosa menzogna, per tagliar tosto la via alla nuova ambascia.

– Morta, piccina ancora.... allora, in que' giorni che sapete.

– Povero angelo! – mormorò la madre.

E si raccolse a piangere e a pregare in silenzio. Ma ne' suoi occhi era la gioia, una strana e folle gioia quale mai io avevo intuita l'eguale: la gioia selvaggia della madre – donna o fiera – che ha ritrovato i piccini creduti morti o perduti. E per la seconda volta il mio cuore mi mormorò:

– Ah! se fu colpevole un giorno, questo momento la riabilita e assolve completamente!

Prima ch'io partissi ella venne a me e mostrandomi un medaglioncino d'oro mi disse:

– Eccola, la vedete? è la piccola Ethel.... di allora!

La guardai. Riconobbi la bella fronte aperta e i cari occhi luminosi.

– È lei, – mormorai.

– Ed ora, come s'è fatta ? – esclamò la madre, – è alta? è sempre così vivace, è....

– La vedrete tra poche ore, – le risposi. – Vado a prenderla e a portarvela!

– Grazie, mio Dio, – gridò ella. E cadde in ginocchio.

XX.

Mentre si stava per montare in sul treno, Ethel pallidissima si arrestò. Mi voltai a lei.

– Cos'avete, Ethel?...

Ella balbettò:

– Non so.... ho sentito come un colpo al cuore.... non comprendo.

E mormorò smarrita e sottovoce:

– Non so.... ho paura.

La guardai.

– Paura?... e di che?... ora che tutto è finito ?... ora che state per riveder vostra madre?

– Avete ragione.... sono una sciocca.... eppure....

– Via, via, Ethel.... siete una fanciulla americana.... non dimenticatelo!... Siate forte e coraggiosa. Da noi voi passate come il più seducente tipo delle donnine forti e geniali.... e di spirito.

Ethel sorrise.

– Avete ragione, – mormorò, – debbo essere forte.

Il treno volava sopra i tetti, le strade, le officine, i fiumi, i ponti, i giardini.... come sogliono volare i treni americani. Una fantasmagoria di cose diverse e lontane spariva vertiginosamente sotto i nostri sguardi.

Sotto di noi era la forte e "telegrafica" vita americana che s'involava con la rapidità della visione di un sogno ai nostri sguardi; in alto, intorno, correva un telaio inestricabile di fili telefonici, elettrici, telegrafici....

Il cielo azzurrissimo – non ho mai veduto un cielo americano tanto azzurro come in quel giorno, sopra di noi – in alto pareva dirci: "quassù finalmente finisce la vostra vita farraginosa e comincia quella calma ed eguale della vostra grande mamma, la Natura!"

Io cercavo di tener allegra miss Ethel: ma la fanciulla era agitata d'uno strano fremito, d'un incomprensibile turbamento ch'io non riusciva del tutto a comprendere....

Quando spuntarono le primo case di T...., miss Ethel cominciò a tremare più forte. Ella si alzò in piedi. Era pallida come un morto.

– Ma, Ethel.... – mormorai.

La sua agitazione mi turbava. Ella era impaziente, fremente, vinta ormai da una trepidazione che non riusciva a dissimulare. Il treno si fermò.

– Andiamo, andiamo presto, – ella mormorò.

Salimmo in una di quelle caratteristiche vetture nord-americane dal tipico e bizzarro cocchiere così noto agli europei che hanno viaggiato in America.

In meno di mezz'ora eravamo davanti al cancelletto di ferro.... Era aperto. Fui meravigliato di non veder venirci incontro la vecchia Mary. Il giardinetto era deserto. Ma la porta della palazzina era spalancata. Ne usciva un giovane signore con aria preoccupata. Vedendoci entrare si fermò a guardarci, poi si avvicinò a me.

– Dove vanno? – domandò.

– Ma.... da mistress.... siamo aspettati.... – mormorai stupito.

Egli mi guardò serio, poi si chinò al orecchio:

– Sono il suo dottore.... – cominciò.

– Ebbene? – feci trasalendo.

– È morta da un'ora.

– Dio!... – ebbi la forza di profferire.

– Sì.... d'un colpo, improvvisamente. Era una donna nervosa, celava qualche difetto organico forse....

Ma io non comprendevo oltre le parole del dottore. Mi sentivo mancare. Ethel, che non aveva sentito nè compreso nulla, mi attendeva sulla porta, pallida e impaziente.

In quel mentre sentimmo un grande grido. La vecchia Mary era apparsa. Si avanzò fino a noi, passò rasente a Ethel senza vederla, venne difilata sino a me.

– Morta, morta, morta! – singhiozzò.

Un urlo sovrumano le rispose:

– La mamma è morta!

Era Ethel. Pallida, fredda, immota come un cadavere, ella era rimasta rigida, ritta sulla porta della palazzina. Bianca, stravolta, gli occhi vitrei, ella pareva uno spettro.

– Morta!... la mamma è morta!... – ripetè con un'altra voce.

– E gorgogliò ancora:

– Lo sapevo.

Mary continuava fra i singhiozzi:

– Un'ora fa.... stava tanto bene.... era così allegra, felice.... s'era vestita a nuovo.... si era fatta bella.... per rivedere la sua creatura.... la sua bambina.... Era tanto felice!... Poi a un tratto s'è fatta smorta.... ha portato le mani al cuore.... ha dato un urlo, uno solo: – Ah! – ed è caduta giù, rovescia, come uno straccio.... morta, morta!

Ethel, sempre rigida, ascoltava in silenzio.

Quando Mary ebbe finito di parlare disse imperiosa:

– Andiamo.

E poichè nessuno di noi, allibiti, si muoveva, ripetè risoluta:

– Andiamo dunque.... voglio veder mia madre.

E si avviò rigida ma sicura. La seguii.

Ella pareva conoscere i luoghi, tanto camminava sicura. Davanti a noi si parò una porta aperta. Una rapida visione di chiesa mi percosse la vista. Davanti a me, sul letto bianco era la morta. A' suoi piedi erano due ceri accesi. Ella era bianca, tranquilla, quasi sorridente.... Le mani incrociate sul petto stringevano qualcosa che luccicava.... Riconobbi il medaglioncino d'oro che mi aveva mostrato il mattino.

Il ritratto della sua Ethel piccina....

L'unica che aveva potuto baciare e conoscere, poichè Dio ne' suoi infiniti disegni non aveva voluto ch'ella potesse baciare e conoscere l'altra, la grande, che ora pallida e immota la guardava da fondo il letto....

Poi Ethel si avvicinò alla morta e si chinò su di lei.

– Mamma! – chiamò a bassa voce.

E chinandosi vieppiù sopra la morta, quasi a sfiorarla con l'alito ripetè, senza una lagrima:

– Mamma!... sono io, la tua Ethel....

E cadde sopra di lei. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Poichè la bara fu scomparsa sotto i fiori e sotto le zolle di terra nel piccolo cimitero del paese, Ethel, che mai sino a quel momento mi aveva rivolto la parola, venne sino a me e mi porse la mano:

– Grazie di quanto avete fatto per me, amico mio.

Ella aveva vegliato sino agli ultimi momenti concessi la salma della povera madre che viva non aveva potuto conoscere, l'aveva composta nella bara, l'aveva accompagnata alla fossa, senza mai fare una parola nè versare una lagrima.

Non una stilla era uscita, nel frattempo, dai suoi occhi sbarrati, aperti, vitrei, senza luce. La sua immobilità, la sua rigidezza, il suo silenzio mi spaventavano.... Ella ripetè:

– Grazie, amico mio....

Io le strinsi forte la piccola mano diaccia e senza vita.

Ella, poichè tutti se ne furono andati, rimase a pregare sulla recente tomba della madre. Poi si alzò e venne a me.

– Andiamo, – mormorò.

Io le offersi il braccio.

– Grazie, – mormorò.

Prima di uscire dal cimitero s'inginocchiò ancora sull'erba verde del limitare. Quando si alzò, mormorò sottovoce

– Sola.... veramente sola!...

Io le ripresi la mano.

– V'ingannate, Ethel! – esclamai.

Ella non rispose.

– Ethel.... – cominciai.

E come ella non pareva avermi udito ripetei più forte:

– Ethel....

Ella si mosse.

– Ethel.... – ripresi, – volete essermi compagna.... per sempre?

Ella alzò sopra di me i begli occhi luminosi che una tristezza mortale ora velava di ombre.

– Volete essere mia moglie?

Una lieve fiamma di luce passò sul pallore intenso del suo volto. Non disse nulla. Ma abbandonò la testa dolorosa sopra il mio petto. E scoppiò in pianto.

Il nodo di lagrime che sino a quel momento l'aveva tenuta serrata alla gola si sciolse.

E le lagrime, le care e dolci e benefiche lagrime, irruppero.

Lagrime di spasimo, di angoscia, di sorpresa, di speranza e di amore....

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