§ I. — Orticoltura.

700. Aratura degli orti. — L’aratura si fa ad epoche e con metodi diversi, secondo le qualità dei terreni e le specie di piante che si vogliono coltivare. Quindi le terre leggieri ed aride si debbono arare assai profondamente prima del verno, acciocchè le acque vi possano penetrare: durante la stagion calda, converrà ararle solamente ne’ tempi di pioggia; ovvero, qualora vi abbia necessità di farlo ad onta che il tempo sia asciutto, bisognerà subito dar loro un’abbondante irrigazione, la quale renda men pronta e meno facile l’evaporazione della loro umidità.

Per lo contrario, non bisogna dare alle terre forti, compatte, fredde ed umide, se non che una leggiera aratura verso la fine dell’ottobre, per uguagliarle e far perire l’erbe maligne; ma di primavera, quando la stagione delle piogge è passata, e d’estate, quando il tempo è più che mai secco, gioverà l’ararle più profondamente e più spesso che si possa, a fine di romperle, svolgerle, dividerle, e farne svaporare la soverchia umidità. Però la profondità delle arature al piede degli alberi si regola a norma della maggiore o minore estensione delle loro radici, onde non le offendere, di non metterle allo scoperto, e di non danneggiare il loro capellamento. Ma sommamente importa di differire le arature della primavera infino a tanto che gli alberi sieno sfioriti e che abbiano allegato, qualora altre occupazioni avessero impedito di farlo alcun tempo prima del loro fiorire; imperocchè le terre arate esalano assai più vapore, che non fanno quelle la cui superficie è ferma e rassodata; e i fiori, umettati e inteneriti da tali vapori, vengono danneggiati dalle brine, che ancora sono frequenti in tale stagione. Allora quando si ari al piè de’ ciriegi, de’ susini e di tutti gli alberi novelli d’un anno infino a tre, e che non piova a tempo, la terra, inaridendo, non può somministrare quell’abbondante nutrimento ch’è loro necessario.

701. De’ concimi. —Quando un terreno, per essere stato troppo adoperato, si sfrutta e stancasi, non bastano le arature a sostenere e perpetuare la sua fertilità: fa d’uopo che buoni concimi gli restituiscano i sali di cui fu spogliato.

I concimi più noti agli ortolani, e più usati a bonificar gli orti, sono i letami marciti e consumati. Ma qual sorta di concime si conviene a ciascuna specie di terreno? Quando e come fa mestieri d’adoperarlo? Ecco ciò che verremo qui sotto esaminando.

Il letame di cavallo è assai atto a correggere i difetti delle terre compatte, fredde e pigre; e qualora esso non fosse abbastanza efficace, si potrebbe sostituirgli od aggiungergli i cacherelli di pecora, e più meglio ancora la polvere di sterco.

Il letame di vacca, che ha poco calore, ma che è grasso ed untuoso, si addice moltissimo alle terre leggieri e calde, le cui particelle troppo tenui e dilatate hanno bisogno d’essere ravvicinate ed unite per poter conservare l’umido e il fresco.

Non devonsi sotterrare i letami troppo profondamente, giacchè sarebbe lo stesso che renderli inutili, non arrivando la maggior parte delle piante a molta profondità.

L’inverno è il vero tempo di letamare la terra. Si fa una profonda aratura, e si distende il letame sul terreno: passato il freddo, si fa un’altra aratura meno profonda, e si ricopre il letame. In tal modo esso finisce di consumarsi, e le piogge, distaccandone i sali, li mischiano e spargono per tutte le molecole della terra.

Un terreno che frutta una sol volta all’anno, non richiede d’essere concimato nè tanto nè così spesso come se ogni anno vi si succedessero più specie di piante, ovvero che non gli si lasciasse nessun riposo, come sono appunto gli orti.

Finalmente vi ha de’ legumi che non richieggono letame; altri non vi diventano così buoni e belli; parecchi vi contraggono certe cattive qualità; tutti poi riescono migliori in un terreno mescolato a terriccio. Quanto più la pianta è delicata, fa bisogno di maggior quantità di terriccio; ma rare volte ne comporta più della metà.

702. Concime per le viti. — Le vinacce che si buttano via allorchè si è fatto il vino, mescolate col sangue degli animali che si scannano al macello, e tre quarte parti di terra nuova, formano un ottimo concime per le viti. Si mischiano le tre sostanze indicate, si mettono in una fossa, e vi si gettano dentro le foglie di vite con quanto basta d’acqua: il miscuglio fermenta, e l’anno appresso, sparso in poca quantità al piè delle viti, le ravviva e fa sì che gettino messiticci più belli, e producano uve più saporite.

703. Maniera di convertire in letame ogni erba parassita. — Si faccia prima di tutto un letto, alto mezzo braccio, di erbe parassite verdi; sopra vi si distenda un leggier strato di calcina viva polverizzata, e si continui sempre in tal modo a fare alternativamente uno strato d’erbe, ed un altro di calcina. Rimaste che sieno le materie in contatto per qualche ora, si manifesta la loro decomposizione. È però necessario d’impedir l’infiammazione spontanea che può risultare dallo sviluppo del calorico, coprendo la massa con terra ed erba.

In capo a 24 ore la decomposizione è compiuta, e la cenere che ne risulta, possiede tutte le qualità d’un eccellente letame.

704. Vermi di terriccio. — Si preservano le cipolle ed altre piante delicate dai vermi che rodono le loro radici, mischiando del carbone pesto e crivellato fino alla quantità di 1/5 sulla totalità della terra preparata per queste piante. La detta polvere, fra gli altri vantaggi, ha quello di avvelenare gl’insetti del terriccio, di fertilizzare a meraviglia la terra, e di tenerla sempre fresca.

(Per ciò che riguarda gl’insetti ed animali nocivi alle piante, veggansi i num. 635 e seguenti).

705. Delle semenze. — Affinchè le seminagioni riescano bene, è necessario soprattutto l’avere di buone semenze. Bisogna dunque conoscere la forma di ciascuna semenza, la grossezza, il colore, l’odore ch’esse debbono avere per esser buone, e per quanti anni conservino la loro fecondità; come pure è necessario sapere che età esse abbiano al momento che le si seminano. Tutte queste cose non si possono indovinare alla sola ispezione delle semenze; quindi l’unico mezzo di accertarsi della loro buona qualità, si è il raccoglierle da sè con tutte le cure e precauzioni possibili.

Per conservare genuine e schiette ogni specie di piante, bisogna tenere quanto più si può distante fra loro quelle da semenza, allorchè sono di specie diversa; laonde non si devono lasciar piante da semenza di lattuga crespa vicino a quelle di lattuga romana; piante di cipolle rosse vicino a quelle di cipolle bianche; e cosi delle altre piante. Ma non v’ha nessun inconveniente a lasciar le piante da semenza di cavolo accanto a quelle di lattuga, o di cipolle, o di rape, ecc. In poche parole, quanto più le specie si rassomigliano, tanto più si deve tenerne isolate le piante da semenza, affinchè non vengano ad imbastardirsi.

Si devono sempre destinare per semenza le piante più belle e migliori della loro specie; le più sane, rivestite di tutte le loro foglie, e che non sieno nè troppo più grandi, nè troppo più piccole di quello che sogliono esserlo ordinariamente. Ancora fa d’uopo che la pianta da semenza, durante il suo crescere fino a maturità, non abbia troppo sofferto la siccità; che non sia stata rotta da venti o da altro accidente qualunque, che non sia stata infestata dagl’insetti, soprattutto che non sia stata spogliata delle sue foglie prima della formazione de’ semi.

Ancora essenziale è il vigilare il maturamento de’ semi; giacchè ove si aspetti il momento che il maggior numero de’ semi sieno secchi, e che i loro involucri si schiudano, non si può far di meno di non perderne una gran parte. Quando dunque si veggono i primi semi in sul punto di cadere da sè, ed il fusto e le foglie andar seccando, bisogna con precauzione tagliare o strappar la pianta da semenza, riporla in una tela, e portarla in luogo asciutto dove abbia aria, senz’essere esposta al sole. Torna meglio certamente il far la ricolta con un tempo asciutto, perchè le piante da semenza e le semenze stesse fanno più presto a seccare; tuttavia il tempo umido ed anche la pioggia non debbono impedir la ricolta, attesochè, col differire, siccome la pioggia fa gonfiare i semi, non v’ha dubbio che molti se ne perderebbero il primo giorno di sole. La perdita sarebbe poi grandissima se al momento che sono maturi i semi tirasse un forte vento; imperocchè i semi meglio condizionati, che sono i primi a maturare, cadrebbero facilmente, perchè più grossi e più pesanti.

I semi che si trovano chiusi in una carne molle, e che non sono muniti d’una buccia dura, come quelli di poponi, di citriuoli, di petronciane, ecc., vogliono esser tratti dai loro frutti allorchè questi sono perfettamente maturi; poiche, aspettando che il frutto si apra da sè, l’interiore è sovente vicino allo infracidire, e i semi sono perciò guasti. Un esperto ortolano ha altresì l’avvertenza di preferire per le seminagioni i semi situati dalla parte del frutto la quale riceveva l’impressione del sole, e trascura quelli situati dalla parte del frutto che toccava la terra, essendo provato che questi ultimi non possono giungere sempre a perfetta maturità.

Le sementi benissimo monde, e secche a dovere, si devono serbare in sacchetti di tela, o scatole, o zucche, da tenersi in luoghi ben asciutti, freschi, e inaccessibili a’ topi. Si avrà inoltre l’avvertenza, a fine di evitare errori, di scrivere su ciascun involto di semenza il nome della sua specie, ed il giorno in cui fu raccolta. Finalmente non si deve trascurare di scuotere un poco le sementi una volta al mese, per dar loro dell’aria, e vedere se mai vi si fossero introdotti degl’insetti.

706. Delle seminagioni. — La più parte delle semenze destinate alle seminagioni, vogliono essere dell’ultimo ricolto; ma siccome non sempre se ne può avere, e assai importa d’esser sicuro che la semenza germoglierà, così indicheremo nella seguente tavola, secondo la più comune esperienza, fino a quale età le semenze ortensi possono essere impiegate con sicurezza, sempre che sieno state raccolte sane, nè siensi guastate dappoi.

Specie della semenza Durata
Acetosa anni 3
Anice » 3
Basilico » 3
Bietola » 8
Borraggine » 2
Cardi » 10
Carote » 1
Cavoli » 10 e più
Cerfoglio » 2
Cicoria » 10 e più
Cipolle » 3
Citriuoli » 8
Coriandoli » 2
Crescione » 2
Fagiuoli » 2
Fave » 3
Gran turco, o formentone » 2
Lattuga » 4
Nasturzio d’India » 4
Navoni » 2
Pastinaca » 1
Pepe lungo » 10 e più
Pimpinella » 3
Piselli » 3
Poponi » 8
Porri » 4
Prezzemolo » 5
Radici, o ravanelli » 10 e più
Rape » 10 e più
Ruca » 2
Santoreggia » 5
Scorzonera di Spagna » 2
» comune » 1
Sedani » 4
Senape » 2
Serpentaria » 3
Spinaci » 3
Valeriana ortense anni 8
Zucche » 8
» lunghe » 8

Allorchè si vuol seminare della semenza, di cui non si conosce con certezza la bontà, è prudenza l’esperimentarla qualche giorno prima di quello destinato per la seminagione. Tolgasi pertanto una certa quantità di tale semenza, ma così a caso e nel mezzo del mucchio, e si semini in terriccio buono e sotto una campana. In capo a pochi giorni si giudicherà dalla quantità che n’è germogliata, ciò che si può sperare dal rimanente. Ognun comprende quanto sia importante una tale precauzione, trattandosi di semenze non conosciute; imperocchè se esse non germogliassero (supposto anche che si avesse la fortuna di procacciarsi poi semenze migliori) non si potrà godere così presto del prodotto; oltrechè è raro che dia buon frutto ciò che vien seminato fuor di stagione.

Il tempo in cui si devono fare le diverse seminagioni, non è lo stesso da per tutto, nè in tutti gli anni; poichè dipende esso dal clima, dalla natura del paese, dalla qualità ed esposizione del terreno, dalla temperatura dell’aria, dalle piogge, o dal secco; ma tutti devono stare attenti a fare le loro prime e successive seminagioni quanto più presto è loro permesso dalla stagione, ed allorchè hanno ragioni di credere che i cattivi tempi non verranno a distruggerle. Coloro che uniscono la diligenza alla prudenza si trovano sempre ricompensati da buon esito.

Una delle più importanti cautele da aversi nel seminare, si è di non spargere troppa semenza: eppure nulla è più comune che il veder piante e seminagioni troppo fitte. Da ciò segue che le piante appena nate, o di mano in mano ch’esse crescono, si stivano, si soffocano; intristiscono, periscono.

Egli è certo che la prontezza con cui germogliano le sementi, e il progresso delle giovini pianticelle che ne provengono, dipendono dalla poca profondità in cui si è seminato. Laonde le semenze più grosse, come le fave, le castagne, le mandorle, ecc. non vogliono essere coperte con più di due pollici di terra (un pollice o un pollice e mezzo è sufficiente), primieramente perchè, essendo la pianta obbligata ad acquistar la forza e la lunghezza necessarie per uscire d’una grossezza maggiore di terra, il suo spuntare sarebbe più tardivo: in secondo luogo perchè la pianta, il cui fusto fosse troppo sotterrato, resterebbe debole.

Le altre sementi si sotterrano ad una profondità proporzionata alla loro grossezza. Non coprendole di troppo, se ne fa considerabile risparmio, perchè nascono tutte, e le piante riescono più vigorose; ma sotterrandole troppo poco sono esposte a mancare dell’umidità necessaria alla germinazione. Si noti però che seminando in terra secca e leggiera, bisogna farlo a maggior profondità che non in terra umida e compatta.

Per le sementi molto minute, e massime per quelle che sono dure e lente a germogliare, come quelle di fragole, bisogna acconciare, unire e svolgere la terra; inaffiarla abbondantemente, e spargervi subito i semi; stacciarvi di sopra un poco di terriccio fine, che appena copra e nasconda i semi; distendere sopra il tutto una stuoja, o della paglia; ed a traverso a questa copertura, e senza ritirarla, far de’ piccoli inaffiamenti così sovente come è d’uopo per mantenere l’umidità. Allorchè le piante cominciano a spuntare, si ritira la copertura; ma si deve ripararle dal sole, e sovente innaffiarle, sino a che tutti i semi sieno nati. Questa pratica è ottima per le semenze fine. Ve n’ha pur di quelle, come le semenze di salice, di betulla, di pioppo, le quali non vogliono essere cosperse di terriccio, ma richieggono di restar nude sulla terra.

707. Del trapiantare. — Per fare quest’operazione, bisogna scegliere una giornata nuvolosa e che prometta vicina la pioggia. Si estraggono delicatamente le piante col mezzo di un trapiantatojo, nè mai si svelgono pigliandone un pugno, e tirandole a sè tutte insieme. Tale violenza fatta a pianticelle così tenere, ne ammaccherebbe le foglie ed i fusti, e lacererebbe le barbe: il che ne farebbe perire buon numero, ed altre ritarderebbero a rimettere e venire innanzi.

Si trapiantano le diverse piante subito che sono cavate da terra, e si avverte di estrarne quella quantità che si può piantare nello spazio d’un’ora o due; perchè, quanto più tempo le piante rimangono svelte, tanto più soffrono; e tanto più stentano a rallignare, quanto più le foglie si sono appassite, e le radici inaridite. Per questa ragione si deve pure inaffiarle e ripararle al più presto, senza aspettare di aver fatta tutta la piantagione intera.

La maniera più comune di piantare, ed anche la più speditiva, consiste nel far uso del foraterra, per mezzo del quale si fa un buco tondo che va a terminare in punta; ma non è questa già la più sicura perchè le piante rallignino più presto. Primieramente, siccome il buco fatto dal foraterra è spesse volte più profondo di quello che sia lunga la radice della pianticella, ne risulta un vuoto che lascia sospesa l’estremità della radice senza ch’essa tocchi la terra, la quale perciò è inutile, e così la pianta si secca o marcisce. Sovente ancora, quando si procede a inaffiare, la pianticella discende colla terra più profondamente che non deve. Finalmente, allorchè si butta la terra contro la radice per sotterrarla, il capellamento si distende sul fusto della radice stessa, e non rimane così bene aperto e separato come lo dispone la natura; ond’è che la pianta rimette allora nuovo capellamento, il che ne ritarda il suo crescere.

Laonde è assai miglior cosa il servirsi d’un trapiantatojo; di scavar tanta terra quanta è la lunghezza della radice; di presentare la pianta colla mano sinistra, ed a giusta altezza, cioè in modo che il collarino, ossia la parte che separa il gambo dalla radice, si trovi a livello della superficie della terra; e finalmente di valersi della mano destra per distendere e slargare le radici, coprirle di terra soffice, e leggiermente comprimere la terra all’intorno della pianta col dosso della mano, in modo che non rimanga nessun luogo dove la terra non sia un po’ calcata contro la radice.

708. Dell’inaffiare. — Le più delle piante ortensi non crescono così prontamente, e non diventano sì belle come le vorremmo, se non quando il terriccio e la terra, dove son poste, vengono mantenuti in un giusto grado di umidità, e senza troppo lunga interruzione. Ma questo grado non è conosciuto fuorchè da chi ci ha gran pratica; e perciò qui non altro può dirsi, in un modo generale, che la terra o il terriccio de’ seminali vogliono essere mantenuti umidissimi fino a che sieno nate le piante, e che d’allora innanzi fa bisogno di minore umidità; poichè se la fosse abbondante, le piante crescerebbero forse più presto, ma il minimo freddo, il sole un po’ caldo, una momentanea arsura le farebbe intristire; laddove le piante che, dopo nate, abbiano ricevuto meno inaffiamento, avranno radici, foglie e gambi più sodi e manco delicati; potranno soffrire, senza riceverne danno, un po’ di freddo, di sole, di arsura; e quelle che verranno trapiantate ralligneranno più facilmente e saranno più rigogliose.

Per inaffiare le piante che, essendo di fresco germogliate, e cominciando a spuntare da terra, non sono ancora provvedute di radici, bisogna far uso d’un inaffiatojo con palla minutamente traforata; giacchè una pioggia troppo forte sparpaglia il terriccio, scopre alcune sementi, e ne sotterra le altre più profondamente, curva le giovani pianticelle, e le ricopre di terra, il che è parimente dannoso.

Le piante trasposte in piena terra vogliono essere inaffiate sovente, cioè in modo che la terra circondante i loro fusti si trovi alquanto umida finchè le piante abbiano attaccato. Torna meglio inaffiare poco per volta e più di frequente, acciocchè la sottil capellatura che si forma penetri facilmente la terra.

Per le piante isolate, come sono i cavolfiori, i cardi, ecc., si farà uso dell’inaffiatojo a becco, dirigendolo in modo che il getto d’acqua non porti via la terra d’intorno alle radici.

Vi hanno alcune piante le quali, come sono giunte ad una certa età, hanno bisogno d’essere inaffiate più che in ogni altro tempo, per dare il loro prodotto; tali sono i cavolfiori, le lattughe e i cavoli; ma cresciute poi che sieno ad un certo punto, non vogliono esser più inaffiate, perchè semenzirebbero. In queste cose per altro è necessaria la pratica, nè v’è regola determinata da dare.

Non torna lo stesso l’inaffiare in un’ora piuttosto che in un’altra del giorno. Dal mese di ottobre infine al mese di maggio, in cui le notti sono fredde e soggette al gelo ed alla brina, non si deve inaffiare fuorchè tra le ore dieci del mattino e le due dopo mezzodì; e ancora bisogna versar poc’acqua per volta, affinchè le piante e la superficie della terra sieno asciutte prima di notte, per timore che geli.

Dopo il mese di maggio fino a settembre, ma soprattutto ne’ giorni più caldi, conviene inaffiare in su la sera e abbondantemente, acciocchè l’acqua penetri infine alle radici, e non sia tolta dal sole appena versata, nè che la terra si asciughi troppo presto e si screpoli; dal quale inconveniente risulta che la terra s’indurisce, e le radici si scoprono e si spezzano.

709. Malattie degli alberi. — Si è trovato che scalzando i peri, le cui foglie gialle davano indizio del loro intristire, e mescolando alla terra smossa un po’ di carbon fossile calcinato, questo carbone li ravviva e rinvigorisce, e fa lor mettere novelli rampolli e fronde novelle.

L’esperienza ne insegna ancora che il pesco, le cui foglie sieno state guaste dagl’insetti, può ripigliar vita e forza e dare bellissimi frutti, dove si abbia cura d’inaffiarne le foglie, e di sparger a piè di esso alquanto carbon fossile calcinato, come abbiam detto sopra.

Essendo gli alberi annojati dal muschio, bisogna scalzarli, e mettere nel vano che resta un po’ di ceneraccio, vale a dire di quella cenere che ha servito al bucato. Talvolta bisogna rinnovare quest’operazione. La presenza di gorgoglioni o d’altri bacherozzoli sopra un albero, indica ordinariamente che l’albero è malato. È eccellente il rimedio che adoperano i Tedeschi, il quale consiste nel letame di porco, con cui essi circondano ed ingrassano l’albero infestato.

Togliendo la corteccia alle parti inferme o guaste degli alberi, e spalmandole di trementina al calore del sole, si osserva dapprima che i luoghi scortecciati si vanno ricoprendo d’una specie di lacca, che impedisce all’aria di penetrarvi, e ben tosto l’albero ripiglia novello vigore. Con questo espediente furono risanati alberi del tutto scortecciati, in meno d’un anno.

Dove gli alberi patiscano di gomma o di cancrena, si taglia via la parte magagnata con ferro ben tagliente, e si fanno nel legno lievi incisioni, che s’impiastrano poi con acetosa, facendone penetrare il sugo nel legno. Per tal modo ottiensi la guarigione radicale d’una malattia che più non comparirà sullo stesso albero.

710. Della moltiplicazione degli alberi. — Si moltiplicano gli alberi con varii metodi, cioè, con i semi, colle margotte, co’ piantoni e colle radici; ma tutti questi metodi vogliono esser messi in pratica con molta cura ed attenzione, affinchè non riesca vana la spesa e la fatica; laonde gioverà lasciar fare tali operazioni a persone del mestiere ed esperte. Stimiamo perciò inutile il dare qui dei dettagli che riescirebbero troppo lunghi e non adattati all’indole del presente libro.

711. Nuovo processo per moltiplicare gli olivi. — I noccioli d’olive mature che si fanno inghiottire ai tacchini, se vengono raccolti e piantati in terricci a cui non si manchi di dar le debite inaffiature, germogliano assai facilmente, e producono alberi bellissimi.

712. Modo di preservare i fiori degli alberi da’ geli. — Avviene talvolta che ne’ mesi in cui gli alberi sono fioriti, ritornano i geli dell’inverno; a prevenire i danni ch’essi recherebbero agli alberi fruttiferi, si fa scaldare dell’acqua fino a che sia quasi bollente; quindi con una tromba portatile, munita d’una palla d’inaffiatojo, si fa cadere sugli alberi una tiepida pioggia, la quale scioglie le brine arrecate dal freddo notturno; e i raggi del sole, asciugando questa rugiada artificiale, non possono più nuocere agli alberi in fiore.

713. Potatura degli alberi. — Daremo quì soltanto alcune istruzioni relativamente alla potatura degli alberi, le quali ne faranno conoscere lo scopo, e serviranno di guida a chi voglia intraprendere tale operazione.

La potatura dunque ha per iscopo di dare all’albero il vigore necessario a compiere l’ufficio cui è destinato, di distribuire il sugo uniformemente in tutte le sue parti, e di lasciarlo solo fruttificare in tale proporzione da non dover nuocere alla fruttificazione dell’anno seguente, col consumare tutta la sostanza dell’albero, una parte della quale deve rimanere ne’ suoi vasi per nutrire i fiori ed anche i frutti dell’anno appresso al loro primo svilupparsi; finalmente d’accelerare o di rallentare a proposito il moto de’ sughi.

L’applicazione di simili principii costituisce l’arte del potare. Ecco pertanto alcune cognizioni utili a sapersi. Primieramente il sugo delle radici tende a salire verticalmente; quindi quanto più alcuni rami d’un albero s’accostano alla direzione verticale, tanto più questo sugo gl’innonda a preferenza de’ rami inclinati, e il suo moto è più attivo e produce più legno. Al contrario, quanto maggiore è l’inclinazione de’ rami, tanto minore è l’attività del sugo; e dove le radici ne somministrino molto, esso tende ad accostarsi alla linea verticale, preferendo di portarsi nelle gemme de’ rami che sorgono diritti, e nella parte più alta di essi rami, ovvero aprendosi una via attraverso la corteccia, nella quale e’ forma novelle gemme, che subitamente sviluppano e mettono que’ rami, che per tal ragione chiamiamo in Toscana bastardumi.

Il sugo delle radici ha bisogno d’essere elaborato dalle foglie, perchè serva a nutrir l’albero. Questa elaborazione somministra i sughi propriamente detti, la cui parte che non fu consumata rimane come in serbo ne’ vasi e nel parenchima fino alla primavera. Le foglie assorbono i fluidi ed i gas dell’atmosfera, come le radici ne succiano dalla terra. Se il sugo delle radici abbonda in un albero, e vi esercita molta attività, farà sviluppare molte gemme da rami, ma pochissime da fiori; queste gemme da fiori che appariscono su tale albero, possono bene schiudersi, ma i germi in esse contenuti languiscono, e i frutti non vengono bene, o cascano dopo che sono incominciati a svilupparsi. Allorchè più copioso è il sugo delle foglie, la sua mescolanza con quello delle radici dà luogo alla formazione delle gemme fruttifere: ed è questo il momento in cui l’albero è in vigore.

A queste cognizioni, che devono indirizzare l’agricol-tore già pratico alla potatura degli alberi, aggiungeremo che l’epoca più favorevole a quest’operazione, si è all’approssimarsi dell’inverno, quando, cioè, il sugo è in riposo.

714. Potatura delle viti. — Dopo quanto abbiamo detto in generale della potatura, stimiamo opportuno il dare qualche cognizione più particolare per la potatura della vite, come l’albero maggiormente utile all’uomo.

Per le piante novelle, nella prima potatura leva via intero il messiticcio più alto, e taglia il secondo di sopra al primo occhio. L’altro anno, se la tua vite è destinata ad essere d’altezza mezzana, taglia sopra tre sermenti, e leva tutti intieri gli altri rasente il ceppo. Per la vite bassa non devi lasciare che due capi; una sola gemma basta per una vite nana, e dev’esser formata sul sermento più basso. In ogni caso, non si lascia sopra ciascun capo che la gemma più vicina al tronco.

Alla terza potatura, concedi un germoglio di più a ciascun capo; la vite mezzana deve averne tre per lo meno, ma di rado più di quattro, ancorchè sia pervenuta alla sua maggiore altezza: due tralci maestri bastano alla vite bassa; solo dal tronco o dal ceppo devono partire immediatamente i sermenti da frutto, o i capi della vite nana, preferendo sempre il più basso, in modo per altro che le uve non vengano a toccar la terra.

A quattro anni la vite ben piantata ha già acquistato un po’ di forza, e comincia a far uva: allora si può potare a due occhi sopra i due o tre sermenti più vigorosi.

La quinta potatura richiede ancora alcuni riguardi particolari: taglia a due occhi soltanto sopra il legno più forte; limita ad un solo pollone il prodotto del sermento inferiore, e non lasciare in tutto più di cinque capi. E così la pianta novella è divenuta finalmente una vite fatta.

Per le viti vecchie abbi le medesime cure che richieggono quelle novelle: esse voglion essere potate corto e sovente. Il bisogno di ringiovanirle rende preziosi i messiticci, ancorchè dapprima sterili, che nascono verso il basso del ceppo; nè sono mai soverchie le cure che si hanno per la loro conservazione, poichè, quando è d’uopo di potare, è in essi riposta tutta la speranza del vignajuolo. Quando una vite è stata intieramente maltrattata dal gelo, nè v’è più da far conto sugli ultimi polloni, taglia fin sul ceppo il legno vecchio ed il nuovo.

Se i geli della primavera avranno stancati o distrutti i polloni, bisogna potar sopra quelli che sono rimasti sani; e l’anno appresso potare sopra il solo legno buono che è spuntato di sotto agli occhi o fuor del ceppo.

Quanto alla stagione favorevole alla potatura, bisogna scegliere l’autunno o la primavera, secondo la natura e l’esposizione del terreno. È finalmente da raccomandarsi di far uso di pennati ben taglienti, a fine d’impedire che il legno si laceri o si scheggi. Il taglio dev’esser liscio, fatto a becco di flauto, e alla distanza d’un pollice dall’occhio più vicino, e dal lato opposto a quello ove è il detto occhio.

715. Innesto della vite. — L’innesto consiste nel tagliar netto il ceppo della vite a due o tre pollici in terra allorchè comincia a muoversi il succhio, che è a dire in marzo o aprile, ed a fenderlo per lo mezzo in uno spazio senza nodo; s’inseriscono in tale fenditura due nesti tagliati a forma di zeppa dall’estremità più grossa, e più da un lato che dall’altro; il lato che rimane più grosso, e guernito della sua parte esteriore, si deve adattare in guisa che la sua scorza coincida con quella del soggetto. Dopo aver legato il nesto con un vinco, bisogna coprirlo di terra per guarentirlo dell’azione del sole. Quando la detta operazione è ben fatta, ed il soggetto è di buona qualità, ne risultano delle messe vigorose, che dopo due anni si possono potare assai lunghe.

L’innesto riesce male ne’ terreni sassosi ed aridi, perchè il sole lo abbrucia prima che abbia attaccato. Acciocchè l’innesto sia ben fatto, bisogna che il soggetto sia sano; che non abbia nessun nodo nel luogo ove s’ha a fenderlo; che la fenditura sia eguale e netta; che il taglio del troncone sia vasto, e che le marze sieno state diligentemente conservate e tagliate poi a tre occhi. Il primo occhio deve toccare il soggetto; il secondo trovarsi a fior di terra; ed il terzo intieramente fuor di terra. Bisogna che la marza sia tagliata a guisa di zeppa, cominciando al di sotto dell’occhio più basso infino a circa due o tre pollici, discendendo e diminuendo di grossezza. La scorza della marza deve toccare quella del soggetto in quanti più punti è possibile; e finalmente il tronco devesi legare con un vimine sottile e flessibile per assicurare l’innesto.

716. Altre istruzioni per l’innesto delle viti. — Scegli per innestar la vite un tempo nuvoloso ed un vento di scirocco o libeccio; ma evita i venti di tramontana ed i soli ardenti, non meno che i giorni di pioggia. Le marze voglion esser tolte d’in su la parte inferiore del sermento; si tagliano alla fine dell’autunno mentre che il tempo è asciutto e freddo, e che è interrotto qualunque movimento del succhio; si legano in fascetti pe’ due capi con buoni vimini; si contrassegnano per saperli distinguere al tempo di doversene servire; e si collocano in piedi nell’arena in una cantina un po’ umida, in modo da non lasciar fuori che due o tre nodi della parte superiore. Il giorno destinato a fare gl’innesti, si tagliano diligentemente e si portano nella vigna in acqua limpida.

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