§ I. — Della caccia.

651. Istruzioni sulla caccia. — La più parte dei cacciatori portano fucili imbruniti, e vestono di verde o di bigio, a fine di non spaventare le selvaggine.

La stagione più acconcia e più gradevole per cacciare si è dalla fine d’agosto insino a dicembre. In questo tempo si trova ogni sorta di selvaggiume; i perniciotti cominciano ad acquistar vigore; le lepri e i leprotti, che vivean come in luogo d’asilo ne’ campi di biade, si trovano allo scoperto, ed errano pe’ prati, o fra le stoppie ed i trifogli, o lungo le siepi ed i fossati. Le pernici e le quaglie soggiornano, mattina e sera, nelle stoppie, cercandovi i grani caduti dalle spighe; in su le 10 ore del mattino e verso le 3 dopo il mezzodì s’accostano a’ sentieri ed a’ luoghi di fresco arati, dove sogliono raspar la terra e starnazzare, a fine di far morire o di scuotersi da dosso i pollini che le molestano; a mezzogiorno discendono alle fontane ed ai ruscelli. Se alcuno dia lor noja alla campagna, si riducono nelle ceppate, sugli orli de’ boschi o delle vigne, o in altri luoghi da starvi tranquille: ma ciò torna in loro danno; poichè, siccome questi uccelli dimorano quivi senza sospetto, e mal si risolvono a partirsene, e sempre le une tengon dietro alle altre, riesce più facile l’ucciderle.

Le pernici dimoran volentieri ne’ boschi e nelle lande, come luoghi dove trovano il cibo che lor si conviene. Il cacciatore deve notare esattamente sopra qual lato esse impuntino per andar a levarle; ed è ben raro che tutte insieme se ne volino via, massime quando si ha un buon cane che ad una ad una le fermi. Avverta il cacciatore di camminare contro vento; imperocchè se avesse il vento alle spalle, la selvaggina che lo scopre spiega il volo più da lungi, il cane non se ne avvede, e l’uomo a mala pena spara la metà de’ tiri che avrebbe potuto.

Dopo la vendemmia si entra nelle vigne, dove abbonda ogni sorta di cacciagione. In sul finire d’autunno arrivano le gru e l’oche salvatiche; e il cacciatore è sicuro di trovarle nelle grandi pianure scoperte, e vicino agli stagni ed alle paludi, ove si ritirano la notte. Esse volano a schiere, e discendono ne’ seminati: chi voglia farsi loro dappresso, è d’uopo che usi molta astuzia; poichè questi uccelli sono assai sospettosi. Dimorano esse ne’ campi fino a mezzo giorno; poi le si conducono a bere intorno alle paludi ed agli stagni, dove rimangono fino alle 3 ore; e, come se ne partono, ritornano alla campagna a pasturare: la sera finalmente si riducono di nuovo intorno agli stagni più spaziosi e ne’ luoghi più inaccessibili per dormirvi.

Anche le ottarde arrivano di questa stagione, e soggiornano nelle vaste campagne e ne’ luoghi pietrosi: diffidenti al pari delle oche selvatiche, bisogna usare con esse non minore astuzia.

Le beccacce si fanno vedere in sul principio di novembre. Dimorano ne’ piccoli boschi, dove si pascono di bacherozzoli e di lombrichi: al cader del sole n’escono fuori in branchi, e si portano nelle valli e sulle rive delle fontane e de’ ruscelli. Si pigliano alla pantera ed al tramaglio, ove sia buon passo.

D’inverno si trova molto selvaggiume, specialmente nei paesi folti d’alberi, e sulle rive de’ fiumi; nè solo v’ha uccelli nostrali in quantità, ma quelli altresì di passo, come sarebbero le anitre d’ogni specie, che dimorano negli stagni e per le paludi, quando però non v’è gelo; poichè appena è ghiacciato, abbandonano questi luoghi e si trasferiscono alle sorgenti.

652. Dell’uccellare al guazzo. — Per disporre un guazzo in modo che quasi non fugga un uccello, bisogna, se il guazzo è in mezzo ad un bosco, aprire tutt’all’intorno alcuni piccoli sentieri larghi tre piedi; provvedersi di pertiche per uso di tendere archetti: e circondare dappresso tutto il ricetto dell’acqua con vergelli da portar 5 o 6 paniuzze. In parte d’onde si possa vedere tutto l’apparecchio, si faccia un piccolo capannuccio; si tendano gli archetti, si ficchino le paniuzze ne’ vergelli, e sopra tutti gli orli del guazzo si pongano de’ panioni.

Se il guazzo non è chiuso vicino vicino dal bosco, non fa bisogno de’ piccoli sentieri; ma in quella vece torna bene l’avere dugento o trecento gugliate di spago impaniato: di passo in passo si ficca per terra una forcelletta alta 2 braccia; vi si raccoglie sopra il detto spago, il quale deve pendere fino a due dita da terra; e così ben pochi saranno gli uccelli che scamperanno da tante insidie.

Il tempo di questa caccia è subito dopo che sono uscite alla campagna le ultime nidiate, e che si apparecchiano a migrare altrove, e durante i gran caldi estivi, quando la scarsezza dell’acqua porge speranza di copiosa preda. Non si dimentichi l’uccellatore che il gran caldo asciuga il vischio, e che perciò l’ora più opportuna è il mattino, e soprattutto in sul tramonto del sole, fuorchè non si volesse cambiare o rinfrescare più volte le paniuzze.

653. Caccia alla posta. — Si riconosce che un luogo è opportuno per starvi alla posta alle tracce della selvaggina. Il cacciatore sale quivi sopra un albero, e dietro dalle frasche, tacito e paziente e coll’occhio teso, aspetta la preda.

654. Dell’uccellare alla ragna. — Sonovi due sorte di ragne; noi qui parliamo della ragna semplice, la quale s’acconcia alle verghe sì lievemente, che, appena si tocca, cade ed avvolge l’uccello. Chi dunque voglia far uso di questa rete per pigliare merli, deve avere un bastone lungo tre braccia, con una fessura da un capo, e appuntato dall’altro. Si sa che il merlo suol volare per le siepi; laonde l’uccellatore, in distanza di 20 passi dal luogo dove lo ha scorto, prende un ramo d’albero che s’alzi da terra un 3 braccia e che sporga un poco sulla stradetta, vi fa una fenditura, e lievemente vi ferma un piccolo cavigliuolo di legno legato alla fune della ragna; indi egli passa dall’altro lato della stradetta, e fa lo stesso con un altro ramo; ovvero, non ne trovando che sieno a proposito, si serve del bastone che ha portato seco. Tesa la ragna, egli dà una volta, e si conduce infino a trenta passi di là dal luogo ov’è il merlo insiepato; subitamente gli dà sotto, e il merlo vola lungo la siepe, e si getta nella ragna, la quale cade sovra esso e lo inviluppa. Questa caccia ha luogo particolarmente quando è nuvolo o nebbia.

655. Dell’uccellare alle fraschette, ovvero al fantoccio. — Il fantoccio è un grosso ramo lungo 3 braccia, ed appuntato da basso per poterlo ficcare in terra. L’uccellatore lo rimonda delle verghette, avendo cura di lasciarvi certi piccoli mozziconi, destinati a servir come di maschio ad alcuni pezzetti di ramo di sambuco, a cui s’è cavata la midolla e dove s’inseriscono le pianuzze. Prima che sorga il sole, deve l’uccellatore sciegliere un luogo adattato, come canapaj, verzieri, e simili, e quivi piantare il fantoccio, ponendovi, in distanza di 8 o 10 passi, alcune gabbie con dentro uccelli di varie specie, come a dire fringuelli, capinere, calderini, etc.

656. Dell’uccellare al palmone. — Questa caccia consiste in ciò, che l’uccellatore, nascosto in un capannuccio di frasche, imita col fischio i differenti versi degli uccelli per attirarli sopra un albero, i cui rami sono irti di paniuzze. La stagione più acconcia è di settembre e di ottobre, e i luoghi più a proposito sono, per esempio, un bosco, od un terreno basso non molto lontano da qualche vigna, o ruscello, o stagno, o da macchie di rovo. Questa maniera d’uccellare, come già si vede, non differisce gran fatto da quella al fantoccio ed alle fraschette.

L’albero che si sceglie per farne il palmone, vuol essere da altri alberi molto lungi, avere i rami corti e diritti e non sporgere troppo alto: le querce meritano la preferenza. Si recidono tutti i rami inutili, cominciando dall’alto, non altro lasciandovi che quelli che fanno di bisogno, e si tagliano in modo che l’albero pigli la forma come d’un cilindro: ne’ detti rami, ad ogni tre pollici, si fanno alcune tacche, nelle quali si ficcano le paniuzze dal lato che a bella posta si lasciò senza vischio.

Intorno al piè del palmone si costruisce un capannuccio, dove si sta appiattato l’uccellatore. Questo capannuccio è fatto in gran parte coi rami levati all’albero, e con frasche per coprirlo. Deve avere braccia 2 1/2 almeno d’altezza, e sorgere in forma di cupolino. Vi si lasciano due o tre aperture, e si praticano intorno certi piccoli viali, in numero di 10 o 12, lunghi 30 o 40 passi, e che tutti mettino al palmone. Si puliscono bene questi viali, e vi si ficcano delle verghette piegate in arco, nelle quali pure si fanno delle tacche, dove si pongono altre paniuzze in direzione orizzontale.

Questa caccia si fa al mattino al levar del sole, e il dopo pranzo quasi sul tramontare. L’uccellatore, nascosto che si è nel capannuccio, comincia a soffiare in una foglia d’ellera (nella quale si deve fare un forellino, levandone la parte di mezzo assai accosto al picciuolo), per imitare il grido d’un uccelletto che chiami gli altri in soccorso. — Vi sono però altre maniere di zufolare —. Subito che l’uccellatore ha zufolato, gli uccelletti, come i pettirossi, i codirossi, le pispole ed altri, vengono a volo, si posano sulle paniuzze, e con esse cascano in terra. Ancora col fischio si può imitare la civetta: e giova pure far stridere uno degli uccelli presi; il che ne attira degli altri; per esempio il fringuello, stridendo, attira i tordi; il merlo le gazze; le gazze i corvi.

Al levare ed al tramontare del sole si sogliono pigliar gli uccelletti più saporiti, come a dir tordi sasselli, cingallegre, passeri, capinere, scriccioli, ed altri parecchi.

Sull’imbrunire si pigliano i gufi e le civette, contraffacendo il sorcio. Al tramontare ed al levare del sole si pigliano ancora falchetti, sparvieri, smerli, smerigli, nibbi e poane. Nel raccogliere gli uccelli rapaci bisogna guardarsi bene da’ loro artigli: la più spedita è di ucciderli. Le piche, le gazze, i merli, sono i più difficili a raccogliere quando son caduti a terra.

V’ha degli uccelli che non si lasciano pigliare al palmone; tali sono i colombacci, le tortore, gli stornelli, i montanelli, i cardellini, a’ quali s’aggiungono tutti gli uccelli che non vanno alla brocca, siccome le starne, le quaglie, le beccacce.

657. Dell’andar a frugnuolo. — Il frugnuolo non è altro che una lanterna cieca, la quale non solamente scopre e tura il lume a piacere di chi la tiene, ma fa sì che chi la porta non sia veduto, ed egli vegga appresso di sè un buon pezzo di terreno. Con questa lanterna dunque si pigliano di notte più specie di uccelli, e soprattutto merli e tordi alla ragna, quaglie e starnotti alla bilancia (se pure questo nome, che è proprio di una rete da pescare, può essere applicato a quella rete da uccellare detta truble da’ Francesi): è la bilancia una rete adattata al capo d’una pertica, in modo che sta distesa. L’uccellatore con questa rete ed il frugnuolo si porta sul luogo della caccia; e come vede un uccello, lo copre colla detta rete, e lo piglia.

La stagione d’andare a frugnuolo è d’autunno e d’inverno, quando è nuvolo o tempo piovigginoso. Si può cominciare verso le sei ore di sera. I luoghi da cercarvi le pernici ed altri uccelli, sono i boschetti riparati dai venti, le stoppie, ecc.

658. Maniera d’ottenere il vischio. — Quantunque il vischio si trovi facilmente in commercio, pure può giovare il sapere come lo si ottenga, massime a’ cacciatori di professione, i quali ne consumano molto; e perciò torna loro conto il conoscere un modo economico per procurarselo.

Leva la seconda corteccia dell’agrifoglio nel tempo che la pianta va in succhio; lasciala marcire in cantina dentro ad atti barili; poi battila in mortaj per ridurla in pasta: lava questa pasta in molt’acqua, dentro la quale la diromperai e rimenerai in più volte. Ciò fatto, chiudila in barili, dove la si anderà perfezionando per mezzo della schiuma ch’essa produce, e che tu butterai via. Finalmente mettila in un altro recipiente per servirtene all’uopo.

659. Caccia dell’anitre selvatiche. Varie sono i metodi immaginati per far la caccia alle anitre selvatiche: noi indicheremo qui i più facili e più usati.

Si mette la testa in una zucca secca e vuota, e bucata in modo da poter vedere e respirare; si entra nell’acqua e si nuota, lasciando apparire sulla superficie la sola zucca. Le anitre, le quali sono avvezze a veder galleggiare delle zucche sull’acqua, vi si accostano senza alcun sospetto. Allora il cacciatore le afferra per i piedi e le tira sotto, acciocchè non s’odano le loro strida; poi torce loro il collo, se le attacca alla cintura, o le ripone in un sacco, e ritorna alla sua caccia.

Ecco un altro modo. Procurati un’anitra domestica; attaccala per un piede con una funicella ad un cavigliuolo ficcalo in su la ripa d’uno stagno, in modo ch’ella possa liberamente volteggiare nell’acqua. Tu nasconditi un poco lontano. La tua anitra non tarderà a farsi sentire; e sì tosto che gli anitroccoli salvatici l’avranno udita, non mancheranno di muovere alla volta di essa, pigliandola per la loro madre. Se vuoi prenderli vivi, getta nell’acqua intorno intorno al luogo dov’è l’anitra domestica, alcuni ami in cui sia infilzato un bocconcino di polmone di vitello, e annodali a funicelle che dovrai assicurare in sulla riva con cavicchi: gli anitroccoli si getteranno ingordamente sugli ami e vi resteranno presi.

Ma fra tante cacce, la più sicura e da divertirsi maggiormente è quella del riverbero. Bisogna avere un calderotto di rame nettissimo e lucente. Un uomo se lo appende al collo, e tiene in mano un recipiente dove sia dell’olio con 4 o 5 lucignoli accesi, facendo in guisa che il riflesso dei lumi batta sull’acqua a tiro di fucile. Le anitre si fanno sentire da lungi co loro gridi di ammirazione; i cacciatori, tenendo dietro pian piano ed in silenzio al detto uomo, si cacciano loro di sotto, tirano, e, se hanno buon occhio e braccio fermo, uccidono ogni specie d’uccelli acquatici. Scaricato il fucile, si dovranno spegnere i lucignoli e condursi più lontano a far uso di questo stratagemma. Si noti che è necessario aver tutto in ordine avanti di accendere i lucignoli.

Si pigliano le anitre selvatiche anche co’ lacci e cogli ami ne’ modi seguenti. Per la prima caccia, si tendono i lacciuoli in qualche luogo dove siasi gettato del grano onde attirarvele; e questo luogo ordinariamente è la sponda di una piccola palude, ove l’anitre sono use d’andare a bagnarsi. Per la seconda, si prendono degli ami un po’ forti, in cui sia posto un cibo che dall’anitre si appetisca, come a dir pane, o carne, o fave, o ranocchi, o vermi; a ciascuno di questi ami si annoda una funicella da raccomandarsi ad un cavicchio, e si dispongono qua e là nel sito ove si ha speranza che debbano venire le anitre.

In que’ paesi donde suol passare moltitudine di anitre, si fanno, in mezzo alle praterie ed a’ canneti, lungi da ogni albero e dalle siepi, certi laghetti artifiziali, dove si pongono alcune anitre domestiche le quali, gridando, ivi traggono le salvatiche; ed a qualche distanza si costruisce un capannuccio, da dove il cacciatore le uccide collo schioppo. Questo modo di cacciare si chiama alla tesa.

660. Caccia del tordo. — La maniera di pigliar questi uccelli è la seguente, per dove vi hanno laghi. Si gettano sulla superficie dell’acqua varie lenze, a cui sia appiccato un amo ben forte ed adescato. I tordi vi volano intorno, e alla fine discendono e ingoiano esca ed amo. Subitamente si levano in aria, portando seco la lenza; ma indeboliti dal dolore e dagli sforzi che fanno per distrigarsi, cadono giù roteando, sempre attaccati alla lenza, per mezzo della quale l’uccellatore le trae fuori dell’acqua.

Si prendono i tordi anche co’ lacciuoli, che, come è noto, sono due o tre crini di cavallo attorti insieme e formanti un cappio scorsojo. Si tendono questi lacciuoli intorno ai ginepri, sotto a’ loti, vicino ad una palude, o ad una fontana. Se si è scelto il luogo opportuno, e i lacciuoli sono ben tesi, si può, nel tempo che i tordi passano, pigliarne più centinaja.

Ancora se ne pigliano colle reti. Le notti migliori per questa caccia sono le più oscure, senza vento, e nebbiose. Quando si sono scoperte delle siepi dove si vadano la notte a riposare i tordi, si può far conto di pigliarne gran numero, purchè vi si adoperi la necessaria destrezza. Fanno di bisogno quattro persone per questa caccia. L’una porta una torcia accesa, due sostengono la rete, e l’altra batte i cespugli. Quegli che porta la torcia, si ferma in distanza di 20 passi dalla siepe dove è tesa la rete; il battitore comincia a far l’officio suo dall’altra estremità della siepe; e quelli che tengono la rete, si pongono dirimpetto alla siepe verso la metà. Bisogna osservare profondo silenzio, e non accendere la torcia se non al momento che si comincia a battere la siepe. Di qui si vede che la rete si trova fra colui che porta la torcia, e il battitore, e che gli uccelli si trovano fra il battitore e la rete. Ora, gli uccelli, svegliati dal rumore che si fa nella siepe, fuggono, indirizzando per lo più il volo dalla parte del lume, e quindi si gettano nella rete. Avvertasi però di collocare la rete, per quanto si può, dalla parte dove il vento tira sui cespugli o sulle siepi; giacchè si è notato che gli uccelli dormono sempre colla testa contro il vento. Questa caccia si fa d’autunno e di primavera, essendo queste le stagioni in cui i tordi passano a stormi, e che riposano nelle siepi al coperto del vento.

661. Caccia della cornacchia. — Provvedi un certo numero di cartocci un po’ consistenti; portali là dove sogliono stare le cornacchie, le quali, nella stagione che esse passano, sono costrette di cercar pastura sui mucchi di letame che si trovano per le campagne: conficca quivi i tuoi cartocci, nel cui fondo avrai messo un poco di carne tagliuzzata, ed impiastrane l’orlo superiore con vischio, in modo che l’uccello, discendendo a mangiare ciò che c’è dentro, il cartoccio gli s’attacchi intorno alla testa ed al collo. Le cornacchie, in tal guisa impaniate, s’alzeranno tosto da terra, e ricadranno poi vicino al luogo donde si partirono; tantochè, senza incomodo, le si possono pigliare colle mani. Questa caccia è tanto più sollazzevole, quanto che si può ficcare un gran numero di cartocci su parecchi mucchi di letame. (Vedi anche al num. 666).

662. Caccia delle allodole. —Tra le diverse cacce per pigliar le allodole, la più sollazzevole è quella con lo specchio. Bisogna avere un pezzo di legno pesante, largo un pollice e mezzo al disotto, e tagliato da tutte le parti a faccette, le quali formino tra loro de’ canti vivi divergenti. In ciascuna di queste faccette si fanno certi piccoli incavi un poco affondati, ne’ quali s’incastrano de’ pezzetti di specchio, e vi s’appiccano a maraviglia con un mastice composto di 3 once di pece nera liquefatta, a cui s’unisce 4 once di cemento rosso stacciato; indi si dà una tinta d’ocra con colla a tutto l’apparecchio, avendo cura di non imbrattare gli specchietti. Si fora il pezzo di legno nel centro della sua superficie inferiore infino ad un pollice; si mette in questo foro una verghetta di ferro, munita d’un rocchetto, sopra cui s’avvolge una funicella destinata a far girare lo specchio. Si procura un manico di legno duro, in cui sia praticato un foro da potervi insinuare la verghetta di ferro che esce di sotto al rocchetto; si versa in questo foro qualche goccia d’olio, vi si pianta dentro lo specchio, e si raccomanda la funicella al rocchetto. Ciò fatto si tendono le paretelle in modo che vengano a incrocicchiarsi e cadere sullo specchio: l’uccellatore si nasconda a debita distanza, quivi fa girare lo specchio per mezzo della funicella, le allodole vengono a quella volta, s’avvicinano allo specchio, e, purchè l’uccellatore sia pronto a far iscoccare le reti, vi rimangono prese.

Chi non volesse usar le reti, e amasse meglio di cacciare collo schioppo e collo specchio, bisogna ch’egli abbia seco un compagno, il quale faccia girare lo specchio; ovvero, che a tal fine e’ s’annodi la funicella ad un piede.

Si pigliano altresì le allodole co’ lacciuoli, e con diversa sorta di rete, come il butrio, il tramaglio, la ragna, ecc.

663. Caccia delle beccacce. —Sono diversi i modi che si usano per pigliare le beccacce. La piedica, i lacciuoli, il tramaglio, sono altrettanti mezzi che si adoperano per la loro caccia.

Le beccacce, come anche i beccaccini, volano sempre contro vento; laonde è bene appostarli, per quanto si può, col vento alle spalle; poichè così vengono in faccia al cacciatore, e riesce più facile tirar loro collo schioppo.

664. Caccia delle quaglie. — Si pigliano le quaglie col tramaglio. Si ficcano per terra i piuoli della rete, la quale vuol esser ben tesa, affinchè le quaglie più facilmente s’insacchino. Ciò fatto, l’uccellatore si tira indietro un dieci passi; suona il quagliere, e va sempre più abbassando il tuono di mano in mano che la quaglia si avanza: la fretta con cui essa cammina, fa sì che inciampi nella rete con la massima facilità. Allora la si piglia, si leva il tramaglio, lo si avvolge intorno a’ piuoli, e, suonando il quagliere, si va in traccia d’altre quaglie.

Usasi altresì una rete che si chiama stràscino: questa caccia suol farsi in due; e bisogna avere pure un cane bracco da fermo benissimo ammaestrato. Lo stràscino avrà 10 o 12 braccia in quadro. Voi sciogliete il vostro cane, e tosto che lo vedete in atto di fermare l’uccello, vi portate di fianco; uno di voi piglia la funicella sopra cui scorre la rete, e che suol esser lunga 3 braccia; entrambi vi avanzate verso il cane, gettate lo stràscino, e coprite cane e uccelli insieme, e così li pigliate. Avvertite che bisogna tener la rete per due braccia alta davanti, lasciando strascicar l’altro lato per terra. Questa caccia, d’autunno, si fa d’ordinario nelle stoppie, ne’ prati subito dopo la segatura, e ne’ trifogli; ma di primavera e d’estate, si fa ne’ prati.

A questo modo si pigliano ancora starne, conigli, lepri, beccacce, gallinelle, ed altresì molti uccelli acquatici.

Ne’ luoghi dove passano quaglie in gran numero, se ne pigliano molte co’ lacciuoli.

Un tempo umido e brutto, foriero di tempesta, è ottimo per la caccia delle quaglie; all’incontro non v’è da sperar nulla se tira vento.

Non è mai troppo di buon’ora per far questa caccia; ma ciò che nuoce si è la rugiada, poichè la quaglia, quando ha i piedi bagnati, è infingardissima. Laonde si suole uccellare dalle ore 5 del mattino infino alle 10, e dalle ore 3 dopo mezzodì fino al tramontar del sole.

665. Caccia dello sparviere. Non solo si distruggono tali uccelli di rapina col fucile, ma v’ha un altro espediente più sicuro, il quale consiste nel collocare sopra un’assicella stabilita in cima ad una pertica, che dev’essere piantata in mezzo ad un campo, una di quelle trappole chiamate tagliuole. In mezzo ai due archi aperti sull’assicella, si lega un uccelletto: lo sparviere vi si getta addosso per ghermirlo, e col suo peso fa sì che gli archi scoccano e lo serrano per i piedi.

666. Caccia della gazza. — Si riempie una scodella assai profonda d’olio di noce o d’oliva, il più limpido che si possa avere; si pone questa scodella in parte frequentata dalle gazze, e l’uccellatore si nasconde dietro a qualche cespuglio; la gazza da principio volteggia intorno alla scodella, e, vedendovi la propria immagine come in uno specchio, la piglia per un’altra gazza, e vi piomba sopra: le sue ali s’inzuppano d’olio, e le impediscono di riprendere il volo; l’uccellatore le corre dietro e la prende.

Chi possedesse già una gazza, potrà usare un altro dilettevole ingegno. Si pone la gazza per terra colle gambe in aria, fissandola al suolo per le ali, le quali le si assicurano a due piccoli cavicchi. In questa posizione la gazza griderà fortemente, e farà sforzi per fuggire; le altre gazze che si trovano ne’ dintorni corrono per ajutarla; ma la gazza prigioniera piglia una di esse col becco e colle unghie, e strettamente la tiene, sì che tu accorrendo la puoi pigliare. In questo modo si pigliano ancora le cornacchie.

667. Caccia dell’usignuolo. — II tempo più opportuno per pigliar gli usignuoli, è il mese d’aprile, e l’ora più favorevole è dopo il levar del sole sino alle ore 10 del mattino, perchè in questo tempo egli va in traccia de’ vermicciuoli, delle mosche, delle formiche e d’altri piccoli insetti di cui si pasce; ed allora lo si deve adescare coi bachi della farina, ond’egli più che mai va ghiotto.

La vigilia del giorno destinato per questa caccia, bisogna che tu vada la sera nel bosco dove avrai sentito cantare gli usignuoli. Esamina i diversi luoghi dove cantano; piglia una verghetta, lunga circa mezzo braccio, assottigliata da un capo e fessa dall’altro, affine che vi possa mettere due bachi di farina infilzati in uno spilletto; ficca la verghetta per tre o quattro dita nella terra, alla distanza di circa 20 o 30 passi dal luogo dove avrai udito a cantar l’usignuolo, collocandola in modo che l’uccello possa facilmente scorgerla d’in su l’albero. Smuovi lievemente la terra intorno alla verghetta, piantane parecchie altre, e vanne pe’ fatti tuoi fino alla dimane.

La mattina appresso andrai di buon’ora a visitare le tue verghette, e se non vi troverai più i bachi appiccativi, vi tenderai una di quelle sottilissime reticelle che si fanno a quest’uso, dove porrai altri bachi infilzati in uno spillo, e smoverai d’intorno un pochetto la terra per darle un’apparenza di freschezza, il che attirerà l’usignuolo, il quale non mancherà di ritornare, per vedere ciò che avrai fatto.

Caduto che sia l’usignuolo sotto la reticella, lo piglierai con una mano dalla parte di sopra insieme colla reticella stessa, e coll’altra leverai la reticella da terra, e delicatamente ne trarrai fuori per i piedi l’usignuolo, che conserverai in una gabbia, per dilettarti del suo grazioso canto.

668. Caccia del merlo. — Si pigliano i merli coi panioni, colla ragna, co’ lacciuoli e con tutti gl’ingegni da pigliare i tordi; ma si pigliano inoltre alla schiaccia ed all’arc hetto.

La schiaccia consiste in una piccola fosserella, larga sei dita, lunga dieci, e profonda dodici circa. Si guarnisce il fondo di questa fosserella con bacche o piccoli vermini appiccati ad una verghetta, o infilzati per traverso in lunghe spine: chi volesse pigliare altri uccelli che merli (poichè questa maniera d’insidia può servire per quasi tutti), metterà nel fondo della fosserella granelli da beccare, ed altri cibi che sieno loro graditi. Indi si prende una zolla coperta d’erba, una tegola, od una pietra della grandezza della buca, e si acconciano queste cose con un bastone posto in bilico sulla buca medesima, in maniera che l’uccello non possa arrivare all’esca senza toccare il detto bastone, il quale, perduto l’equilibrio, lascia cadere il peso sovrappostogli, onde riman coperta la fossetta, e dentrovi l’uccello. Questa caccia è molto usata d’inverno; poichè gli uccelli, stimolati dalla fame, volano sbadatamente ovunque trovano di che cibarsi.

L’archetto si usa nel tempo della vendemmia: l’uccellatore sceglie ne’ boschetti non troppo lontani dalle vigne un arboscello diritto ed alto; lo rimonda infino a 2 braccia e mezzo, e lo trafora a un quarto di braccio di sotto. Ciò fatto egli sceglie un altro arboscello discosto dal primo un quattro passi; lo rimonda delle foglie e de’ rami, e vi lega in cima una funicella non più lunga d’un quarto di braccio, a cui egli annoda un lacciuolo di setole di cavallo; indi piglia l’estremità superiore dell’altro arboscello, lo curva in modo da fargli quasi toccar il secondo, e nel foro di esso fa passare il lacciuolo, tirandolo fino al nodo della funicella, la quale viene a livello del foro medesimo. Oltre a ciò, egli ha un legnetto lungo 4 dita, ridotto da un capo a guisa d’un uncinetto, e augnato dall’altro; inserisce alcun poco e leggiermente questo legnetto nel breve spazio che deve restare dal nodo infino all’orlo del foro dell’arboscello, poi vi tende di sopra il lacciuolo, aperto in fondo. e adagiato piano sul dorso del legnetto; e finalmente vi pone sopra per esca un grappolo d’uva, o di quelle coccole di cui i merli van ghiotti. Il merlo sì tosto che ha veduto l’esca, vola a beccarla, e si posa sul dorso del legnetto o cavigliuolo che vogliam dire, il quale, cadendo, lascia all’arboscello piegato la facoltà di ripigliare la sua direzione primitiva; e cosi l’uccello rimane preso per i piedi dal laccio.

669. Caccia degli ortolani. — La caccia più usitata è quella colle reti, come per pigliar le allodole, con ortolani cantajuoli in gabbia. Si pigliano ancora mettendo un ortolano in una gabbia posta in cima ad una pertica, e con intorno trabocchetti o gabbie scaricatoje. Altri tendono loro certe reti, come a dir ragne o paratelle, in mezzo alle quali gettano del miglio, e pongono ortolani allettajuoli in gabbie appese a piccoli pali. Queste cacce si fanno in aprile ed in agosto, che sono le epoche in cui passano gli ortolani: ma quella d’agosto è la migliore, perchè se ne prendono molti di novelli, i quali sono cibo più assai delicato che non i vecchi.

670. Caccia de’ conigli. — Quando un cacciatore ha scoperta una conigliera, e sa che vi si trovano de’ conigli, chiude tacitamente le bocche di tutte le tane; indi scioglie un cane bassotto, ammaestrato a questa caccia, il quale cerca e leva i conigli, mentre egli medesimo, collo schioppo pronto in mano, gli sta aspettando vicino ad una tana. I conigli inseguiti dal cane, si studiano a intanarsi: e in tal momento il cacciatore gli uccide.

Si pigliano i conigli anche col furetto. È questo un animale domestico, poco maggiore della donnola, e nemico de’ conigli: il cacciatore lo trasporta sul luogo della caccia in un sacco con entro della paglia che gli serva di stramazzo. Egli ha pur seco un cane bassotto a ciò addestrato, il quale, appena sciolto, insegue i conigli, e li fa fuggir nelle loro tane. Allora il cacciatore lega il suo cane, e pone una reticella alla buca, ben assicurata a piuoli fitti in terra: indi appende al collo del furetto un sonaglio, a fine di poter seguire le sue tracce, e gli dà pur da mangiare, acciocchè per la fame non isbrani i conigli: alcuni invece di dargli da mangiare gli chiudono la bocca, con una museruola. Subito che il furetto è entrato per l’altro buco della tana (poichè ogni tana ne ha due), bisogna osservare perfetto silenzio, affinchè il coniglio incalzato da esso, esca fuori; e così uscendo, entra nella rete, ed è preso. Allora bisogna impossessarsi di questo primo coniglio, avanti che il furetto se ne accorga; altrimenti egli non rientrerebbe nella tana per farne uscire gli altri. Talvolta è necessario di trarre alcuni colpi di fucile nella buca per isvegliare il furetto; il che succede allorquando egli ha succhiato del sangue de’ conigli; svegliato però ch’egli sia, si lascia prendere facilmente dal suo padrone. Altri usano di accendere del fuoco innanzi ad uno de’ buchi della tana, acciocchè il fumo lo desti e ne lo faccia uscire.

Un altro modo di pigliar conigli, si è il seguente. Metti zolfo e polvere d’orpimento in un foglio di pergamena o in una pezza di lana; appiccavi il fuoco, ed accostalo all’ingresso del buco, in modo che il vento ne spinga dentro il fumo. Il coniglio, forzato ad uscire, fugge per l’altro buco, ma rimane avviluppato da una rete od altro laccio che vi avrai teso prima; ovvero rimarrà esposto al tiro del tuo schioppo.

Per pigliar conigli si usa più particolarmente una certa rete chiamata callajuola, la quale si suol tendere o sopra un sentiero, o al valico d’un bosco, in modo che il coniglio, incappandovi, non abbia il vento di rincontro: ciò basterebbe per farlo tornare indietro. La callajuola è stesa sopra 3 o 4 staggi, lunghi circa due braccia, e grossi quanto un pollice, augnati in fondo, e un po’ curvi superiormente, che si ficcano in terra un poco inclinati e ad uguale distanza. La callajuola sarà armata in modo che, entratovi dentro il coniglio, a un tratto abbia a scoccare. Il cacciatore, nascosto dietro ad un cespuglio in distanza di 10 o 12 passi, si deve star zitto; ma tosto che il coniglio gli sarà passato innanzi 5 o 6 passi, batterà forte le palme, affinchè quello, credendosi inseguito, si metta in fuga e dia più facilmente nella rete. Si dovrà tendere la callajuola allo spuntar del giorno per una mezz’ora, e la sera un poco prima che tramonti il sole fino a notte.

Vi ha chi tende la callajuola ad una delle bocche della tana, e introduce nell’altra un granchio, il quale lento lento si striscia sino al fondo della buca, e, trovatovi il coniglio, lo abbranca sì forte, che quello, volendo fuggire a tale tormento, si getta nella callajuola. Questa caccia richiede molta pazienza, poichè il granchio non fa le sue cose in fretta: ma è così sicura come quella col furetto.

In Ispagna si fa la caccia ai conigli col mezzo del richiamo, al cui suono accorrono questi animali da tutte le parti. Questo suono si ottiene soffiando in una foglia di gramigna o di quercia verde, od anche in una pellicola d’aglio, che si pone fra le labbra; in questo modo si imita benissimo la voce del coniglio. Tal caccia si fa ne’ boschi; ed il cacciatore, intanto che fa il verso a’ conigli, rimane fermo immobile dietro ad un albero, col suo fucile in pronto per far fuoco sui primi conigli che si presentano. I giorni nebbiosi e umidi sono i più favorevoli a questa caccia, che si suol fare nei mesi di marzo, aprile, maggio e giugno, dalle ore 10 del mattino fino alle 2 dopo mezzodì.

671. Notizie sulla caccia della lepre. — Le lepri si pascono di notte, e mangiano erbe, radici, frutti ed ogni pianta il cui sugo sia lattiginoso. Esse dormono cogli occhi aperti, ed hanno tale un istinto per la propria conservazione, che non si può fare a meno di pigliarne meraviglia. Escono di rado dal loro covile, a meno che non sieno cacciate: allorchè sentono lo schiattir de’ cani, fuggono pe’ maggesi, a fine di far perdere la loro traccia; ma un esperto cacciatore si ride di tutta la loro sagacità. Il leprotto non si allontana mai troppo dal luogo ove nacque; e quando se ne trova uno nel suo covo, è certo che ve n’hanno degli altri ne’ contorni. Quando si dà la caccia alla lepre, ordinariamente ella piglia la montagna, come quella che, avendo le gambe dinanzi più corte delle posteriori, quivi corre più spedita. D’estate ella dorme ne’ campi, d’autunno nelle vigne, d’inverno fra’ cespugli, e d’ogni tempo si può scovarla co’ segugi e coi bracchi. Riesce più facile trovarla, quando piove, sul pendìo di qualche fossato, o vicino ad un mucchio di pietre. In dicembre e gennajo le lepri non hanno posta ferma, perchè in questo tempo sono in caldo, e si può dar loro la caccia da per tutto: tuttavia la stagione più acconcia è la primavera ed il settembre. D’inverno, quando gela, si scopre il covo d’una lepre ad un certo vapore che s’alza, e che è l’effetto del suo fiato. I segugi sono i veri cani appropriati alla caccia della lepre. I venti migliori per questa caccia sono quelli di levante e di mezzodì. Quando si scopre una lepre al covo, si può riconoscere se è maschio o femmina dalla postura delle orecchie, le quali sono serrate l’una contro l’altra sulle spalle del primo; all’incontro quelle della femmina pendono allargate intorno al collo.

672. Caccia della lepre col fucile. — La caccia della lepre si fa scorrendo la pianura per ridurla a tiro, ovvero andando dietro a’ bracchi di leva. Quando i cacciatori sono due, è meglio, poichè l’uno tien dietro a’ cani per condurli, e all’uopo indirizzarli; l’altro può restar fermo al suo posto, aspettando che la lepre abbia fatto il suo giro, dopo di che ella suole a poco a poco ritornare al luogo dove è stata levata; allora esso la uccide traendogli col fucile mentre ella passa. Se il colpo andasse a vuoto, ma ch’egli avesse di bravi cani, può sperare ancora di trarle al medesimo luogo dopo un secondo giro.

Sulla fine d’aprile e in maggio si può trarre alle lepri ne’ solchi delle biade, ov’esse intrattengonsi a pascere per buona pezza del giorno. Questa caccia si fa dal levare del sole fino alle otto, e al dopo pranzo due ore prima del tramonto.

673. Caccia della lepre alla posta. Dicesi posta il luogo ove si pone il cacciatore per stare in agguato, attendendo che passino gli uccelli od i quadrupedi che vuol prendere. Allorchè non è lungi una foresta od un bosco di qualche estensione, il cacciatore si mette in agguato sul loro limitare, e quivi attende le lepri che vengono a pasturare, per ucciderle. Questo modo di caccia dicesi ancora andare a balzello. Se il cacciatore, vedendo da lungi venir la lepre, per esser più sicuro del suo colpo, vuol trarle al fermo, deve prenderla di mira avanti ch’essa sia a tiro, e quando vi è, deve far colla bocca quel suono che nasce dal tirar dentro il fiato, mentre si stringono forte le labbra: la lepre tosto si ferma per ascoltare d’onde venga tal rumore, e così dà agio al cacciatore d’aggiustare il suo colpo.

674. Caccia della lepre co’ lacci. — Questa caccia è conosciuta da tutti gli abitatori delle campagne. Per ben riuscirvi si fa un giro lungo le siepi, esplorando i luoghi onde passano le lepri; il che facilmente si riconosce al pelo ch’esse vi lasciano. Il cacciatore, scoperto che ha questi luoghi, piglia del grano in erba, ginestra o sermollino, frega con essi i lacci, i quali in questo caso soglionsi fare di fil di ferro o d’ottone, e quivi li tende alti da terra quanto sono alte le gambe anteriori della lepre.

675. Osservazioni sulla caccia del lupo. — Il lupo fa conoscere i luoghi che frequenta, per mezzo de’ suoi rosumi. La primavera e l’estate sono le stagioni più opportune per dar la caccia a’ lupi; e il tempo da trarne maggior divertimento è dal mese d’aprile fino ad agosto, poichè allora sogliono le lupe partorire, e riesce più facile a inseguirle ed ucciderle. Quando le lupe stanno per figliare, abbandonano insiem coi maschi la campagna aperta, e si ritirano di consueto nei folti macchioni e nelle cave. Allorchè le biade sono troppo alte, non è prudenza il cercarvi i lupi, poichè vi stanno sempre all’erta, ed i levrieri ed i segugi non possono vederli. Ordinariamente i lupi rimangono nei campi di frumento o d’avena anche in autunno, se altri non si cura di scacciarneli e forzarli a cercare pascolo nelle selve, dove queste fiere non sono solite a ricoverarsi che nell’inverno. Il lupo è gagliardissimo, e dura più che altri animali a far fronte a’ cani che lo investono. Il giorno assegnato per la caccia del lupo, deve il cacciatore aver le sue armi in ottimo stato e caricate il dì stesso con palla. Questa caccia per altro non è senza rischio.

676. Caccia del lupo collo schioppo. — Togli un gatto sventrato e scorticato; fallo arrostire nel forno; indi spalmalo di miele, e portalo così caldo dove sai che bazzicano i lupi. Ivi giunto, lo strascinerai attaccato ad una corda fino al luogo dove ti piaccia d’attirare i lupi. Subito li vedrai uscire dalle loro tane e dalle macchie, e tener dietro alle tracce del gatto; onde facilmente ti verrà il destro d’ucciderli.

677. Del pigliar lupi alle fosse. — Si scava una fossa, di cui i quattro lati formino un muro a piombo, largo 3 o 4 braccia, e profondo 4 o 5. Chiudesi la bocca di questa fossa con un graticcio in bilico, e si copre il graticcio di foglie e di musco, sì che non veggasi la buca sottoposta. Il lupo, passandovi sopra, cade nella fossa col graticcio subitamente rivolto. Si avverta di legare nel mezzo del graticcio un’oca, ovvero un agnello, o di mettervi altr’esca. Ma quest’insidia può cagionare funesti accidenti, se non si ha cura di avvisare chi passa.

678. Esca per distruggere i lupi. — Metti in una pignatta di terra ben netta una cipolla bianca tagliata in quattro parti; tre cucchiajate di grasso di porco; tre pizzichi di fieno greco in polvere; altrettanto d’iride fiorentina e di scorza interiore di morella o di regolizia salvatica; tanto di gàlbano quanto è grosso un uovo; ed un pizzico di galanga polverizzata. Cuoci il tutto per lo spazio di 7 od 8 minuti a lento fuoco; indi tira indietro la pignatta, e gettavi dentro canfora acciaccata quanto è la grossezza di una fava: dimena il miscuglio e coprilo, affinchè la canfora non svapori; finalmente passa per pannolino ben grosso.

Questa composizione adesca non meno i lupi, che le volpi; ma riesce ancora meglio la prova, se in vece del gàlbano e della galanga vi si mette un venti gocce d’olio di scarafaggi, o anche d’anici, se non si possa avere il primo. La detta composizione si conserva in recipiente di legno coperto con cartapecora bagnata.

Si fa un’altra esca nel modo seguente: togli una libbra di sugna di porco; falla struggere con mezza libbra di gàlbano; mischiavi una libbra di scarafaggi pestati; cuoci il tutto a piccolo fuoco per quattro o cinque ore; passa il miscuglio così caldo per pannolino, e spremi finchè non resti più altro nel pannolino che le ali ed i piedi degli scarafaggi. Indi serberai questo unguento in vasi di terra. Quando ti verrà l’occasione di farne uso, impiastra con esso le suole delle tue scarpe, e poi vanne a passeggiare ne’ boschi; tieni l’occhio a’ luoghi dove si ritirano i suddetti animali; ritorna poi al sito che avrai scelto per metterti alla posta, e li vedrai senza fallo venirti a cercare tenendo dietro alle tue pedate.

679. Del pigliar lupi coll’amo. — Fa fare a bella posta varii ami acutissimi e fortissimi; annoda ciascun di essi ad una fune grossa un dito; infilza negli ami un pezzo di carne; quindi appendili ad un albero, in modo che il lupo, alzandosi un poco, vi possa arrivare e gli abbocchi.

680. Caccia della volpe. — La caccia delle volpi si fa in molte maniere, cioè co’ levrieri per raggiungerle, co’ bracchi e col fucile per ucciderle, e con cani bassotti per andarle a trovare nelle tane: come pure si tende loro ogni sorta di lacci. In generale però si usano per pigliare le volpi tutti i mezzi già indicati per la caccia de’ lupi.

Ma accenneremo qui un altro espediente, molto usitato in alcuni luoghi, per prender vive le volpi. Prima di tutto bisogna avvezzar quest’animale a venir a prendere in una buca alcun cibo, il quale, allorchè si vuol pigliarla, si deve coprire con un’asse, nel cui centro siavi un foro, chiuso da un’animella da dover cedere sotto la zampa della volpe. Intorno al detto foro, al di sotto dell’asse, si forma con una corda un cappio scorsojo, tenuto aperto per mezzo di un cavicchio; la corda annodata ad una pertica serve di molla; e questa corda dev’essere dall’altro capo fermata all’asse ond’è coperta la buca. La volpe, allettata dall’esca, procura d’introdurre la zampa nella buca; il cavicchio si smuove; la pertica, trovandosi libera, per la sua elasticità ritorna nel suo primo essere; il cappio scorsojo si stringe, e la volpe rimane accalappiata.

681. Caccia del cignale. — Il cignale, come ognun sa, è una specie di porco salvatico, e non differisce dal porco domestico se non in ciò, ch’egli ha le zanne più grandi e più acute, il grugno più forte, e la testa più lunga: tutte le sue abitudini sono rustiche; rozzi tutti i suoi gusti; e tutte le sue sensazioni si riducono ad una lussuria furibonda, e ad un’ingordigia brutale. Esso soggiorna quasi sempre ne’ luoghi più boscosi e al fresco: sul finir dell’inverno rimane nel folto de’ vepraj e degli spineti; e durante questo tempo si pasce di radici, vermi, crescione e ghiande, che trova ancora sotto le querce. Di estate abbandona que’ luoghi, e si mette sugli orli delle foreste per esser vicino alle biade ed alle pozzanghere, dove più volte in un giorno suol andare a voltolarsi. D’autunno, quando è fatto il ricolto, e la terra è nuda, si ritira vicino a’ boschi d’alberi d’alto fusto, dove sono ghiande, faggiuole e nocciuole. In dicembre i maschi vanno errando e corrono dietro le femmine; ma quando vogliono riposarsi, si cacciano dentro al primo roveto o macchione che incontrano, donde prestamente tornano ad uscir fuori.

La caccia del cignale si fa di pieno giorno coi cani, ovvero per sorpresa durante la notte al lume della luna. Siccome questa fiera è lenta a fuggire, e lascia dietro di sè odore fortissimo, e si difende contro i cani, sempre ferendoli pericolosamente, è d’uopo cacciarla non già con buoni levrieri o segugi, ma con mastini un poco ammaestrati. Altresì conviene assalire soltanto i più vecchi, i quali si conoscono agevolmente alle pedate. Un cignale novello di tre anni è difficile a raggiungere, perchè suol correre lontanissimo senza mai fermarsi; laddove un cignale più vecchio non fugge lontano, si lascia cacciare dappresso, non teme gran che i cani, e s’arresta sovente per affrontarli; anzi per meglio riuscirvi, da bravo schermidore, si serra contro un albero, e ne uccide e sbudella parecchi, per poco che il cacciatore indugi a richiamarli a sè.

Per assalire queste fiere, bisogna scegliere un luogo opportuno, essere a cavallo, ed avere un buon fucile caricato a palla. Non v’ha alcuno il quale s’ardisca d’assaltare il cignale a piedi e senza schioppo, poichè quest’animale accorre al fracasso ed alla voce delle persone, e fa loro profonde ferite.

D’inverno, quando è nevicato, si può inseguirlo andando dietro alle sue orme. Subito che l’animale è ucciso, i cacciatori si affrettano di tagliargli i testicoli, la cui puzza è sì forte, che ammorberebbe tutta la carne.

Avverta il cacciatore di non trarre al cignale, se prima non l’ha tolto bene di mira, e se non è ben sicuro di non poter ferire alcuno.

Un vecchio cignale non ha altro di buono che la testa: ma delicata e stimata è tutta la carne d’un cignale giovine che ancor non abbia compiuto un anno.

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