Seconda parte

Il primo che avendo attorniato di siepi un terreno, pensò di dire questo è mio, e che trovò persone tanto semplici per crederlo, fu il vero fondatore della civile società. Quanti delitti, guerre, omicidj, miserie ed orrori non avrebbe risparmiato al genere umano colui, il quale sradicando i pali, o riempiendo il fosso che il terreno circuiva, avesse gridato a' suoi simili: guardatevi dal prestar orecchio a questo impostore; voi siete perduti, se vi scordate che i frutti sono di tutti, e che la terra non è di alcuno; ma v'è una grande apparenza, che le cose fossero già arrivate a un punto da non poter più durare come erano; poichè questa idea di proprietà dipendendo da molte altre idee anteriori, che non hanno potuto nascere che successivamente, non si formò in un momento nello spirito umano: convenne far molti progressi, acquistar grande industria e molti lumi, trasmetterli, aumentarli d'età in età, prima di giugnere a questo ultimo termine dello stato di natura. Riprendiamo dunque le cose più sopra, e procuriamo di unire sotto un sol punto di vista questa lenta successione di avvenimenti e di cognizioni nel loro ordine più naturale.

Il primo sentimento dell'uomo fu quello di sua esistenza; la sua prima cura, quella di sua conservazione. I prodotti della terra gli fornivano tutti i necessarj soccorsi; l'istinto lo portò a farne uso. La fame ed altri appetiti gli facevano provare a vicenda diverse maniere di esistere: ve ne fu che lo invitò a perpetuare la sua specie; e questa cieca inclinazione, sprovvista d'ogni sentimento del cuore, non produceva che un atto puramente animalesco: soddisfatto il bisogno, non si riconoscevano più i due sessi, ed il fanciullo stesso non era più della madre, tostochè poteva far di meno di essa.

Tal fu la condizione del nascente uomo; tale fu la vita di un animale ristretto nel principio alle pure sensazioni, e profittantesi appena dei doni che gli offriva la natura, lungi dal pensare a strappargliene: ma ben presto se gli presentarono delle difficoltà; gli convenne imparar a vincerle. L'altezza degli alberi che gl'impediva d'arrivare ai loro frutti, la concorrenza degli animali che cercavano di nutrirsene, la ferocità di quelli ché tendevano alla sua vita, tutto l'obbligò ad applicarsi agli esercizj del corpo; bisognò rendersi agile, presta al corso, vigoroso al combattimento. Le armi naturali, che sono i rami degli alberi e le pietre, si trovarono ben presto sotto alle sue mani. Imparò a sormontare gli ostacoli della natura, a combattere nelle occorrenze gli altri animali, a disputare la sua sussistenza agli uomini stessi, o a compensarsi di ciò che ceder bisognava al più forte.

A misura che si estendeva il genere umano, le pene si moltiplicarono cogli uomini. La differenza dei terreni, dei climi, delle stagioni, potè costrignerli a metterne nella loro maniera di vivere. Degli anni sterili, inverni crudi e lunghi, estati ardenti che tutto consumano, ricercarono da essi una novella industria. Quei lungo il mare e i fiumi inventarono le canne e l'amo, e diventarono pescatori e ichtiofagi. Quei de' boschi fecer degli archi e delle frecce, e divennero cacciatori e guerrieri: ne' paesi freddi si coprivano colle pelli degli animali che aveano uccisi. Il fulmine, un vulcano, e qualche felice azzardo lor fè conoscere il fuoco, nuova sorgente contro il rigore del verno: appresero a conservare questo elemento, poi a riprodurlo, ed in fine a cuocer le vivande che pria crude mangiavano.

Queste reiterate applicazioni degli enti diversi a lui medesimo, e gli uni agli altri, dovè naturalmente generar nello spirito dell'uomo le percezioni di certi rapporti. Quelle relazioni che noi esprimiamo colle parole di grande, piccolo, forte, debole, presto, lento, timoroso, ardito, ed altre simili idee paragonate al bisogno, e quasi senza pensarci, alla fine produssero in lui qualunque sorta di riflessione, o piuttosto una prudenza macchinale che gli indicava le precauzioni le più necessarie alla di lui sicurezza.

I nuovi lumi che risultarono da questo sviluppo, accrescerono la sua superiorità sovra gli altri animali, facendogliela conoscere. Si esercitò a tender loro delle insidie, gli ingannò in mille maniere: e, benchè molti lo sorpassassero in forza nel combattimento, o in velocità alla corsa, di quelli che potevano servirlo o nuocerlo, divenne col tempo il padrone degli uni, ed il flagello degli altri. In tal guisa il primo sguardo che portò sovra se stesso, vi produsse il primo movimento d'orgoglio; e in tal guisa non sapendo ancora appena distinguere i ranghi, e contemplandosi il primo per la sua specie, si preparava da lungi a pretendervi per il suo individuo.

Benchè i suoi simili non fossero per lui ciò ch'essi sono per noi, e che non avesse niun maggior commercio con essi che cogli altri animali, non furono però dimenticati nelle sue osservazioni. La conformità che il tempo potè fargli scorgere esser fra loro, la sua femmina e lui medesimo lo fecero giudicare di quelle che non iscorgeva; e vedendo ch'essi si conducevano come in simili circostanze avrebbe egli fatto, concluse che la loro maniera di pensare e di sentire era interamente conforme alla sua; e questa importante verità bene stabilita nel suo spirito gli fece seguire, per un presentimento così sicuro e più pronto che la dialettica, le migliori regole di condotta che per suo vantaggio e sua sicurezza gli convenisse osservare con essi.

Istruito dall'esperienza che l'amore del ben essere è il solo mobile delle umane azioni, si trovò in istato di distinguere le rare occasioni nelle quali per il comune interesse potesse esser sicuro dell'assistenza de' suoi simili, e quelle più rare ancora, nelle quali la concorrenza doveva metterlo in diffidenza di essi. Nel primo caso, egli s'univa con essi in truppa, o al più per qualche sorte di libera associazione, la quale non obbligava alcuno, e che non durava se non quanto il passeggero bisogno che l'aveva formata; nel secondo caso, ciascuno cercava di cogliere i suoi vantaggi, o a forza aperta se credeva poterlo; o coll'industria e sottigliezza se si sentiva il più debole.

Ecco come gli uomini poterono insensibilmente acquistare qualche grossolana idea de' mutui impegni, e dell'avvantaggio nell'adempirli, ma sol quanto poteva esigerlo l' interesse presente e sensibile; poichè nulla per essi era la previdenza, e lungi dall'occuparsi di un lontano avvenire, non pensavano neppure al dimani. Si trattava di prendere un cervo? ciascuno sentiva bene ch'egli doveva perciò guardar fedelmente il suo posto; ma se una lepre veniva a passare a portata d'uno di essi, non è da dubitarsi ch'ei non la seguisse senza scrupolo, e che avendo raggiunta la sua preda, egli poca pena si prendesse di far mancare la loro a' suoi compagni.

Egli è facile da comprendere, che un simile commercio non esigeva un linguaggio molte più raffinato di quello delle cornacchie, o delle scimie che s'atruppano a un dipresso del pari. Gridi inarticolati, molti gesti, ed alcuni strepiti imitativi, dovettero comporre per lungo tempo la lingua universale; al che unendosi in ciascuna contrada alcuni suoni articolari e convenzionali, de' quali, come ho di già detto, non è troppo agevole di spiegarne l'instituzione, si ebbero delle lingue particolari, ma grossolane, imperfette, e tali allo incirca che ne hanno ancora al dì d'oggi diverse selvagge nazioni. Scorro a un tratto la moltitudine de' secoli, sforzato dal tempo che passa, dall'abbondanza della cose che ho a dire, e dal progresso quasi insensibile dei principj; imperciocchè più gli avvenimenti erano lenti a succedere, più sono pronti a descriversi.

Questi primi progressi misero infine l'uomo a portata di farne de' più rapidi. Più s'illuminava lo spirito, più si perfezionava l'industria. Ben presto cessando di addormentarsi sotto il primo arbore, o di ritirarsi nelle caverne, si trovarono alcune asse di pietre dure e taglienti, che servirono a tagliar de' legni, a scavar la terra, a far delle capanne coi rami dcgli alberi, che si pensò in seguito d'intonacare con argilla e fango. Questa fu l'epoca di una prima rivoluzione, che formò lo stabilimento e la distinzione delle famiglie, e che introdusse una sorte di proprietà, da cui può ben essere che di già nascessero delle querele e dei combattimenti. Nonostante, come i più forti furono verisimilmente i primi a farsi degli alloggiamenti che si sentivano capaci di difendere, egli è da credere che i più deboli trovassero più espediente e più sicuro l'imitarli, che il tentar di sloggiarli: e quanto a quelli che avevan già delle capanne, ciascuno dovè poco curarsi d'appropriarsi quella del suo vicino, non tanto perché non gli apparteneva, quanto perchè gli sarebbe stata inutile, e perchè non avrebbe potuto impadronirsi, senza esporsi ad un vivo combattimento colla famiglia che l'occupava.

I primi sviluppi del cuore furon l'effetto di una novella situazione, che, riuniva in una comune abitazione i mariti e le mogli, i padri e i figliuoli; l'abitudine, di vivere insieme fè nascere i più dolci sentimenti che sian conosciuti dagli uomini, l'amor coniugale, e l'amor paterno. Ciascuna famiglia divenne una piccola società, tanto più unita, quanto che il reciproco attacco e la libertà n'erano i soli legami; e allora fu che si stabilì la prima differenza nella maniera del vivere dei due sessi, che fin qui non n'era stata che una. Le femmine divennero. più sedentarie, e si accostumarono a guardar la capanna e i figliuoli, frattanto che l'uomo cercando andava la comune sussistenza. Cosi i due sessi cominciarono, mediante una vita un po' più molle, a perder qualche cosa della loro ferocità e del loro vigore: ma se ciascuno separatamente diveniva men proprio a combatter le bestie selvagge, allo incontro fu più facile di unirsi assieme per resistergli in comune.

In questo novello stato, con una vita semplice e solitaria, con ristrettissimi bisogni, e con istrumenti ch'essi avevano inventati per provvedersi, gli uomini godendo un grandissimo ozio, l'impiegarono a procurarsi varie sorte di comodi sconosciuti a' loro padri: e questo fu il primo giogo che s'imposero senza avvedersene, e la prima sorgente de' mali che preparavano a' loro discendenti; imperciocchè oltre che essi continuarono così ad ammollirsi il corpo e lo spirito, questi comodi avendo per l'abitudine perduto quasi tutto il loro allettamento, ed essendo nel medesimo tempo degenerati in veri bisogni, la privazion ne divenne molto più crudele, che non n'era stata dolce la possessione, ed erano infelici nel perderli, senza esser felici nel possederli.

Qui si scorge un po' meglio come l'uso della parola si stabilì, o si perfezionò insensibilmente nel seno di ciascuna famiglia, e si può congetturare ancora come diverse cause particolari poterono estendere il linguaggio, e accelerarne i progressi rendendolo più necessario. Alcune grandi inondazioni, o tremuoti circondarono d'acque, o di precipizj qualche cantone abitato; improvvise rivoluzioni del globo staccarono e tagliarono in isole alcune porzioni del continente. Si concepisce che fra uomini così riuniti, e sforzati di viver assieme, si dovè formare un idioma comune piuttosto che fra quelli che erravano liberamente ne' boschi della terra-ferma. Così egli è possibilissimo che dopo i loro primi saggi di navigazione, alcuni isolani abbiano portato fra noi l'uso della parola; ed egli è almeno verisimilissimo che la società e le lingue abbiano avuto il loro primo nascimento nelle isole, e che vi si sieno perfezionate prima d'essere conosciute nel continente.

Tutto comincia a cambiar faccia. Gli uomini erranti fin qui ne' boschi, avendo preso un sito più fisso, si raggiungono lentamente, si riuniscono in diverse truppe, e formano in fine in ciascuna contrada una particolar nazione, unita da costumi e caratteri, non da regolamenti e da leggi, ma dal medesimo genere di vita e di alimenti, e dalla comune influenza del clima. Una continua vicinanza non può fare a meno di non generare in fine qualche legame fra le diverse famiglie. Giovani persone di differenti sessi abitano delle vicine capanne; il commercio passeggero che ricerca la natura, ne conduce ben presto un altro non meno dolce e più permanente dalla mutua frequentazione. Si prende l'uso a considerar differenti oggetti, e a farne de' paragoni; si acquistano insensibilmente idee di merito e di bellezza, le quali producono dei sentimenti di preferenza. A forza di vedersi, non si può lasciar di non vedersi ancora. Un tenero sentimento e dolce s'insinua nell'anima, e dalla menoma opposizione diventa un impetuoso furore: coll'amore si sveglia la gelosia; la discordia trionfa, e la più dolce delle passioni riceve sagrifizj di sangue umano.

A misura che le idee e i sentimenti si succedono, che lo spirito ed il cuore si esercitano, il genere umano continua ad ammansarsi, si stendono i legami, e i nodi si serrano. Si avvezzò ad unirsi dinanzi alle capanne, o attorno di un grand'albero: il canto e il ballo, veri figli dell'amore e dell'ozio, divennero il divertimento, o piuttosto l'occupazione degli uomini e delle femmine oziosi ed attruppati. Ciascuno cominciò a riguardar gli altri, e a voler esser riguardato egli stesso; ed ebbe un prezzo la pubblica stima. Quello che meglio cantava, o ballava, il più bello, il più forte, il più agile, il più eloquente, divenne il più considerato: e questo fu il primo passo verso l'ineguaglianza, e nello stesso tempo verso il vizio: da queste prime preferenze nacquero da una parte la vanità e il disprezzo; dall'altra la vergogna e l'invidia; e la fermentazione cagionata da questi nuovi lieviti produsse in fine dei composti alla felicità e all'innocenza funesti.

Appena gli uomini ebbero cominciato a mutuamente apprezzarsi, e che l'idea di considerazione fu formata nel loro spirito, ciascuno pretese di averne diritto, e non fu più possibile ad alcuno di mancarvi impunemente. Di là uscirono pure i primi doveri della civiltà fra i selvaggi; e di là ciascun torto volontario divenne un oltraggio, perchè col male che risultava dall'ingiuria, l'offeso vi vedeva il disprezzo di sua persona, sovente più insopportabile del male stesso. In tal guisa punendo ciascuno il disprezzo che gli veniva testimoniato d'una maniera proporzionata al caso ch'ei facea di se medesimo, divennero terribili le vendette, e sanguinarj e crudeli gli uomini. Ecco precisamente il grado ove erano pervenuti la più parte degli uomini selvaggi che ci sono conosciuti: ed egli è per diffetto di non aver sufficientemente distinte le idee, e rimarcato quanto questi uomini eran di già lontani dal primo stato di natura, che molti si sono affrettatti di concludere, che l'uomo è naturalmente crudele, e ch'egli ha bisogno di politica per raddolcirsi; frattanto che nulla è più dolce di lui nel primitivo stato, allorchè collocato dalla natura a distanze uguali e dalla stupidezza dei bruti, e dai lumi funesti dell'uomo civile, e ristretto egualmente dall'istinto e dalla ragione a garantirsi dal male che lo minaccia, egli è trattenuto dalla pietà naturale dal far male a chiunque, senza esservi portato da qualche motivo, ed anche dopo averne ricevuto. Poichè secondo l'assioma del saggio Locke non vi potrebbe essere ingiuria, ove non vi potess'essere proprietà.

Ma convien rimarcare che la società cominciata, e le relazioni già stabilite fra gli uomini, esigevano da essi qualità differenti da quelle ch'eglino tenevano dalla loro primitiva costituzione; che la moralità cominciando ad introdursi nelle azioni umane, ed essendo ciascuno avanti le leggi il solo giudice e vindice delle offese ch'egli avea ricevute, la bontà convenevole al puro stato di natura non era più quella che convenisse alla società nascente; poichè conveniva che le punizioni divenissero più severe, a misura che le occasioni di offendere divenivano più frequenti, e che al terror delle vendette toccava far le veci del freno delle leggi. In tal guisa, benchè gli uomini fossero divenuti men tolleranti, e che la pietà naturale avesse già sofferto qualche alterazione, questo sviluppo delle facoltà umane tenendo un giusto mezzo fra l'indolenza dello stato primitivo e la petulante attività del nostro amor proprio, dovè esser l'epoca la più felice e la più durevole. Quanto più vi si riflette, tanto più si trova che questo stato era il meno soggetto a rivoluzioni, il migliore all'uomo, e che egli non ne dovè uscire che per qualche funesto azardo, il quale per la comune utilità non avrebbe dovuto giammai succedere. L'esempio dei selvaggi,che si sono quasi tutti trovati a questo punto, sembra confermare che il genere umano era fatto per restarvi sempre, che questo stato è la vera giovinezza del mondo, e che tutti gli ulteriori progressi sono stati in apparenza altrettanti passi verso la perfezione dell'individuo, ma in effetto verso la decrepitezza della specie.

Fintantochè gli uomini si contentarono delle loro rustiche capanne, fintantochè si ristrinsero a cucire i loro abiti di pelle cogli spini, o colle reste, ad ornarsi di piume e di conchiglie, a pingersi il corpo di diversi colori, a perfezionare, o ad abbellire i loro archi e le loro frecce, a tagliare con pietre taglienti alcune barchette da pescatori, o alcuni grossolani istrumenti di musica; in una parola fintantochè non si applicarono che ad opere che poteva fare un solo, e ad arti che non avean d'uopo del concorso di molte mani, eglino vissero liberi, sani, buoni, e felici quanto potevan esserlo di lor natura, e continuarono a godere fra loro di un indipendente commercio; ma dall'instante che un uomo ebbe bisogno del soccorso di un altro; dacchè si apprese che era cosa utile ad un solo di aver provvigioni per due, disparve l'eguaglianza, s'introdusse la proprietà, divenne necessario il travaglio, e le vaste foreste si cambiarono in ridenti campagne che convenne innaffiare coi sudori degli uomini, e nelle quali si vide ben presto gemere e crescer colle messi la schiavitù e la miseria.

La metallurgia e l'agricoltura, furono le due arti, la di cui invenzione produsse rivoluzion sì grande. Per il poeta è l'oro e l'argento, ma per il filosofo il ferro e il grano sono quelli che hanno incivilito gli uomini, e perduto il genere umano; così l'uno e l'altro erano sconosciuti ai selvaggi dell'America, e perciò sono sempre tali restati: gli altri popoli pure sembra che sieno restati barbari fintantochè hanno praticata una di queste arti senza l'altra; ed una forse delle migliori ragioni pcrchè l'Europa è stata, se non più presto, almeno più costantemente meglio polita delle altre parti del mondo, essa lo è, per esser tutt'insieme la più abbondante in ferro, e la più fertile in grano.

Egli è difficilissimo di congetturar come gli uomini sieno pervenuti a conoscere ed impiegare il ferro; avvegnachè non è cosa credibile ch'eglino s'abbiano immaginato da per loro di trar la materia dalla mina, e di darle le preparazioni necessarie per metterla in fusione, avanti di sapere ciò che ne risulterebbe. Da un altro lato non si può nemmeno attribuire questa scoperta a qualche accidentale incendio, poichè le mine non si formano che negli aridi luoghi, spogli d'arbori e di piante; di maniera che si direbbe che la natura aveva avute delle precauzioni per involarci questo fatal secreto. Non resta dunque che la straordinaria circostanza di qualche vulcano, il quale vomitando delle materie metalliche in fusione, abbia data agli osservatori l'idea d'imitare questa operazione della natura: inoltre convien supporre del gran coraggio e della previdenza per intraprendere una così penosa fatica, e scorger tanto lungi i vantaggi che ne potevan trarre; lochè quasi non conviene senonchè a degli spiriti di già più esercitati di quanto questi dovevano esserlo.

Quanto all'agricoltura, il principio ne fu conosciuto lungo tempo prima che ne fosse stabilita la pratica: e non è possibile che gli uomini continuamente occupati a trar la loro sussistenza dagli alberi e dalle piante, non avessero molto prontamente acquistata l'idea delle strade che la natura impiega per la generazione dei vegetabili; ma probabilmente la loro industria non si voltò da questa parte che molto tardi, sia perchè gli alberi i quali con la caccia e la pesca soministravan loro il nutrimento, non avevano bisogno delle loro attenzioni, sia difetto di non conoscer l'uso del grano, sia mancanza d'instrumenti per coltivarlo, sia mancanza di previdenza per i futuri bisogni, sia in fine mancanza de' mezzi per impedir gli altri d'appropriarsi il frutto del loro travaglio. Divenuti più industriosi, si può credere che con pietre acute ed appuntati bastoni essi cominciassero dal coltivare alcuni legumi o radici attorno le loro capanne, lungo tempo prima di saper preparare il grano, e di aver gli strumenti necessarj per la coltura in grande, senza contare che per abbandonarsi a questa occupazione, convien risolversi a perder subito qualche cosa per guadagnar molto nel seguito: precauzione molto lontana dal giro dello spirito dell'uom selvaggio, il quale, come ho già detto, ha della pena a pensar la mattina per i bisogni della sera.

L'invenzione delle altre arti fu dunque necessaria per isforzare il genere umano ad applicarsi a quello dell'agricoltura. Dacchè accorsero degli uomini per fondere e batter il ferro, per nutrir questi vi bisognarono altri uomini. Più il numero degli operai venne a moltiplicarsi, vi furono meno mani impiegate per somministrare la sussistenza comune, senza che diminuissero le bocche per consumarla: e come abbisognarono agli uni delle derrate in cambio del loro ferro, gli altri trovarono in fine il secreto d'impiegare il ferro alla moltiplicazione delle derrate. Da ciò nacquero da una parte il lavoro della terra e l'agricoltura, e dall'altra l'arte di lavorare i metalli, e di moltiplicarne gli usi.

Dalla coltura delle terre ne seguì necessariamente il loro partaggio, e dalla proprietà una volta riconosciuta le prime regole di giustizia: poichè per rendere a ciascuno il suo, bisogna che ciascuno possa aver qualche cosa; di più, cominciando gli uomini a portar le loro mire nell'avvenire, e vedendo tutti che avevano qualche cosa da perdere, non ve n'era alcuno che non avesse a temere le rappresaglie de' torti che egli poteva fare agli altri. Questa origine è tanto più naturale, quantoch'è impossibile di concepir l'idea della proprietà da altra parte, che da quella del lavoro; avvegnachè non si vede che l'uomo per appropriarsi le cose che non ha fatte, altro non vi possa mettere che il suo lavoro. Il lavoro solo è quello, il quale dando il diritto al coltivatore sul prodotto della terra che ha lavorata, gliene dà per conseguenza sul fondo, almeno fino alla raccolta, e così d'anno in anno; locchè facendo una continua possessione, si trasforma facilmente in proprietà. Allorchè gli antichi, dice Grozio, hanno dato a Cerere l'epiteto di legislatrice, e ad una festa celebrata in suo onore il nome di Thesmophoria (pubblicazion delle leggi), hanno con ciò fatto intendere che il partaggio delle terre ha prodotto una nuova sorte di diritto; cioè a dire il diritto di proprietà, differente da quello che risulta dalla legge naturale.

Le cose in tale stato avrebbero potuto restare egual uguali fossero stati i talenti, e che, peesempiol'impiego del ferro ed il consumo delle derrate avessero sempre tenuto un esatto equilibrio; ma non essendo cosa veruna che mantenesse la proporzione, questa fu ben tosto rotta; il più forte faceva più lavoro; il più accorto traeva miglior partito dal suo; il più ingnegnoso trovava i mezzi di abbreviare il travaglio; il lavoratore avea più bisogno di ferro, o il fabbro avea più bisogno di grano e nell'ugualmente lavorare, uno guadagnava molto, frattantochè l'altro poteva appena vivere. In questa maniera insensibilmente si scopre l'ineguaglianza naturale con quella dell'unione, e che le differenze degli uomini, sviluppate dalla differenza delle circostanze, si rendono più sensibili, più permanenti ne' loro effetti, e cominciano a influire nella medesima proporzione sulla sorte dei particolari.

Essendo arrivate a questo punto le cose, egli è facile d'immaginare il resto. Io non mi fermerò già a descrivere l'invenzion successiva delle altre arti, i progressi delle lingue, la prova e l'impiego de' talenti, l'ineguaglianza delle fortune, l'uso, o l'abuso delle ricchezze, nè le particolarità che queste seguitano; al che può facilmente ciascuno supplire. Mi ristrignerò solamente a dar un'occhiota sovra il genere umano, situato in questo nuovo ordine di cose.

Ecco dunque sviluppate tutte le nostre facoltà, la memoria e l'immaginazione in opera; l'amor proprio interessato, resa attiva la regione, e lo spirito quasi arrivato al termine di perfezione, di cui è suscettibile. Ecco tutte le qualità naturali poste in azione; stabilito il rango e la sorte di ogni uomo, non solo sulla quantità dei beni, e il potere di giovare, o di nuocere, ma sullo spirito, la bellezza, la forza, o l'agilità, sul merito, o sui talenti: ed essendo queste qualità le sole che potesse attrarre della considerazione, convenne ben tosto averle, o affettarle: e convenne per proprio vantaggio mostrarsi diverso da ciò che s'era in effetto. Essere e parere diventarono due cose affatto differenti; e da questa distinzione sortirono il fasto imponente, l'astuzia ingannevole, e tutti i vizj che ne fanno il corteggio. Da un altro lato, di libero ed indipendente che era l'uomo per lo innanzi, eccolo da una moltitudine di nuovi bisogni assoggettato per così dire a tutta la natura, e soprattutto a' suoi simili, de' quali in un senso ne diventa lo schiavo, nel tempo stesso che diventa il loro padrone: ricco ha bisogno de' loro servigi; povero ha bisogno de' loro soccorsi; e la mediocrità non impedisce che possa far senz'essi. Bisogna dunque ch'egli continuamente cerchi d'interessarli alla sua sorte, ed a fargli trovare in effetto, o in apparenza il loro profitto a travagliare per il suo proprio: locchè lo rende furbo cd artifizioso con gli uni, imperioso e duro con gli altri; e lo mette nella necessità di abusare di tutti quelli di cui egli ha bisogne, quando non può farsi temere, e che non trova il suo interesse a servirli utilmente. Infine la divoratrice ambizione, l'ardor d'inalzare la sua fortuna relativa, meno da un vero bisogno, che per mettersi al disopra degli altri, inspira a tutti gli uomini una nera inclinazione a nuocersi mutuamente, una secreta gelosia tantopiù pericolosa, quantochè per far il suo colpo con maggior sicurezza prende sovente la maschera della benevolenza; in una parola, concorrenza e rivalità da un lato, opposizion d'interesse dall'altro; e sempre il secreto desiderio di fare il suo profitto alle altrui spese; tutti questi mali sono il primo effetto della proprietà, e l'inseparabile corteggio della nascente ineguaglianza.

Primachè si fossero inventati i segni rappresentativi delle ricchezze, esse non potevano consistere che in terre ed in bestiami, essendo questi i soli beni reali che gli uomini potessero possedere. Or quando i fondi terreni furono accresciuti in numero ed estensione, a segno di coprir l'intero suolo e di toccarsi tutti, gli uni non poterono più ingrandirsi che a danno degli altri; e i soprannumerarj che la debolezza, o l'indolenza avevano impedito di far essi pure i loro acquisti, diventati poveri senza aver nulla perduto, perchè tutto cambiando attorno di essi, eglino soli non aveano cambiato, furono obbligati di ricevere, o di rapire la loro sussistenza dalla mano de' ricchi: e da ciò cominciarono a nascere, secondo i diversi caratteri degli uni e degli altri, il dominio e la servitù, o la violenza e le rapine. Dal loro canto i ricchi conobbero appena il piacer di dominare, che disprezzaron ben presto tutti gli altri; e servendosi de' loro antichi schiavi per sottometterne di nuovi, non pensarono che a soggiogare e domare i loro vicini: simili a que' lupi affamati, i quali avendo una volta gustata della carne, rifiutano ogn'altro nutrimento, e non vogliono che divorar degli uomini.

In questa guisa i più potenti, o i più miserabili, facendosi della loro forza, o dei loro bisogni una sorte di diritto al bene altrui, equivalente, secondo essi, a quello di proprietà, la rotta eguaglianza fa seguita dal più spaventevole disordine. In questa guisa le usurpazioni dei ricchi, le ruberie de' poveri, le sfrenate passioni di tutti soffocando la naturale pietà, e la voce ancor più debole della giustizia, resero gli uomini avari, ambiziosi, e cattivi. Fra il dirittodel più forte, ed il diritto del primo occupante insorgeva un perpetuo conflitto, il quale non terminava che coi combattimenti e cogli omicidj. La nascente società diè luogo al più orribile stato di guerra: il genere umano avvilito e desolato, non potendo più ritornar addietro, nè rinunciare agli infelici acquisti ch'egli avea fatti, e non lavorando che alla sua vergogna coll'abuso delle facoltà che l'onorano, si pose egli stesso sull'orlo della sua rovina.

Attonitus novitate mali, divesque miserque,

Effugere optat opes, et quæ modo voverat, odit.

Egli non è impossibile che gli uomini non abbiano fatte alfine delle riflessioni sovra una situazione così miserabile, e sovra le calamità dalle quali erano oppressi. I ricchi sovrattutto dovettero ben presto sentire quanto era loro disavvantaggiosa una guerra perpetua, di cui ne facevano essi soli le spese, e nella quale il rischio della vita era comune, e quello de' beni particolare. Dall'altra parte, qualunque colore che essi potessero dare alle loro usurpazioni, sentivano abbastanza ch'esse non erano stabilite che sopra un diritto precario ed abusivo; e che non essendo state acquistare che dalla forza, la forza poteva levargliele senza che avessero ragione di lamentarsene. Quegli stessi che la sola industria aveva arricchiti, non potevano fondar la loro proprietà sovra migliori titoli. Avevano un bel dire: ho io fabbricato questo muro; ho guadagnato questo terreno colle mie fatiche. Chi vi ha dati i livellamenti, si poteva loro rispondere: ed in virtù di che pretendete voi d'esser pagati di una fatica che noi non vi abbiamo imposta? Non sapete voi forse che una moltitudine de' vostri fratelli perisce, o soffre il bisogno di ciò che a voi avanza, e che vi conveniva un consentimento espresso ed unanime del genere umano per appropriarvi sulla comune sussistenza tuttociò che sorpassava la vostra? Destituito di valevoli ragioni per giustificarsi, e di sufficienti forze per difendersi; distruggendo facilmente un particolare, ma distrutto egli pure da truppe di banditi; solo contro tutti, ed a motivo delle mutue gelosie non potendo unirsi coi suoi eguali contro inimici uniti dalla speranza comune del bottino, il ricco sforzato dalla necessità, concepì infine il progetto il più meditato che sia giammai entrato nello spirito umano: questo fu d'impiegare in suo vantaggio le forze stesse di quelli che lo attaccavano, di far diventare suoi difensori i suoi avversarj, d'inspirar loro altre massime, e dargli altre istituzioni che fossero a lui così favorevoli come il diritto naturale gli era contrario.

In questa vista, dopo aver esposto a' suoi vicini l'orror di una situazione che li armava tutti gli uni contro gli altri, che gli rendeva le loro possessioni così gravose che i loro bisogni, e dove alcuno non trovava la sua sicurezza nè nella povertà, nè nella ricchezza, egli inventò facilmente delle speciose ragioni per condurli al suo fine.

“Uniamoci, disse loro, per garantire dall'oppressione i deboli, per contenere gli ambiziosi, per assicurare a ciascuno il possesso di ciò che gli appartiene: instituiamo delle regole di giustizia e di pace, alle quali sieno tutti obbligati di conformarvisi, che non abbian rispetto per alcuno, e che riparino in qualche guisa i capricci della fortuna, sottomettendo egualmente il potente ed il debole a mutui doveri; in una parola, in vece di volger le nostre forze contro noi stessi, riuniamole in un poter supremo che ci governi con sagge leggi, il quale protegga e difenda tutti i membri dell'associazione, rispinga gli inimici comuni, e ci mantenga in una eterna concordia.”

Ne bisognò molto meno che l'equivalente di questo discorso per strascinare degli uomini grossolani, facili a sedurre, che dall'altro lato avevano troppi affari da definire fra loro per poter fare a meno di arbitri, e troppa avarizia ed ambizione per potere star lungo tempo senza padroni. Tutti corsero ad incontrare le loro catene, credendo di assicurare la loro libertà; avvegnachè avevano molta ragione per sentire i vantaggi di un politico stabilimento, ma non abbastanza esperienza per prevederne i pericoli: i più capaci di presentire gli abusi, erano precisamente quelli che faceano il conto di approfittarsene, e gli stessi saggi videro che conveniva risolversi a sacrificare una parte della loro libertà per la conservazione di un'altra, come un ferito si fa tagliare il braccio per salvare il resto del corpo.

Tale fu, o dovè essere l'origine della società e delle leggi, le quali diedero nuovi ostacoli al debole, e nuove forze al ricco, distrussero senza riparo la libertà naturale, fissarono per sempre la legge della proprietà e dell'ineguaglianza, di una accorta usurpazione fecero un irrevocabile diritto, e per il profitto di alcuni ambiziosi assoggettarono d'ora innanzi tutto il genere umano alla fatica, alla servitù, e alla miseria. Facilmente si vede come lo stabilimento di una società rese indispensabile quella di tutte le altre, e come, per far fronte a forze unite, convenne a vicenda unirsi. Moltiplicandosi la società, o estendendosi rapidamente, coprirono ben presto la superficie della terra, e non riuscì più possibile di trovare un solo angolo dell'universo ove esentar si potesse dal giogo, e sottrarre il suo capo dalla spada della giustizia, sovente mal maneggiata, che ciascun uomo vide perpetuamente sospesa sovra la sua testa. Il diritto civile essendo in tal guisa divenuto la regola comune dei cittadini, la legge di natura non ebbe più luogo che fra le diverse società, ove sotto nome del diritto delle genti ella fu temperata da alcune tacite convenzioni per render possibile il commercio, e supplire alla commiserazione naturale, la quale, perdendo da società a società quasi tutta la forza ch'essa aveva da uomo a uomo, non risiede più se non che in alcune grandi anime cosmopolite, le quali superando le barriere immaginarie che separano i popoli, e le quali, ad esempio dell'ente supremo che le ha create, abbracciano tutto il genere umano nella loro benevolenza.

I corpi politici restando così fra loro nello stato di natura, si risentirono ben presto degli inconvenienti che avevano sforzato i particolari ad uscirne; e questo stato divenne ancora più funesto fra questi gran corpi, che non lo era stato per lo innanzi fra gli individui di cui erano composti. Da ciò uscirono le guerre nazionali, le battaglie, le uccisioni, le represaglie che fanno fremere la natura, ed offendono la ragione, e tutti quegli orribili pregiudizj che mettono nel rango delle virtù l'onore di spargere il sangue umano. Le più oneste persone insegnarono a contar fra i loro doveri quello di uccidere i loro simili; si videro infine gli uomini scannarsi a mille a mille senza sapere il perchè; e si commettevano più uccisioni in un sol giorno di combattimento, e più orrori nella presa di una sola città, che non se n'erano commessi nello stato di natura per il corso d'interi secoli su tutta la faccia della terra. Tali sono gli effetti che si travedono dalla divisione del genere umano in differenti società. Ritorniamo alla loro istituzione.

Io so che molti hanno date altre origini alle Società politiche, come le conquiste del più potente, o l'unione dei deboli; e la scelta fra queste cause è indifferente, a ciò ch'io voglio stabilire: ciò nonostante quella che vengo ad esporre mi sembra la più naturale per le seguenti ragioni. 1 Che nel primo caso, il diritto di conquista non essendo egli un diritto, non ha potuto fondarne verun altro, restando sempre fra loro il conquistatore ed i popoli conquistati in un continuo stato di guerra; quando però la ragione rimessa in piena libertà non iscelga volontariamente per capo il suo vincitore. Fin qua, per quante capitolazioni si sieno fatte, come esse non sono state fondate che sulla violenza, e che in conseguenza per il fatto medesimo sono nulle, non vi può essere in questa ipotesi nè vera società, nè corpo politico, nè altra legge, senonchè quella del più forte. 2 Che queste parole forte e debole sono equivoche nel secondo caso; che nell'intervallo che si trova fra lo stabilimento del diritto di proprietà, o del primo occupante, e quello dei governi politici, il senso di questi termini è meglio espresso da quelli di povero e diricco, perchè in fatti avanti le leggi non aveva un uomo altri mezzi per assoggettare i suoi eguali, senonchè nell'attaccare i loro beni, o nel far loro qualche parte dei suoi. 3 Che i poveri non avendo nulla a perdere oltre la libertà, sarebbe stata questa per essi una gran follìa di privarsi volontariamente del solo bene che gli restava, per niente guadagnare nel cambio; che al contrario essendo i ricchi, per così dire, sensibili in tutte le parti de' loro beni, egli era molto più facile di far loro del male, che avevano per conseguenza maggiori precauzioni da prendere per garantirsene; e che in fine egli è ragionevole il credere, che una cosa sia stata inventata da quelli a' quali reca utile, piuttosto che da quelli cui fa danno.

Il nascente governo non ebbe una forma costante e regolare: la mancanza di filosofia e di esperienza non fasciava vedere che gli inconvenienti presenti, e non si pensava a porger rimedio agli altri, senonchè a misura che si presentavano. Ad onta de' travagli dei più saggi legislatori, lo stato politico restò sempre imperfetto, perchè essendo quasi l'opera dell'azzardo, ed essendo stato mal principiato, il tempo nello scoprire i difetti, e nel suggerire i rimedj, non potè giammai riparare i vizj della costituzione: si raccomodava continuamente, in vece che conveniva nettar prima il suolo, ed allontanare tutti i vecchi materiali, come fece Licurgo a Sparta, per innalzare poi un buon edifizio. La società non consistè dapprincipio, che in alcune generali convenzioni, le quali s'impegnarono tutti i particolari di osservare, e la di cui comunità si rendeva garante verso ciascuno di essi. Bisognò che l'esperienza mostrasse quanto era debole una tale costituzione, e quanto era facile agli infrattori di evitar la convenzione, o il castigo delle colpe, di cui il pubblico solo doveva essere il testimonio e il giudice; bisognò che fosse in mille maniere delusa la legge; bisognò che si moltiplicassero continuamente gli inconvenienti e i disordini, perchè si pensasse infine a confidare ad alcuni particolari il pericoloso deposito dell'autorità pubblica; e che si commettesse a magistrati la cura di far osservare le deliberazioni del popolo: avvegnachè il dire che i capi furono scelti prima che fatta fosse la confederazione, e che i ministri delle leggi esistessero avanti delle leggi medesime, una supposizione è questa che non è permesso di seriamente combattere.

Non sarebbe neppure più ragionevole il credere che i popoli si sieno subito gettati nelle braccia di un assoluto padrone, senza condizioni e senza riparo, e che il primo mezzo che abbiano avuto uomini fieri e indomabili per provvedere alla comune sicurezza, sia stato quello di precipitarsi nella schiavitù. In fatti, perchè si sono essi fatti de' superiori, se non per esser difesi contro l'oppressione, e protetti i loro beni, le loro libertà; le loro vite, che sono, per così dite, gli elementi costitutivi del loro essere? Ora nelle relazioni da uomo a uomo, il peggio che potesse succedere ad uno, essendo quello di vedersi alla discrezione di un altro, non sarebbe stato contro il buon senso il cominciar dallo spogliarsi fra le mani di un capo delle sole cose, per la conservazione delle quali essi avevano bisogno del loro soccorso? Qual equivalente avrebbe egli potuto offrir loro per la concessione di un sì bel diritto? e se avesse osato di esigerlo sotto pretesto di difenderli, non avrebbe egli ben presto ricevuta la risposta dell'apologo; Che ci farà di più l'inimico? Egli è dunque incontestabile, e questa è la massima fondamentale d'ogni diritto politico, che i popoli si sono dati de' capi per difendere la loro libertà, e non per assoggettarsi. Se noi abbiamo un principe, diceva Plinio a Traiano, egli è affinchè ci prese rvi dall'avere un padrone.

I politici fanno sull'amore della libertà i medesimi sofismi che i filosofi hanno fatti sullo stato di natura; dalle cose che veggono, giudicano delle cose differentissime che non hanno giammai vedute, ed attribuiscono agli uomini una inclinazion naturale alla servitù, dalla pazienza colla quale quelli che hanno sotto gli occhi sopportano la loro, senza pensare ch'egli è della libertà, come della innocenza e della virtù, di cui non si sente il prezzo se non che in quanto le si posseggono, e di cui se ne perde il gusto tosto che le si sono perdute. “Io conosco le delizie del tuo paese, diceva Brasida ad un satrapo che paragonava la vita di Sparta a quella di Persepoli, ma tu non puoi conoscere i piaceri del mio”.

Come un indomito corsiere arriccia i crini, batte la terra co' piedi, ed impetuosamente si scuote al solo avvicinamento del morso, frattanto che un cavallo instruito soffre pazientemente la verga e lo sprone, così l'uomo barbaro non piega la sua testa al giogo che l'uomo incivilito porta senza mormorare, e preferisce la più burrascosa libertà ad un tranquillo assoggettamento. Non è dunque dall'avvilimento de' popoli sommessi che bisogna giudicare delle disposizioni naturali dell'uomo pendenti, o contrarie alla servitù, ma dai prodigi che hanno fatto tutti i popoli liberi per garantirsi dall'oppressione. Io so che i primi non fanno che vantar continuamente la pace ed il riposo di cui godono ne' loro ferri, e che miserrimam servitutem pacem appllant: ma quando veggo gli altri sacrificare i piaceri, il riposo, la ricchezza, la potenza, e la vita stessa alla conservazione di questo solo bene, dispregiato da quelli che lo hanno perduto; quando veggo degli animali nati liberi, e abborrendo la cattività rompersi la testa nei ferri della loro prigione; quando veggo una moltitudine di selvaggi affatto nudi sprezzar gli europei piaceri, ed affrontar la fame, il fuoco, il ferro e la morte, per non conservare che la loro indipendenza, io sento che non appartiene agli schiavi il ragionare di libertà.

Quanto alla paterna autorità, da cui molti hanno fatto derivare il governo assoluto e tutta la società, senza ricorrere alle prove contrarie di Locke e di Sidney, basta di rimarcare, che nulla più è lontano dallo spirito feroce del dispotismo, quanto la dolcezza di questa autorità, la quale riguarda più all'avvantaggio di quello che obbedisce, che all'utilità di quello che comanda; che per legge di natura il padre non è il padrone del figlio che per tanto tempo quanto gli è necessario il suo soccorso; che al di là di questo termine essi divengono uguali, e che allora il figlio, perfettamente indipendente dal padre, gli deve aver del rispetto e non dell'obbedienza, posciachè la riconoscenza è bensì un dovere che bisogna rendere, ma non già un diritto che si possa esigere. In vece di dire che la società civile deriva dalla podestà paterna, bisognava al contrario dire che da essa questa podestà trae la sua principal forza. Un individuo non fu riconosciuto per il padre di molti, che quando essi restarono uniti attorno di lui: i beni del padre, di cui egli è veramente il padrone, sono i vincoli che ritengono i figliuoli nella sua dipendenza, ed egli può non dargli parte alla sua successione che a proporzione ch'essi avranno ben meritato da lui per una continua riverenza alle sue volontà. Ora, lungi che abbiano i sudditi d'aspettare un qualche simil favore dal loro despota; come essi propriamente gli appartengono, essi e tutto ciò che posseggono, o almeno ch'egli così pretende, sono ridotti a ricevere come un favore ciò che gli lascia del loro proprio bene; egli fa giustizia quando li spoglia; egli fa grazia quando li lascia vivere.

Continuando ad esaminare così i fatti per il dritto, non si troverebbe nulla più di solidità che di verità nello stabilimento volontario della tirannia; e sarebbe difficile di mostrare la validità di un contratto, il quale non obbligasse che una delle parti, ove si mettesse tutto da una parte, e nulla dall'altra, e che non tendesse che al pregiudizio di quello che s'impegna. Questo odioso sistema è ben lontano dall'essere neppure al dì d'oggi quello de' saggi e buoni monarchi, e sovra tutto dei re di Francia, come si può vedere in diversi luoghi de' loro editti, ed in particolare nel seguente passaggio di uno scritto celebre pubblicato nel 1667, a nome e per ordine di Luigi XIV.

“Che non si dica dunque che il sovrano non sia soggetto alle leggi dello Stato, poichè la contraria proposizione è una verità del dritto delle genti, che l'adulazione ha qualche volta attaccata, ma che i buoni principi hanno sempre difesa come una divinità tutelare de' loro Stati. Quanto egli è più legittimo il dire con il saggio Platone, che la perfetta felicità di un regno si è, che un principe sia obbedito da' suoi sudditi, che il principe obbedisca alla legge, e che la legge sia retta, e sempre diretta al pubblico bene!”

Io non mi fermerò a ricercare se, la libertà essendo la più nobile delle facoltà dell'uomo, ciò non sia un degradare la sua natura, mettendosi a livello delle bestie schiave dell'istinto, un offendere l'autore del suo essere, rinunziando senza riserva al più prezioso di tutti i suoi doni, quanto lo è il sottomettersi a commettere tutti i delitti ch'ei ci proibisce, per compiacere un padrone feroce, o insensato; e se questo sublime artefice deve esser più irritato nel veder distruggere, che disonorare la sua più bell'opra. Dimanderò solamente con qual dritto quelli che non hanno temuto d'avvilirsi loro stessi fino a questo punto, hanno potuto sottomettere la loro posterità alla medesima ignominia, e rinunziare per essa a que' beni ch'essa non tiene dalla loro liberalità, e senza i quali la vita medesima è gravosa a tutti quelli che ne sono degni.

Puffendorfio dice che nella stessa guisa che si trasferiscono i suoi beni ad altrui per mezzo delle convenzioni e de' contratti, nella stessa maniera si può ancora spogliarsi della propria libertà a favore di alcuno. Questo mi sembra un cattivissimo ragionamento: conciossiachè in prima il bene ch'io alieno mi diventa una cosa tutto affatto straniera, ed il di cui abuso mi è indifferente; ma m'importa che non si abusi di mia libertà, e non posso, senza rendermi colpevole dcl male che mi sforzeranno di fare, espormi a diventar l'istrumento del delitto: di più, il diritto di proprietà non essendo che di convenzione e d'istituzione umana, ogni uomo può disporre a sua voglia di ciò che possede; ma egli non è lo stesso dei doni essenziali della natura, tali che la vita e la libertà, de' quali è permesso a ciascuno di godere, e de' quali egli è almeno dubbioso che si abbia il dritto di spogliarsene. Nel privarsi dell'una si degrada il suo essere; e nel privarsi dell'altro si annichila, per quanto è in se, questo essere: e come non c'è alcun bene temporale che possa compensar l'una e l'altra, sarebbe perciò un offendere nello stesso tempo la natura e la ragione nel rinunziarvi a qualunque prezzo che ciò fosse. Ma quand'anche si potesse alienar la sua libertà come i suoi beni, la differenza sarebbe grandissima per i figliuoli, i quali non godono de' beni del padre che per transmissione del suo diritto; in vece che la libertà essendo un dono che tengono dalla natura in qualità d'uomini, i loro parenti non hanno avuto diritto alcuno di spogliarneli: di maniera che come per istabilire la schiavitù convenne far violenza alla natura, così convenne cambiarla per istabilir questo diritto; e i giurisconsulti che hanno gravemente deciso che il figliuolo di una schiava nascerebbe schiavo, hanno deciso in altri termini che un uomo non nascerebbe uomo.

Mi sembra dunque certo, che non solamente i governi non abbiano cominciato dal potere arbitrario, il quale non è che la corruzione, l'estremo termine, ed il quale li riconduce alla fine alla sola legge del più forte, di cui essi furono nel principio il rimedio; ma che quand'anche avessero così cominciato, questo potere essendo di sua natura illegittimo, non ha potuto servire di fondamento ai dritti della società, nè per conseguenza alla ineguaglianza d'instituzione.

Senza entrar oggi nelle ricerche che sono ancora da farsi sulla natura del patto fondamentale di ogni governo, io mi ristringo, seguendo l'opinione comune, a considerar qui lo stabilimento del corpo politico come un vero contratto fra il popolo ed i capi ch'egli si ha scelti; contratto per cui s'obbligano le due parti contraenti all'osservazione delle leggi che vi sono stipulate, e che formano i vincoli della loro unione. Avendo il popolo, riguardo alle relazioni sociali, riunito tutte le sue volontà in una sola, tutti gli articoli sui quali questa volontà si spiega, diventano altrettante leggi fondamentali, le quali obbligano tutt'i membri dello stato senza eccezione, ed una delle quali leggi regola la scelta ed il potere de' magistrati incaricati di vegliare all'esecuzione delle altre. Questo potere si estende a tutto ciò che può mantenere la costituzione, senza giugner però mai a cambiarla. Vi si uniscono degli onori che rendono rispettabili le leggi e i loro ministri, e per questi personalmente, delle prerogative che li compensano dei penosi travagli che costa una buona amministrazione. Il magistrato, dal suo canto, si obbliga di non usare del potere che gli è stato confidato se non che secondo l'intenzione dei committenti, di mantener ciascuno nel pacifico godimento di ciò che gli appartiene, e di preferire in ogni occasione l'utilità pubblica al suo proprio interesse.

Prima che l'esperienza avesse mostrato, o che la cognizione del cuor umano avesse fatto prevedere gli abusi inevitabili di una tal costituzione, ella dovè parere tanto più migliore, quanto che quelli ch'erano incaricati di vegliare alla sua conservazione vi erano eglino stessi i più interessati: imperciocchè la magistratura ed i suoi diritti non essendo stabiliti che sulle leggi fondamentali, tosto che fossero distrutte; i magistrati avrebbero cessato d'essere legittimi, il popolo non sarebbe state più tenuto di loro obbedire; e come non sarebbe stato il magistrato, ma la legge che avrebbe costituito l'essenza dello Stato, ciascuno sarebbe rientrato di diritto nella sua naturale libertà.

Per poco che vi si riflettesse attentamente, ciò si proverebbe con delle nuove ragioni; e dalla natura del contratto si vedrebbe che non potrebbe essere irrevocabile; poichè se non vi fosse un poter superiore, il quale potesse esser garante della fedeltà dei contrattanti, nè sforzarli ad adempire i loro reciprochi impegni, leparti resterebbero sole i giudici nella loro propria causa, e ciascuna di esse avrebbe sempre il dritto di rinunziare al contratto tosto che trovasse che l'altra ne avesse infrante le condizioni, o che queste cessassero di convenirgli. Su questo principio sembra che possa essere fondato il dritto di abdicare. Ora, a non considerare, come noi facciamo, che l'instituzione umana, se il magistrato, il quale ha tutto il potere nelle sue mani, ed il quale si appropria tutti i vantaggi del contratto, aveva ciò nonostante il dritto di rinunziare all'autorità; con ragion più forte il popolo, il quale paga tutti i falli de' capi, dovrebbe avere il dritto di rinunziare alla dipendenza. Ma le spaventevoli dissensioni, gli infiniti disordini che necessariamente strascinerebbe questo pericoloso potere, mostrano più che ogni altra cosa quanto gli umani governi avevano bisogno di una base più solida che la sola ragione; e quante era necessario al pubblico riposo che v'intervenisse la volontà divina per dare alla sovrana autorità un carattere sacro ed inviolabile, che levasse ai sudditi il funesto diritto di disporne. Quando la religione non avesse fatto che questo bene agli uomini, ciò basterebbe perché tutti dovessero amarla e adottarla, anche coi suoi abusi, poichè ella risparmia più sangue, che non ne spande il fanatismo: ma seguitiamo il filo della nostra ipotesi.

Le diverse forme de' governi traggono la loro origine dalle differenze più, o meno grandi che si trovarono fra i particolari al momento dell'istituzione. Un uomo era egli eminente in potere, in virtù, in ricchezze, o in credito?egli fu solo eletto magistrato, e lo stato divenne monarchico. Se molti a un dipresso eguali fra di loro, prevalevano su tutti gli altri, essi furono unitamente detti, e si ebbe un'aristocrazia. Quelli, la cui fortuna, o talenti erano meno disproporzionati, e che si erano meno allontanati dallo stato di natura, guardarono in comune la suprema amministrazione, e formarono una democrazia. Il tempo verificò quale di queste forme era la più vantaggiosa agli uomini. Gli uni restarono unicamente soggetti alle leggi, gli altri obbedirono ben presto a dei padroni: i cittadini vollero guardare la loro libertà, i sudditi non pensarono che a levarla a' loro vicini, non potendo soffrire che altri godessero di un bene che essi più non godevano: in una parola, da un lato furono le ricchezze e le conquiste, e dall'altro la felicità e la virtù.

In tutti questi diversi governi, tutte le magistrature furono nel principio elettive; e quando non prevaleva la ricchezza, la preferenza era data al merito, il quale dà un ascendente naturale, ed alla età, la quale dà l'esperienza negli affari, ed il sangue freddo nelle deliberazioni. I vecchioni degli Ebrei, i geronti di Sparta, il senato di Roma, e l'etimologia stessa della nostra parola signore, mostrano quanto era altre volte rispettabile la vecchiezza. Quanto più le elezioni cadevano su degli uomini avanzati in età, tanto più esse diventavano frequenti, e tanto più si facevano sentire i loro imbarazzi: i brogli s'introdussero, si formarono le fazioni, s'inasprirono i partiti, le guerre civili si accesero; alla fine il sangue de' cittadini fu sacrificato alla pretesa felicità dello Stato, e si fu sul momento di ricadere nell'anarchia de' tempi anteriori. L'ambizione dei principali profittò di queste circostanze per perpetuare le cariche nelle loro famiglie: il popolo accostumato già alla dipendenza, al riposo, ed ai comodi della vita, e già fuor di stato di spezzar le sue catene, acconsentì di lasciar accrescere la sua servitù per istabilire la sua tranquillità; e così i capi diventati ereditarj s'avvezzarono a riguardare la loro magistratura come un bene di famiglia, a riguardar se medesimi come i proprietarj dello Stato di cui non erano al principio che offiziali, a chiamare i loro concittadini loro schiavi, a contarli come un gregge nel numero delle cose che gli appartengono, ed a chiamar se stessi eguali agli dei, e re dei re.

Se noi seguitiamo i progressi dell'ineguaglianza in queste differenti rivoluzioni, troveremo che lo stabilimento della legge e del dritto di proprietà fu il suo primo termine, l'istituzione della magistratura il secondo, che il terzo ed ultimo fu il cambiamento del potere legittimo in potere arbitrario, in guisa che lo stato di ricco e di povero fu autorizzato dalla prima epoca, quello di potente e di debole dalla seconda, e dalla terza quello di padrone e di schiavo, il quale è l'ultimo grado dell'ineguaglianza, ed il termine al quale tendono al fine tutti gli altri, finochè novelle rivoluzioni disciolgano tutto affatto il governo, o lo avvicinino alla legittima costituzione.

Per comprendete la necessità di questi progressi, convien considerare meno i motivi dello stabilimento del corpo politico, che la forma ch'egli prende nella sua esecuzione, e gli inconvenienti che seco lui strascina: avvegnachè i vizj che rendono necessarie le istituzioni sociali sono le medesime che ne rendono inevitabile l'abuso; e come (eccettuata la sola Sparta, ove la legge principalmente vegliava alla educazione dei fanciulli, e dove Licurgo stabilì dei costumi, i quali lo dispensavano quasi dall'aggiugnere delle leggi, le quali in generale men forti che le passioni, contengono gli uomini senza cambiarli) sarebbe facile di provare che ogni governo, il quale senza corrompersi nè alterarsi camminasse sempre esattamente secondo il fine della sua istituzione, sarebbe stato istituito senza necessità; e che un paese ove alcuno non eludesse le leggi, e non abusasse della magistratura, non avrebbe bisogno nè di magistrati, nè di leggi.

Le distinzioni politiche conducono necessariamente le distinzioni civili. Crescendo l'ineguaglianza fra il popolo ed i suoi capi, si fa ben presto sentire fra i particolari, e vi si modifica in mille maniere, secondo le passioni, i talenti, le occorrenze. Il magistrato non potrebbe usurpare un illegittimo potere senza farsi delle creature, alle quali è sforzato di cederne una qualche parte. Dall'altro canto, i cittadini non si lasciano opprimere se non in quanto strascinati da una cicca ambizione; e riguardando più al disotto che al disopra di essi, il dominio diventa loro più caro che l'indipendenza, ed acconsentono di portar le catene per poter eglino pure farne portare agli altri. Egli è difficilissimo di ridurre all'obbedienza quello che non cerca di comandare, ed il più accorto politico non arriverebbe ad assoggettare degli uomini i quali non volessero ch'esser liberi; ma l'ineguaglianza facilmente si stende fra le anime ambiziose e vili, sempre pronte a correre i rischi della fortuna, ed a dominare, o a servire quasi indifferentemente, secondo che gli diventa favorevole, o contraria. In questa guisa dovè venire un tempo in cui gli occhi del popolo fossero affascinati a tal punto, che i suoi conduttori non avessero che a dire al più piccolo degli uomini, sii grande tu, e tutta la tua razza, tosto egli pareva grande a ciascuno, come pure ai suoi proprj occhi, ed i suoi discendenti s'innalzavano ancora a misura che si allontanavano da esso; più era rimota ed incerta la causa, più accresceva l'effetto; quanti più sfaccendati si potevano contare in una famiglia, tanto più essa diventava illustre.

Se fosse questo il luogo d'entrare in dettagli, facilmente spiegherei come divenne inevitabile fra i particolari l'ineguaglianza di credito e di autorità, tostochè riuniti in una medesima società, sono costretti di paragonarsi fra loro, e di tener conto delle differenze che trovano nel continuo uso ch'essi hanno da fare gli uni degli altri. Queste differenze sono di più sorte; ma in generale la ricchezza, la nobiltà, o il rango, la potenza, o il merito personale, essendo le principali distinzioni colle quali si misurano gli uomini nella società, proverei che l'accordo, o il conflitto di queste diverse forze è l'indicazione la più sicura d'uno Stato bene, o mal costituito; farei vedere che fra queste quattro sorte d'ineguaglianza, le qualità personali essendo l'origine di tutte le altre, la ricchezza è l'ultima alla quale in fine si riducono, perchè essendo la più immediatamente utile al ben essere, e la più facile a comunicarsi, se ne usa più facilmente per comperare tutto il resto: osservazione che può far giudicare esattamente della misura con cui ciascun popolo si è allontanato dalla sua primitiva istituzione, e del cammino ch'egli ha fatto verso l'estremo termine della corruzione. Rimarcherei quanto questo universal desiderio di reputazione, d'onori, e di preferenze, onde tutti siamo divorati, esercita e paragona i talenti e le forze; quanto egli ecciti e moltiplichi le passioni, e rendendo tutti gli uomini concorrenti, rivali, o piuttosto inimici, quanto egli cagioni ogni giorno sventure, successi, e catastrofe d'ogni specie nel far correre il medesimo arringo a tanti pretendenti. Mostrerei che questo ardore di far parlar di noi, questo furore di distinguerci, è quello che ci tiene continuamente fuori di noi, che noi gli dobbiamo ciò che abbiamo di migliore e di peggio fra gli uomini, le nostre virtù e i nostri vizj, le nostre scienze e i nostri errori, i nostri conquistatori e i nostri filosofi; cioè a dire, una moltitudine di cattive cose sovra un piccolo numero di buone. Proverei in fine, che se si vede un pugno di potenti e di ricchi al colmo delle grandezze e della fortuna, frattanto che la folla striscia nella oscurità e nella miseria, egli è perchè i primi non istimano le cose di cui godono se non in quanto gli altri ne sono privi; e che, senza cambiare stato, essi cesserebbero di esser felici, se il popolo cessasse d'esser miserabile.

Ma queste particolarità sarebbero esse sole materia di un'opera considerabile, in cui si peserebbero i vantaggi e gl'inconvenienti d'ogni governo, relativamente ai dritti dello stato di natura, ed ove si svelerebbero tutti i differenti aspetti, sotto i quali si è mostrata finora l'ineguaglianza; e potrà mostrarsi nei secoli, secondo la natura di questi governi, e le rivoluzioni che necessariamente vi condurrà il tempo. Si vedrebbe la moltitudine oppressa al di dentro da un seguito di precauzioni ch'ella stessa aveva prese contro ciò che la minacciava al di fuori: si vedrebbe continuamente accrescere l'oppressione, senza che gli oppressi potessero giammai sapere qual sarebbe il loro termine, nè quali mezzi legittimi gli resterebbero per fermarla: si vedrebbero estinguersi a poco a poco i diritti de' cittadini e le libertà nazionali, e trattati da sediziosi tumulti i clamori de' deboli: si vedrebbe la politica ristringere a una porzione mercenaria del popolo l'onore di difendere la causa comune: si vedrebbe da questa scaturire la necessità delle imposizioni, il coltivatore avvilito abbandonare il suo campo durante pure la pace, e lasciar l'aratro per cinger la spada: si vedrebbero nascere le regole funeste e bizzarre del punto di onore: si vedrebbero i difensori della patria diventarne tosto, o tardi gl'inimici, tener continuamente levato il pugnale sulle teste dei concittadini; e verrebbe un tempo in cui si udirebbe dire all'oppressore del loro paese:

Pectore si fratris gladium juguloque parentis

Condere me jubeas, gravidaque in viscera partu

Conjugis, invita peragam tamen omnia dextra.

Dalla estrema ineguaglianza delle condizioni e delle fortune, dalla diversità delle passioni e dei talenti, dalle arti inutili, dalle arti perniciose, dalle scienze frivole uscirebbero una folla di pregiudizj egualmente contrarj alla ragione, alla felicità, ed alla virtù. Si vedrebbe fomentar dai capi tutto ciò che può indebolire uomini riuniti, disunendoli; tuttociò che può dare alla società un'aria di apparente concordia, e gettarvici il germe d'una real divisione, tuttociò che può ispirare ai differenti ordini una diffidenza ed un mutuo odio dall'opposizione dei loro diritti e dei loro interessi, e fortificare per conseguenza quel potere dal quale sono tutti repressi.

Dal seno di questo disordine e dalle sue rivoluzioni il dispotismo è quello, il quale innalzando per gradi l'orrida testa, e divorando tuttociò che gli avrebbe paruto di buono e di sano in tutte le parti dello Stato, arriverebbe in fine a calpestare co' piedi le leggi e il popolo, e a stabilirsi sulle rovine della repubblica. I tempi che precederebbero quest'ultimo cambiamento, sarebbero tempi di turbolenze e di calamità; ma alla fine tutto sarebbe ingoiato dal mostro; ed i popoli non avrebbero più nè capi, né leggi, ma solo de' tiranni. Da questo istante cesserebbe ancora d'esservi più questione di costumi e di virtù; avvegnachè per tutto ove regna il despotismo, c ui ex honesto nulla est spes, egli non soffre altro padrone; tostochè egli parla, non è da consultarsi nè probità, nè dovere; e la più cieca obbedienza è la virtù che resta agli schiavi.

Questo è l'ultimo termine dell'ineguaglianza, ed il punto estremo che chiude il cerchio, e tocca il punto da dove noi siamo partiti. Quivi è dove tutti i particolari ritornano uguali, perchè essi sono un nulla, ed i sudditi non avendo più altra legge che la volontà del padrone, nè il padrone altra regola che le sue passioni, le nozioni del bene e i principi della giustizia nuovamente svaniscono. Egli è qui dove tutto si riconduce alla sola legge del più forte, e per conseguenza ad un novello stato di natura, differente da quello per cui abbiamo noi cominciato, in ciò che l'uno era lo stato di natura nella sua purezza, e che quest'ultimo è il frutto di un eccesso di corruzione. Dall'altro canto vi è sì poca differenza fra questi due stati, ed il contratto di governò è talmente disciolto dal despotismo, che il despota non è il padrone che fino a tanto che egli n'è il più forte; e che sì tosto che si può scacciarlo, ei non può reclamare contro la violenza. La sollevazione, la quale finisce dallo strangolare, o dal detronare un sultano, egli è un atto tanto giuridico, quanto quelli per i quali egli disponeva il giorno innanzi della vita e dei beni de' suoi sudditi. La sola forza lo manteneva, la sola forza lo rovescia. Ogni cosa passa così secondo l'ordine naturale; e qualunque possa esser l'avvenimento di queste brevi e frequenti rivoluzioni, non v'è alcuno che lamentare si possa dell'altrui ingiustizia, ma solamente della sua imprudenza, o della sua sventura.

Nello scoprire e seguire così le strade dimenticate e perdute, le quali dallo stato naturale hanno dovuto condur l'uomo allo stato civile; nel ristabilire, colle posizioni intermedie ch'io ho marcate, quelle che il tempo il quale mi manca, mi ha fatto sopprimere, o che l'immaginazione non mi ha suggerite; ogni attento lettore non potrà che restare colpito, dall'immenso spazio che questi due stati divide. In questa lenta successione di cose egli vedrà la soluzione d'una infinità di problemi di morale e di politica, che i filosofi non possono risolvere. Egli sentirà che il genere umano di una età, non è il genere umano di un'altra età, la ragione per cui Diogene non trovava uomini, egli è perchè fra i suoi contemporanei cercava l'uomo di un tempo che più non era. Catone, dirà egli, perì con Roma e colla libertà, perchè egli fu alieno nel suo secolo; ed il più grande degli uomini non fece che stupire il mondo, il quale cinquecent'anni prima avrebbe governato. In una parola, egli spiegherà come l'anima e le passioni umane insensibilmente si alterino e cambino, per così dire, di natura: perchè i nostri bisogni e i nostri piaceri cangino a lungo andare di oggetto; perchè l'uomo originale per gradi svanendo, la società non offre più agli occhi del saggio che un'unione di uomini artificiali, e di fattizie passioni, le quali sono l'opera di tutte queste novelle relazioni, e che non hanno alcun vero fondamento nella natura. Ciò che su tal proposito la riflessione c'insegna, lo conferma perfettamente l'osservazione. L'uomo selvaggio e l'uomo politico differiscono talmente per il fondo del cuore e delle inclinazioni, che ciò che fa la felicità suprema dell'uno, ridurrebbe l'altro alla disperazione. Non respira il primo che il riposo e la libertà, egli non vuole che vivere e restar ozioso; e la stessa atarassia dello stoico non s'avvicina alla sua profonda indifferenza per ogn'altro oggetto. All'opposto, il cittadino sempre attivo, suda, s'agita, si tormenta continuamente per cercare delle occupazioni ancor piu faticose: egli travaglia fino alla morte, anzi vi corre per mettersi in istato di vivere, o rinunzia alla vita per acquistare l'immortalità. Fa la corte a' grandi che odia, ed ai ricchi ch'ei disprezza; nulla risparmia per ottener l'onore di servirli; si vanta orgogliosamente della sua bassezza e della loro protezione; e fiero di sua schiavitù parla con isdegno di quelli che non hanno l'onore d'esserne a parte. Quale spettacolo per un Caraibo i penosi ed invidiati travagli d'un ministro europeo? Quante morti crudeli non preferirebbe quell'indolente selvaggio all'orrore di una simil vita, la qual sovente non è nemmen raddolcita dal piacere di ben fare! Ma per vedere il fine di tante cure, bisognerebbe che queste parole potenza e riputazione avessero un senso nel di lui spirito; ch'egli imparasse che v'è una sorta d'uomini, i quali contano per qualche cosa i riguardi del resto dell'universo; che sanno esser felici e contenti di se medesimi sulla testimonianza degli altri, piuttosto che sulla loro propria. Tal è in fatti la vera causa di tutte queste differenze: il selvaggio vive in lui medesimo; l'uomo sociale, sempre fuori di se, non sa vivere che nell'opinione degli altri, ed è, per così dire, dal loro solo giudizio ch'egli trae il sentimento di sua propria esistenza. Non tocca al mio oggetto di mostrare come da una tal disposizione nasca tanta indifferenza per il bene e per il male, con tanti belli discorsi di morale; come tutto riducendosi alle apparenze, il tutto diventa fattizio e rappresentato; onore, amicizia, virtù, e sovente fino i vizj stessi, de' quali si trova alfine il secreto di gloriarsi; come, in una parola, dimandando sempre agli altri ciò che noi siamo, e non osando giammai interrogar su ciò noi stessi, nel mezzo di tanta filosofia, umanità, politezza, e sublimi massime, noi non abbiamo che un esterno ingannevole e frivolo, dell'onore senza virtù, della ragione senza saviezza, e del piacere senza felicità. Mi basta di aver provato non esser questo lo stato originale dell'uomo; e che il solo spirito della società, e l'ineguaglianza ch'ella genera son quelli i quali cambiano ed alterano così tutte le nostre naturali inclinazioni.

Ho procurato di esporre l'origine e i progressi dell'ineguaglianza, lo stabilimento e l'abuso delle politiche società, per quanto queste cose possono dedursi dalla natura dell'uomo per i soli lumi della ragione, ed indipendentemente dai dogmi sacri i quali danno alla sovrana autorità la sanzione del dritto divino. Segue dal fin qui esposto, che l'ineguaglianza essendo quasi nulla nello stato di natura, trae la sua forza ed il suo accrescimento dallo sviluppo delle nostre facoltà, e dai progressi dello spirito umano, e diventa in fine stabile e legittima per lo stabilimento della proprietà e delle leggi. Segue ancora che l'ineguaglianza morale, autorizzata dal solo diritto positivo, è contraria al dritto naturale ogni volta ch'ella non concorre nella medesima proporzione coll'ineguaglianza fisica: distinzione che determina a sufficienza ciò che si deve pensare a questo riguardo di quella sorte d'ineguaglianza, che regna fra tutti i popoli politi; poichè egli è contro la legge di natura, di qualunque maniera ch'ella si definisca, che un fanciullo comandi a un vecchio, che un pazzo conduca un uomo saggio, e che un pugno di persone abbondino di superfluità, frattanto che l'affamata moltitudine manca del necessario.

FINE.

NOTE

AL DISCORSO

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