682. Istruzioni sulla pesca. — Dovendo pescare ne’ fiumi, ne’ laghi, o in qualche stagno, conviene scegliere un luogo ove sia una sufficiente profondità d’acqua, ed il cui fondo sia il meglio eguale, senza sassi, nè legni, nè erbe, e possibilmente non melmoso; imperocchè il pesce, non solo potrà così vedere più facilmente l’esca, ma altresì, allorchè sarà punto dall’amo, non potrà ritirarsi in parte da non poternelo cavar fuori se non a stento. Si avverta però che pescando in mare, è d’uopo talvolta scegliere un luogo fra gli scogli, dove appunto frequentano molte specie di pesci.
Quando fa caldo, il pescatore deve tener l’amo vicino alla superficie o circa alla metà dell’altezza dell’acqua; ma durante l’inverno, e soprattutto allorchè fa molto freddo, bisogna che lo tenga vicino al fondo. Gettato che abbia la lenza, darà subito qualche piccola scossa alla canna, acciocchè l’esca assicurata all’amo saltelli, sì che paja voler essa fuggire dal pesce che l’ha scorta. Questa malizietta inganna il pesce, e lo invita a lanciarsi e ad inghiottire frettolosamente ed esca e amo. Se ciò non avviene subito, il pescatore deve restar immobile, coll’occhio fisso sopra il sughero, di che è munita la sua lenza, ed il cui movimento annunzia che il pesce ha abboccato; ma quando ciò segue non deve aver troppa fretta di trarre a sè la lenza; bisogna ch’ei lasci tempo al pesce d’inghiottir l’esca: subito però che il pesce strascina seco il sughero, è segno ch’egli cerca di fuggire, e quindi conviene allora che il pescatore dia una scossa alla lenza per ferire il pesce, facendogli entrare nella gola la punta dell’amo. In questo punto i pesci grossi si dibattono a tutta forza, e l’esperto pescatore, ben lungi dal tirare la lenza, la va a poco a poco allentando, per lasciarli vagare qua e là, fintanto che s’accorga che sono stanchi: allora pian piano li tira a sè. Senza questa precauzione si corre il rischio di veder la lenza strapparsi, e perdere così ogni cosa. Per i pesci piccoli si può trarre a sè tostamente la lenza, la quale è sempre assai forte da resistere alle loro scosse.
Qualora si tema di perdere il pesce nel tirarlo a terra, lo si può raccogliere in una reticella in forma di borsa, di cui ogni pescatore dovrebbe andar munito. Tale reticella è assicurata ad un piccolo cerchio, il quale alla sua volta sta fissato all’estremità d’una canna.
683. Lombrichi per uso della pesca. — Sono questi certi bachi che nascono ne’ prati, e di cui sono in generale ghiottissimi i pesci. A fine di procurarseli, si va in un luogo qualunque dove ci siano molte erbe, si scava e si smuove quivi la terra, e così si vede uscirne fuori i lombrichi.
Allora si raccolgono; e bisogna far presto, altrimenti essi tornano ad insinuarsi sotterra, e spariscono.
Nella stagione de’ frutti, si fa un’infusione di noci verdi, e con essa s’inaffia la terra; il che fa uscire i lombrichi. Si ottiene lo stesso effetto adoperando le foglie del noce o della canapa, che si fanno bollire.
684. Esche da appiccare agli ami. — Oltre ai lombrichi, si preparano esche per i pesci nei seguenti modi. Impasta una libbra di mollica di pane fresco con un’oncia di formaggio grattato, e serviti di questa pasta bene manipolata, formandone, di mano in mano che ne avrai bisogno, una pallottolina che attaccherai all’amo, in modo da nasconderne la punta. A fine di conservare fresca la tua pasta, la terrai in un vasello coperta con un pezzo di tela, che avrai cura di mantenere umida.
Si prepara un’altra esca, versando sopra un piattello un po’ di sangue di montone, a cui si aggiunge un pizzico di sale, onde impedire che s’annerisca; si lascia quasi seccare, e quando ha preso una certa consistenza, si taglia in pezzetti proporzionati all’amo.
Un altro modo consiste nel prendere una manata o due di grosso frumento, e farlo bollire nell’acqua finchè sia ben molle; allora Io si frigge a lento fuoco con miele ed un poco di zafferano stemperato nel latte. Questi grani servono per gli ami molto piccoli; ed anche se ne può far uso per esca da fondo (vedi num. 686).
Finalmente le mosche, le formiche alate, ed ogni specie di vermicciuoli, sono altrettante esche per i pesci.
685. Esche fattizie. — È noto che gl’insetti alati sono esche eccellenti per la pesca delle trote, de’ tèmoli, de’ persi di fiume, o pesci persici che dir li vogliamo, dei salamoni, ecc. Ora, la difficoltà di procacciarsene di opportuni in tutte le stagioni, ha fatto immaginare l’esche fattizie, le quali suppliscono perfettamente agl’insetti naturali. Difficile sarebbe, e lunga cosa, lo spiegare quì con esattezza tutte le particolarità d’una tale fabbricazione. D’altronde si trovano in commercio, con poca spesa, ami già belli e muniti di tali insetti fattizii e sì bene imitati, che facilmente si scambierebbero con i reali. Nondimeno ecco, in un modo generale, come si dee procedere allorchè si vogliono fare da sè simili insetti.
Il corpo lo formerai con una piccola striscia d’una stoffa sottile del colore proprio dell’insetto che vuoi imitare, e lo assicurerai all’amo con fil di seta dello stesso colore, a cui mischierai del filo d’oro o d’argento quando l’insetto ha il colore di questi metalli. Se l’insetto è vellutato, farai uso del medesimo filo per assicurare una certa quantità di lanugine o di peli, che taglierai colle forbici, o di cui abbrucerai l’estremità alla fiamma d’una candela, per ridurli alla debita lunghezza. Se l’insetto ha da avere le ali, formerai queste con piume, ferme e strette, che taglierai colle forbici per dar loro la grandezza e la forma che si richieggono.
Per imitare le formiche alate, con cui si pescano le trote nel mese di giugno, si fa uso di cambellotto bruno e rosso, a cui si da la forma rotonda del ventre di quell’insetto, ed una penna nera strappata dal collo d’un gallo, ovvero le setole di majale servono a formar le ali.
Per regola generale, gl’insetti artifiziali voglion essere d’un color chiaro, quando si pesca con un tempo fosco: o d’un colore oscuro, quando v’è sole. Tre o quattro insetti ben fatti bastano per pescare tutto l’anno.
686. Esche da fondo. — Per invitare i pesci a frequentare i luoghi dove si vuol pescare, bisogna presentar loro di que’ cibi di cui van ghiotti. Laonde si mischiano talvolta colla belletta varie sorta di grani; se ne riempie un canestro od un barile, aperto dall’un capo e dall’altro, e il pescatore lo colloca nel fondo dell’acqua. Parecchie specie di pesci, e particolarmente i carpioni, amano cercare i grani in simile belletta.
Ecco un’esca tenuta per eccellente. Tieni in macerazione per una notte delle fave grosse; falle lessare alquanto nell’acqua; aggiungi un’oncia di miele e un grano di muschio per ogni mezzetta di fave; nè aspettare che le sieno intieramente cotte per tirarle indietro dal fuoco. Con queste fave si fanno delle pallottole, e si gettano nell’acqua dove il fondo non è melmoso.
Si possono conservare alcune di queste fave, le più grosse, per farne il boccone agli ami.
L’esca da fondo la più facile a farsi è una pasta di mollica di pane, di miele e d’un tantino d’assafetida.
Anche lo sterco di vacca, la crusca mista con avena ger-mogliata, le budella d’animali, ecc., attirano i pesci.
Quando si fa uso di simili esche, se ne porta in riva all’acqua verso le ore 8 o 9 di sera; se ne formano delle pallottole, e vi si gettano dentro. La dimane si torna quivi a pescare.
687. Pesca colle lenze immobili. —Le lenze immobili, dette da’ Francesi bricoles ed in Toscana correntine, sono lenze molto lunghe, a cui si raccomandano due o più ami, e che, invece d’essere annodate ad una canna, si tengono in mano per la loro estremità, ovvero si assicurano alla riva ad un ramo d’albero, o ad un cavicchio, o ad un sasso.
Queste lenze hanno una pallottola di sughero fermata a qualche distanza dagli ami, secondo l’altezza dell’acqua: e vicino agli ami stessi vi ha un pezzetto di piombo, in guisa che quella parte di lenza compresa fra il sughero ed il piombo, rimane immersa nell’acqua perpendicolarmente, e gli ami al di sotto.
S’infilza agli ami il boccone come al solito, e, intrecciata la lenza intorno al pollice ed al mignolo, il pescatore la posa così piegata sulla palma della mano diritta, e tenendo fermo colla sinistra l’altro capo della lenza, getta con tutta la sua forza e lenza e amo, sì che il sughero vada a cadere nell’acqua nel sito ch’egli giudica più conveniente. Allora egli raccomanda il capo della lenza, che tenea colla sinistra, a qualche ramo od altro, come abbiam detto sopra.
Alcune volte si tendono lungo un fiume od in riva d’uno stagno, venti o trenta lenze; ma vuolsi aver riguardo che sieno disposte in modo che non s’abbiano ad ingarbugliare fra loro. Il movimento del sughero avverte quando il pesce resta preso all’amo.
688. Altro sistema di lenze. — Si attaccano sopra una corda più o meno lunga varie lenze lunghe 3 o 4 palmi, distanti due braccia l’una dall’altra, e munite d’esca. Il pescatore in un battello raccomanda l’un capo di questa corda così disposta ad un palo ficcato nel fondo del fiume, e poi, allontanandosi a poco a poco e gettando successivamente nell’acqua tutta la corda, quando l’ha tutta distesa, attacca all’altro capo di essa un grosso sasso, e lo getta nella corrente. Quest’operazione vuol farsi prima che tramonti il sole, e la mattina seguente si ritirano le lenze.
Si pigliano a questo modo i barbi, i pesci persici, ecc. Ma se si tendesse in un luogo dove fossero molte anguille, bisognerebbe far le lenze di crine; e volendo pigliar lucci, le lenze si soglion fare di fil d’ottone.
689. Modo di dare il colore alle lenze. — I pescatori tingono le loro lenze con un leggiero color verde, per dar meno sospetto ai pesci. Ecco come si deve operare. Metti mezza libbra di fuliggine in un boccale di birra; aggiungi un poco di succo di foglie di noce, ed un pizzico d’allume. Quando il tutto avrà ben bollito e sarà quindi freddato, v’immergerai le tue lenze, e ve le farai stare più o meno tempo, secondo il grado di verde che vuoi dar loro.
690. Pesca col giacchio, ossia ritrécine. — Il giacchio, o ritrécine che tu voglia chiamarlo, è una rete di forma conica, ossia a guisa d’imbuto; la sua bocca, la quale ha talvolta fino a 12 braccia di circonferenza, si va sempre restringendo a ciascun ordine di maglie, e termina in una punta o comignolo, a cui è annodata una lunga corda. La lunghezza, o profondità del giacchio è di 4 in 5 braccia, e talvolta anche più.
Questa rete, fatta con buon filo ritorto a tre capi, ha la circonferenza guarnita di una corda grossa quanto un dito mignolo, nella quale sono infilati tanti anelli di piombo del peso di un’oncia ciascuno, che stringono la corda in modo da non potervi scorrere. Tutti questi anelli, fissati ad egual distanza fra loro, pesano insieme da 40 a 50 libbre.
L’orlo della rete sopravanza di circa mezzo braccio la corda impiombata; ma questo lembo è rivoltato al di dentro del cono, ed è parimente sostenuto di distanza in distanza da piccole funicelle; onde questa porzione di rete viene a formare all’intorno della bocca del giacchio varie borse destinate a ritenere i pesci.
Si pesca col giacchio in due maniere, cioè: strascinandolo, ovvero gettandolo. Qui di seguito descriviamo e l’uno e l’altro modo di servirsene.
691. Maniera di strascinare il giacchio. — Si attaccano due corde a quella che cinge la bocca del giacchio, in modo che lo spazio fra esse compreso, o meglio diremo, il tratto di circonferenza compreso fra i due punti ove esse sono annodate alla corda che forma l’orlo della rete, sia un terzo circa di tutta la circonferenza dell’orlo stesso. Due uomini, camminando sopra le due sponde del fiume, strascinano il giacchio tirando le due corde suddette per di sopra alla spalla. La parte dell’orlo del giacchio compresa fra le due corde, ossia, come abbiam detto, la più corta, rimane tesa al livello dell’acqua per l’azione de’ due uomini che tirano le due corde, mentre il rimanente dell’orlo stesso vien tratto a fondo dal peso dei piombi. Un terzo pescatore tiene la corda che risponde al comignolo della rete, e quando giudica che vi possano esser dentro de’ pesci, tira a terra il giacchio nel seguente modo. I due primi pescatori allentano ciascuno la propria corda, affinchè tutta la circonferenza della rete cada al fondo, ed il terzo intanto tira a sè pian piano la corda del comignolo, passandola ora a destra, ora a sinistra, per far sì che i piombi si accostino gli uni agli altri, e chiudano la bocca del giacchio ; e per agevolare ciò, appena gli perverrà in mano il comignolo della rete, lo attorciglierà con ambe le mani. Allora con tutta la sua forza egli tira la rete a terra, la sostiene colla sinistra, e colla destra solleva la corda impiombata, e la scorre tutta all’intorno, vuotando le borse di tutto ciò che vi si trova di lordo, e buttando nell’acqua i pesciolini troppo piccoli; ma di mano in mano che ne trova di quelli che meritano d’esser presi, li ripone in un paniere coperto, il cui fondo vuol essere guarnito d’erbe fresche. Ciò fatto si ricomincia la pesca.
Vi ha chi crede miglior partito il trascinare il giacchio contro la corrente dell’acqua, e chi invece a seconda. Nell’un caso e nell’altro, una parte de’ pesci, spaventati, fugge innanzi per evitare la rete. Laonde è bene aver la cautela d’arrestare questi fuggiaschi con tender loro, di distanza in distanza, un tramaglio che attraversi il fiume per tutta la sua larghezza; ed è infatti vicino a questi tramagli che si piglia maggior quantità di pesci.
692. Maniera di gettare il giacchio. — Non si strascina questa rete se non ne’ fiumi di poca larghezza, non troppo profondi, e il cui letto non abbia macigni e sassi grossi; laddove la pratica di gettare il giacchio può convenire in ogni caso.
Prima di tutto, il pescatore si lega al pugno sinistro la corda del comignolo, e colla mano medesima stringe tutto il giacchio tre palmi circa sopra la corda impiombata: indi, tenendo penzoloni questa porzione della rete, in modo per altro che i piombi si accostino un poco a terra, piglia colla destra circa la terza parte della circonferenza della rete, e, rovesciandola intieramente, se la getta sulla spalla sinistra come si farebbe con un mantello alla spagnuola; poi prende ancora colla destra un’altra terza parte circa della rete, e lascia penzolare il resto davanti a sè.
Disposte in tal modo le cose, e condottosi in riva al fiume, o in mezzo al medesimo sur un battello, il pescatore volge la persona verso la sinistra, e subitamente e con vivacità rivolgendosi a destra, getta quanto più forte può la rete nell’acqua, in guisa che nello spiegarsi essa formi una ruota. La corda impiombata discende tosto al fondo, e tutti i pesci che si trovano sotto il giacchio, vi restano chiusi. Allora il pescatore tira a sè la rete come abbiam detto sopra.
693. Pesca de’ ghiozzi. — Avvi due specie di ghiozzi; quelli di mare, e quelli d’acqua dolce. I primi si pescano in tutti i porti della nostra penisola, colla lenza ed i lombrichi; i secondi abbondano ne’ laghi, ne’ fiumi, ed anche in alcuni stagni. Ne’ giorni più caldi, questi pesciolini si radunano in quantità a galla dell’acqua. Bisogna allora raccogliere ne’ prati due o tre cavallette, e quindi collocarsi in silenzio dietro un albero in riva del fiume. Il pescatore pone le cavallette nell’amo, e lascia pendere la lenza sull’acqua, in modo che l’esca stia un mezzo braccio discosta dalla superficie. Appena che il ghiozzo scorge l’ombra della canna, si tuffa nel fondo; ma ben tosto riappare a galla: allora bisogna lasciar calare pian piano l’amo davanti al pesce, il quale accorre, abbocca l’esca, e resta preso.
In mancanza di cavallette, si può valersi egualmente di una lumaca nera, d’un pezzo di cacio dolce, d’un lombrico, d’un calabrone, d’una formica alata, d’una mosca, ecc.
Anche le trote si pigliano a questo modo.
694. Pesca delle anguille. — Si pigliano le anguille colle nasse gittate alla sera in un fiume; — colla lenza immobile, nei cui ami si pongono grossi lombrichi; — coll’allettamento d’una composizione fatta con un’oncia di scolopendra marina, il simile di squilla e 3 denari di giuggiolena, il tutto mischiato insieme; — ovvero con una manata di sermenti annodati da ambo i capi, che si gettano la sera nel fondo dell’acqua, ove si dee fermarli con un grosso sasso, e che si ritirano la mattina seguente.
695. Pesca delle rane. — Si possono pescare le rane colla lenza, servendosi per esca di qualche insetto. Anche un pezzetto di panno rosso le alletta, e vanno ad abboccarlo credendolo forse un pezzetto di carne. In generale si può far uso d’ogni sorta d’esche, tanta è la voracità di questo anfibio. Una tal pesca vuol esser fatta in silenzio.
Ancora si pigliano le rane nel modo seguente: metti una rana viva in un bicchiere, in riva ad un pantano, e poni sopra esso un sasso, affinchè la rana non possa uscirne. Subito che le rane sentiranno gracidar quella che tu hai rinchiusa, accorreranno per liberarla, e allora le piglierai con una reticella a guisa di borsa, assicurata in cima ad una pertica, e di cui sarai provvisto.
Ma la pesca di notte è senza dubbio la più abbondante. Si pigliano delle torce, e si va in luogo dove si sa che si trovano delle rane. I pescatori entrano nell’acqua, e portano seco un sacco per riporvi le rane. Questi animali, attirati dal lume delle torce, accorrono in folla sulle rive, e si lasciano facilmente prendere; ma conviene usar la precauzione di chiuder bene il sacco, altrimenti si rischierebbe di vederle fuggir tutte. Il tempo migliore per questa pesca è il più oscuro.
696. Pesca de’ carpioni. — Scegli un luogo di fiume o di stagno dove l’acqua formi una specie di bacino netto da ogni sorta di giunchi e di radici d’alberi, e dove sii certo che si trovino molti carpioni. Mediante un battello, fa di chiudere un tal luogo con reti, il cui piombo tocchi il fondo, e la cui parte superiore si sostenga alla superficie dell’acqua per mezzo di pezzi di sughero infilati alla corda che ne forma l’orlo. Piglia dodici, quindici, venti o più petardi composti come i razzi ordinarii, ed a’ quali avrai legato de’ sassi per farli calare a fondo; dà loro il fuoco, e gettali prontamente, gli uni dopo gli altri, nel bacino. L’esplosione de’ petardi solleva la belletta e intorbida l’acqua; i carpioni, atterriti, non sanno dove fuggire; ma costretti a trovare un’acqua più pura, incappano nelle reti.
Si prendono i carpioni anche facendo calare al fondo una vecchia barca, che si sarà prima empiuta di rami secchi. In capo a tre mesi, tirando la barca a terra, si trovano nel suo fondo e tra i rami i carpioni che vi si erano stanziati.
697. Pesca delle lamprede. — Vi ha de’ pescatori i quali pigliano le lamprede colle mani, gettando ne’ luoghi da esse frequentati una composizione fatta con carne di storione, un’oncia di semi di ruta salvatica, e altrettanto di grasso di vitello, il tutto ben pesto e mischiato insieme, e ridotto in pallottoline della grossezza d’un pisello. La lampreda, la quale appetisce molto una tale mescolanza, ne mangia, s’inebbria, cade in sopore, e riman preda del pescatore.
698. Pesca dei totani, o calamaj. — In alcune coste della Spagna, si fa una pesca assai singolare, chiamata colà potera, per pigliare i totani, o come altri li dicono, pesci calamaj. I pescatori si procurano una lenza di circa 20 braccia di lunghezza, in capo alla quale è una piccola verghetta lunga 8 o 10 pollici; infilzano in questa verghetta un pesciolino, e vi attaccano sotto un pezzetto di piombo per far discendere la lenza; inoltre, guarniscono la verghetta di lenze di crine di varie lunghezze, a cui sono annodati certi piccoli ami senz’esca. Portano la lenza così preparata ad una certa distanza, e poi si ritirano. I totani, che vengono per mangiar l’esca, s’intricano fra gli ami; ed al momento che il pescatore, il quale tiene in mano il capo della lenza, s’accorge che v’è qualche cosa di preso, la tira a sè, ne spicca la preda, e rimette la lenza nell’acqua. Questa maniera di pesca si pratica di notte.
699. Pesca dei gamberi. — Ammazza una lepre vecchia, od un gatto vecchio, e lascialo un po’ imputridire: indi legalo ad una corda, e gettalo nell’acqua; il giorno appresso ritiralo, e lo troverai coperto di gamberi. Affinchè i gamberi non iscappino, avverti di mettere il gatto o la lepre in un fagotto: la pesca è allora più sicura.
Un merluzzo salato è pure un’esca eccellente pe’ gamberi. Quando si tira a sè la preda, bisogna mettervi sotto un paniere per ricevere i gamberi che si lasciano cadere nell’acqua. Alcuni pescatori, per adescare i gamberi, si servono d’un sacco usato dove sia stato del sale.
Quando si conosce un ruscello dove sieno molti gamberi, è ottimo partito il deviarne il corso dell’acqua per mezzo d’una tura; giacchè appena rimasti in secco, e gamberi e pesciolini saranno tua facile preda.