Lettera VIII.

Pretesa connivvenza cogl'internazionali.

Forlì, 18 Gennajo 1875.

Mio caro Mario,

La distinzione della parte nostra e delle Società operaie affratellate nel Patto di Roma da quelle degl'internazionali, recisamente definita nel Comizio Ravennate, perdurò fermissima in tutta Romagna. Anzi, mentre le prime crescevano di numero e d'istituti civili, le seconde erano venute scemando di seguaci e di fede in sè stesse, anche dove, come a Bologna e a Ravenna, parvero da principio avere più rigoglio. Nè la Consociazione Romagnola soltanto, ma quant'altre, in ogni regione d'Italia, s'informavano ai principii di Giuseppe Mazzini, trassero dal loro buon senso, e dalla fede religiosamente serbata alla memoria del Grande Educatore, costante argomento a seguire lo stesso cammino. Ne fanno testimonio le severe proteste della Consociazione Ligure contro i manifesti de' predicatori della liquidazione sociale e del collettivismo; le dignitose risposte, giustificate dai fatti, dei capi della Consociazione Marchigiana - Piccolomini, Paterni, Barilari, ecc. - alle mendaci accuse, che li calunniavano internazionali: e, più ch'altro, all'ora de' maggiori disordini, quando la inquietezza delle moltitudini offeriva materia a tentare novità, e spesseggiavano gli eccitamenti a tentarle, la onesta cooperazione dei nostri sodalizii popolari a sedare i primi, e il deliberato rifiuto di secondare i secondi. «In principio d'agosto» scriveva a me non ha guari un giovane egregio, Domenico Rangoni, già Presidente della Società Popolare di Educazione e Lavoro di Medicina, «la Società nostra ebbe sentore d'un moto insurrezionale che si sarebbe tentato in Bologna ed altrove. Noi che sapevamo essere un moto rivoluzionario in Italia inopportuno e dannoso, noi che siamo convinti non doversi fare una rivoluzione oggi per farne un'altra il domani, che non v'è partito senza disciplina, chieste istruzioni ai capi » (ai Comitati dalia Consociazione nel Bolognese) «rifiutammo recisamente, d'accordo con essi, qualunque nostra cooperazione ad un moto, che credevamo, come infatti era, moto internazionale, contrario quindi alle nostre idee. » V'è in queste parole, tutto il senno, che i nostri reggitori avevano perduto nel giudicare, a que' giorni, delle cose nostre e de' nostri propositi. E cito il caso di Medicina - terra di quella parte del contado di Bologna dov'ebbero inizio que' meschini tentativi - come esempio caratteristico di un fatto generale. Che, in vero, non una società delle nostre, non un uomo delle medesime, fu potuto convincere di partecipazione in que' moti infelici: non le idee, non l'armi, non le persone in quelli implicate, eran nostre. Nè a noi giunse avviso mai d'apparecchi sì fatti, nè invito a favorirli. Sapevasi che li avremmo respinti. Ma ci era noto, che qua e là, dov'erano più acuti i dolori della miseria, e più vivi i risentimenti per le vessazioni de' bassi agenti del potere, si andavano divulgando rumori di prossima riscossa, e fomentando impazienze e proteste contro la moderazione dei capi. Lavorio sterile ne' più de' casi, mercè la naturale prudenza della maggior parte de' nostri operai, e la fiducia delle società popolari ne' patrioti, che dirigevano la Consociazione. E il primo ed unico segno di effettivi traviamenti e pericoli ci pervenne da Imola: sola città di Romagna, nella quale quel lavorìo trovasse qualche alimento e in una sola società d'operai, quella che s'intitolava della Pianta. Onde, a prevenire, quanto era da noi, maggiori inconvenienti, io e i miei colleghi della Direzione Centrale pubblicammo, a mezzo giugno, il manifesto del quale è detto nella mia precedente; e, minacciata quella Società di bando dalla Consociazione, dove essa persistesse a scostarsi dall'indirizzo comune, deputammo due di noi, il Rossi e il Fratti, a recare ai dissidenti il nostro messaggio. Nel che, aiutati dai benemeriti patrioti del Comitato imolese, Epaminonda Farini, Pietro Landi e Giuseppe Bucci, assai fecero a salvare que' giovani da funeste seduzioni e inonorati sacrificii. Ciò risulta evidentissimo dagli atti del famoso processo, e dalle relazioni ivi registrate della Questura stessa di Bologna : ma ciò non tolse agli amici nostri di dover sostenere da quelle stesse Autorità politiche, che conoscevano i fatti, la taccia di aver preparato, in quel convegno, d'accordo cogli internazionali, que' miserevoli moti che poi seguirono. Onde un'opera di amor patrio fu travisata in trama di comunisti, e l'immaginata trama (scrivo storia, e par sogno!) condotta poi con fantastiche fila a metter capo all'altro convegno di Villa Ruffi. Farini, Landi e Bucci pagarono lo scotto della loro virtù civica con tre mesi di carcere in compagnia di malfattori comuni, e ne uscirono franchi d'ogni sospetto d'amori internazionali. Fratti e Rossi, noti e strenui oppugnatori delle ubbìe forestiere, convenuti coi primi nel luogo stesso, colle stesse persone, al medesimo fine, furono sostenuti per altri due mesi, e fatti complici, per quel ritrovo, de' disegni dell'Internazionale nella requisitoria del Pubblico Ministero, insieme alla maggior parte degli arrestati di Villa Ruffi; i quali, quivi recandosi, nulla sapevano della riunione di Imola, e ne appresero da noi, dopo l'arresto, i particolari e gli intendimenti. E tutta questa è storia semplice e vera come la luce: storia inesorabile, dinanzi alla cui realtà caddero a terra tutti gli sforzi della mala coscienza de' nostri inquisitori. Non venne fatto a costoro di rintracciar segni di connivenza fra gli arrestati delle due parti; non una testimonianza, uno scritto, un indizio, che accenni a coperte intelligenze e a concerto d'azione comune. Tutto mostra all'opposto, che era divisione e lotta fra gli uni e gli altri, polemica acerba d'idee, duello personale. O non si conoscevano, e non avevano avuto mai contatto fra loro, od era stato, non contatto, ma scontro ostile. E gli uomini d'intelletto e di studii fra i fautori più noti in Italia, non degli estremi sofismi, ma delle idee meno eccessive del socialismo contemporaneo, come l'illustre autore del Tito Vezio, inclinavano, per quanto io ne sappia, a quello stesso avviamento di associazione pacifica ed educativa delle forze della Democrazia nell'arringo comune della vita economica e politica del paese, al quale noi, prendendo le mosse dai nostri principii, avevamo rivolto l'intento. A taluni, come al Cerretti, che già commilitoni de' nostri nelle patrie guerre, espressero, segnatamente ad Eugenio Valzania il desiderio di raccostarsi agli antichi amici, questi rispose; non escludersi dalla parte nostra chiunque accetti di buona fede il programma e il metodo di condotta da essa adottato. E dell'onesta risposta diede contezza alla Direzione Centrale, colla quale cooperò attivamente sino all'ultimo a preservare immuni da influssi contrarii le nostre società popolari. Oggi il Valzania, sciolto con tutti noi dall'accusa politica, soggiace ad altra più grave, esosa, impossibile imputazione. È mio convincimento che ne uscirà netto, se la morte non lo previene; che netta ne uscirà ad ogni modo la sua fama. Ma intanto io non so di situazione più tragica della sua, logorato com'è da tormenti fisici e da tormenti morali, vittima, al sentir mio, delle altrui colpe - della cieca ira del fato, avrebbero detto gli antichi - in mezzo ai tenebrosi avvolgimenti delle due barbarie, di che vi discorsi in altra mia. Ed è pur uomo al quale, per valore, patriottismo e virtù di sacrificii, l'Italia ha obblighi non comuni.

L'opera della Consociazione Romagnola ebbe nuova conferma dal XIII Congresso operaio, tenuto in Roma nel marzo dell'anno scorso, presenti, come nel XII, i delegati della questura di Roma, i quali non frapposero veto se non ad una delle discussioni ivi proposte (e della legalità dell'atto lascio giudicare ai liberali interpreti dello statuto), quella sulla opportunità del suffragio universale. Nondimeno, quell'innocente congresso fu ne' misteri dell'istruttoria adombrato come prima radice della terribile cospirazione, a carico di quelli fra noi che v'erano intervenuti, massime del Dagnino e del Fortis, che n'erano stati vice presidenti sotto la presidenza onoraria di Maurizio Quadrio. Ma Dagnino fu lasciato andare pe' fatti suoi coi primi assolti; Fortis, invece, rimandato alle cure della Sezione d'accusa; e sia resa mercede alle contradizioni generate dalla falsità dell'intero processo, se la veneranda canizie del buon Maurizio non ebbe a patire oltraggio di molestie fiscali.

La Memoria degl'illustri giureconsulti bolognesi alla Sezione d'accusa contro le conclusioni del Pubblico Ministero, mette in chiaro il frutto, che gl'improvvisi cercatori de' nostri domicilii e delle nostre persone conseguirono dalle perquisizioni non prevedute, non parate da noi con alcuna cautela (dachè non avevam cosa che ci premesse nascondere), e da essi condotte con avidità d'occhi d'Argo, sotto il rovello di ministri, segretari di ministri e prefetti, incaponiti a volerne cavare di viva forza un caso di crimenlese. E quel misero frutto, dato invano a maturare al lungo studio di magistrati pazientissimi nella infelice coscienza della loro umiliazione, si ridusse in tutto a non so che note, trovate al Turchi, di rassegne di mezzi d'azione per movimenti anteriori all'occupazione di Roma; ad un foglietto pescato fra le carte vecchie del Fratti, contenente una proposta di deliberazione intorno alla opportunità di un ordinamento segreto del partito repubblicano, senza data nè firme; e ad una lettera apocrifa (materia degna di severa inchiesta, ma non contro di noi) scritta il 2 agosto da Forlì a certo Cazzani in Bologna sugli arresti di Rimini, non saputi in Rimini stessa che all'imbrunire di quel giorno, e così scema nella sua furberia, che, mentre accennava in cifra i nomi degli arrestati, sollecitavalo poi, in altrettante parole intere, a trafugare armi e carte compromettenti. Quella lettera capitò, senza timbro postale, nelle mani della questura di Bologna, non si sa per qual via. Il Cazzani, che nessuno di noi conosce, perquisito o no, fu lasciato stare. E nondimeno, su fondamento sì fatto, e sulle carte su mentovate, che si riferiscono a cose viete e smesse, e sul fatto, notoriamente onorevole per gl'imputati del convegno d'Imola, fu imposta, dico imposta ed ho forte ragione di usare la grave parola, la conclusione del nesso fra la causa di Villa Ruffi e quella dei moti internazionali nel Bolognese. Dimenticavo, in questo dramma di genere misto, una scenetta tutta da ridere. Gli arguti delegati della questura di Genova avevano sequestrate alla famiglia di Felice Dagnino alcune lettere innocentissime mie e di mia moglie, motteggiando su quest'ultime, colla beffarda insolenza propria del mestiere, le figliuole dell'amico nostro, che con sì pericolosa gente avessero domestichezza. Fra le mie lettere n'era una, che chiedeva a Dagnino, per commissione d ' un mio conoscente (era ivi detto), se a Genova si potessero trovar verghe d'acciaio di fine qualità inglese. La questura genovese sognò, m'immagino, daghe e pugnali; e il giudice me ne dimandò schiarimento. La commissione delle verghe era del mugnaio di questa Villa di S. Varano, mio ritiro domestico, che n'aveva bisogno per farne martelli da subbiar macine da molino. Il mugnaio, certo Valbruzzi, buona pasta d'uomo che non sa di politica nè d'armi, interrogato, disse il fatto com'era, e che l'acciaio, come d'ottima tempra, aveva servito a meraviglia al fatto suo, e che me n'era grandemente obbligato. E le subbie stanno tuttavia, testimoni della stupidità del sospetto, qui nel molino di questa pacifica villa.

Ora se, dopo le industrie infinite de' nostri inquisitori, a questo si limitarono gli elementi della tentata criminazione, quali indizii, quali dati li condussero innanzi a violare la nostra libertà personale, e il diritto d'associazione nei sodalizii operai e ne' circoli democratici di alcune regioni d'Italia, privilegiandole fra l'altre del non invidiabile magistero de' loro arbitrii? Qual fondamento alle loro violenze e alle loro calunnie? Gli onesti di qualsiasi opinione rispondano. Noi ripetiamo oggi, colla stessa asseveranza del conscio vero, ciò che dicemmo, sin dal primo giorno, nella nostra protesta all'atto dell'arresto, ciò che dichiarammo nelle lettere agli avvocati della difesa, e nelle nostre risposte agl'interrogatorii dei giudici istruttori. «Il 2 agosto, i sottoscritti convennero in Rimini ad amichevole radunanza, nella quale era comune intendimento, già da tempo maturato, che si discutesse dell'attitudine del nostro partito in faccia alle questioni che interessano attualmente il paese, e della linea di condotta da tenersi nella eventualità delle elezioni generali politiche» . E certo fra le questioni, che toccavano a que' giorni gl'interessi del paese e i doveri della parte nostra, poteva anzi doveva occorrere agli adunati anche, quella del pericolo d'inconsulti tentativi d'azione; la quale, se posta (il che non fu per la subita sorpresa de' nostri imprigionatori) sarebbe stata da noi, col manifesto del giugno alla mano, risolutamente decisa in senso negativo. Al che i principii nostri, e le condizioni de' tempi, del paese e del partito, associandosi insieme a corroborare con argomenti di ragione i nostri consigli, ci avrebbero naturalmente guidati.

Tutto ciò ch'io, mio caro Mario, vi venni esponendo in queste mie, si fonda su fatti la cui verità è documentata dai risultamene stessi del processo intentato contro di noi. L'opinione pubblica ha già pronunciato sentenza sovr'essi, e imposto il silenzio del pudore ai nostri più ostinati avversari. E se non si trattasse che delle ingiurie da noi sofferte, il giudizio dei nostri compatrioti ce ne avrebbe già data riparazione maggiore del danno. Ma, nel caso nostro, è questione di ciò che manca in Italia alle vere condizioni del viver libero e civile: materia gravissima, dalla quale dipendono le aspettative o triste o liete del nostro avvenire. E questa materia io raccomando, congedandomi da voi, alla mente e al cuore di quanti curano, come voi fate, il bene e la dignità della patria.

Vostro

A Saffi.

APPENDICE.

A. - Diamo, per saggio della moralità politica e del rispetto della stampa governativa all'imparziale magistero della Giustizia inquirente, i seguenti passi di un articolo della Gazzetta di Parma del 14 Agosto 1874, sugli arresti di Villa Ruffi. L'articolo della Gazzetta Parmense ritrae a pennello lo spirito e lo stile, onde s'informavano, a que' tristi giorni, i Diarii officiali ed officiosi, con edificante obbedienza alla parola ricevuta dall'alto. - Ab uno disce omnes.

«Essi (gli arrestati) aspirano libertà da tutti pori, «diceva la benemerita Gazzetta,» ma non la libertà nostra, come sarebbe stampa, scuole, riunioni, elezioni: che! che! Essi cercano, a costo di non trovarla mai, una libertà che cospira sempre, una libertà col teschio di morto da una mano e il pugnale insanguinato dall'altra, una libertà, che ci vuole il peggiore spirito di Romagna, perchè non vi metta paura a guardarla, una libertà che ha fatto la fortuna di Curci, di Bresciani, di Taparelli e di altri grandi campioni della compagnia di Gesù.

«Dunque, si erano radunati in quella villa da tutte le parti d'Italia per stabilire il giorno dell'azione.

«Ve lo figurate voi questo giorno? - Eh, che ci vuole: insorgono Rimini, Cesena, Forlì, Faenza e qualche altra città, disfacendosi col ferro e col fuoco della poca guarnigione. Pavia tumultua, Bologna e Milano fanno altrettanto; Palermo, Messina e Girgenti suonano l' ora de lu Poveriello (è la repubblica della marmalia siciliana, il saccheggio) ...»

«…È questo che si vuole, la cospirazione in permanenza, lotta fra le città, l'arruffio, il caos democratico. Al resto, ossia al finalmente del trionfo non ci credono nemmeno essi quegli arcicittadini; non ci credono, ve lo dico io; perchè, fra le altre cose, uno stato di quiete, anche repubblicano, li seccherebbe. Il loro mestiere è cospirare. «Basta, per ora essi sono in gattabuia a Spoleto.»

II governo ha le prove in mano della loro cospirazione.

B. -- Gli eletti a rappresentare la Consociazione nei rispettivi Comitati di Circondario, il primo anno della sua fondazione (1872), furono, pel Circondario di Bologna, i cittadini Avv. Aristide Venturini, Avv. Rodolfo Domenico Rossi e Giovanni Petrosemoli: - per Ferrara, Carlo Vedrani, Giuseppe Frassoldati e Luigi Fantini: - per Ravenna, Prof. Adolfo Borgognoni, Prof. Francesco Lucertini e Carlo Missiroli: - per Lugo, Luigi Pirazzoli, Ferdinando Morandi e Giovanni Valvassori: - per Imola, Epaminonda Farini, Pietro Landi e Pellegrino Salvigni: - per Faenza, Dott. Leopoldo Maluccelli, Vincenzo Cattoli, e Pietro Liverani: - per Forlì, A. Saffi, Antonio Fratti e Ulisse Golfarelli: - per Cesena, Avv. Pietro Turchi, Eugenio Valzania e Federico Comandini: - per Rimini, Dott. Domenico Bilancioni, Innocenzo Martinini, e Camillo Ugolini.

Nelle successive elezioni del 1873-74, la maggior parte de' qui nominati furono rieletti. Fra le poche eccezioni, notiamo le seguenti: a Bologna, in luogo del Petrosemoli assente, fu eletto l'Avv. Alessandro Fortis: a Faenza, per rinunzia de' tre precedenti, furono nominati i cittadini Teodorani Pietro, Chiarini Michele e Ronconi Nino di Modigliana: a Ravenna, in luogo del Lucertini, l'Emiliani: a Imola, in luogo del Salvigni, Bucci Giuseppe. Costituitosi un nuovo Circondario delle Ville Unite di S. Pietro in Vincoli, Campiano, la Rotta, ecc. fra Ravenna e Forlì, fecero parte di quel Comitato i cittadini Dott. Brunelli Alessandro, Bosi Paolo e Montanari Pietro. Tutti, si i primi che i nuovi eletti, di fede repubblicana unitaria, aderenti ai principii di G. Mazzini, e concordemente intesi a mantener ferme in que' principii, e aliene da tendenze internazionali le Società da essi dirette.

La Direzione Centrale della Consociazione, nel 1874, era composta dei cittadini A. Saffi, A. Venturini, R. D. Rossi, A. Fortis, E. Valzania, P. Turchi e A. Fratti.

Degl'intervenuti, il 2 Agosto 1874, all'adunanza di Villa Ruffi, que' di Romagna appartenevano tutti alla Consociazione ed erano conosciuti come avversarii dichiarati dell'Internazionalismo. Eccone i nomi: Saffi Aurelio, Fortis Alessandro, Rossi R. Domenico, Valzania Eugenio, Turchi Pietro, Comandini Federico, Comandini Alfredo, Marini Lodovico, Bilancioni Domenico, Martinini Innocenzo, Ugolini Camillo, Francolini Domenico, Serpieri Achille, Grassi Augusto, Begni Stanislao. Quelli che vi concorsero da altre parti d'Italia, furono Dagnino Felice da Genova e Narratone Domenico da Torino - notissimi come amici personali di G. Mazzini, in vita, e devoti seguaci delle sue dottrine; Mantovani Costantino, oggi deputato, stimato in Pavia, sua città natale, e in tutta Italia, come illibatissimo cittadino; Dotto de' Dauli Carlo, di fede mazziniana, d'ingegno culto, autore d'una pregiata storia di Nizza, noto ed amato a Napoli per pubbliche e private virtù; Runcini Vincenzo di Montorio al Vomano, egregio uomo, informato alla scuola di G. Mazzini, ne' cui Giornali collaborò con frequenti articoli intorno a materie di educazione; Barilari Domenico, Piccolomini Giovanni, Marinelli e Paterni Mario, delle Marche, fondatori di Società e di Diarii di parte Mazziniana, sperimentati patrioti, e strenui oppugnatori dell'Internazionalismo; Ravagli Dott. Gaetano, onoratissimo cittadino di Jesi, veterano della causa nazionale e costante cultore de' principii di Mazzini; Aureli e Marchetti da Camerino, colti giovani, egualmente di parte mazziniana; Ferrari Ottavio da Parma, avuto in pregio, per senno, gentilezza e virtù, da tutti i suoi concittadini, senza distinzione di parte. Non v'era, fra gli adunati a Villa Ruffi, un solo Internazionalista.

C. - Ecco i passi principali del Programma della Consociazione, votato nel Comizio di Ravenna il 25 Febbrajo 1872.

Rispetto alla questione politica e nazionale.

I principii e gli intenti della Consociazione, era ivi detto, conformi alle tradizioni del partito repubblicano unitario in Italia, sanciti ultimamente anche dal Patto di Fratellanza delle Società Operaie rappresentate nel Congresso di Roma, si riassumono ne' seguenti capi:

I.

Unità di nazione e libertà di Comune. Unità, cioè, di rappresentanza, di leggi e di governo, in tutto ciò che si attiene alla vita collettiva del popolo italiano; - alle sue relazioni cogli altri popoli; - al compimento integrale del suo territorio; - alla eguaglianza delle regole di giustizia civile, amministrativa e penale, contro qualsiasi abuso, o privilegio di persone, di luoghi o di cose; - all'equa e proporzionata distribuzione de' tributi e alla economia dello Stato; - ai lavori pubblici d'importanza nazionale; - all'obbligo della istruzione elementare per tutti, e alla libertà dell'insegnamento in ogni possibile grado ed esplicazione di esso; - alle difese terrestri e marittime della patria indipendenza, sostituendo, al sistema degli eserciti stanziali, ordini efficaci di ben disciplinate milizie cittadine - e, generalmente, alla missione politica e umanitaria dell'Italia nel consorzio civile delle nazioni: missione alla quale è assegnato il compito di affrettare, con ogni sforzo, l'era invocata della fratellanza e della pace fra tutte le genti.

Intera libertà di Comune e di associazione di Comuni in tutto ciò che si attiene agl'interessi, ai diritti, ai doveri, contenuti di loro natura nel recinto della vita municipale e regionale, per le funzioni proprie della medesima nel seno dell'odierna civiltà.

II.

Sostituzione del principio elettivo al principio ereditario e personale negli alti ufficii dello Stato; e quindi il dovere e la responsabilità dinanzi alla nazione e alla legge sostituiti al privilegio e alla irresponsabilità, in tutte le attribuzioni dell'ordine legislativo e dell'ordine esecutivo.

Fonte e sanzione della sovranità - non la tradizione da un lato, nè la mutabile volontà de' pochi o de' molti dall'altro - ma le norme della ragione e della giustizia comune progressivamente interpretate dalla coscienza nazionale; - e quindi libero ed eguale concorso di tutti i cittadini nella scelta de' loro rappresentanti, con quelle forme ordinatrici del suffragio che l'esperienza additi opportune alla sincera manifestazione del voto; e con tali forme di suffragio che studii la possibile rappresentanza delle minoranze.

Rispetto alla questione sociale:

La Consociazione aspira alla vera eguaglianza civile e politica degl'Italiani, perchè, rinfrancata per essa l'umana dignità in ciascuno ed in tutti, l'inviolabile carattere di libero cittadino e di uomo responsabile della propria capacità morale, dinanzi alla legge della vita, operi come elemento preponderante nell'assetto della questione sociale; e il lavoro dell'operaio cessi di essere trattato come una merce venale, soggetto alle leggi materiali della produzione e all'arbitrio dell'Imprenditore e del Capitalista. La Consociazione vuole, con Mazzini, «la emancipazione della classe operaia, la giusta partecipazione nei risultati della produzione tra i produttori, la sostituzione graduata dell' associazione al salario;» vuole che «il giornaliero diventi socio; il lavoro, sorgente di proprietà; la proprietà strumento di doveri e di beneficii sociali - e che la Società civile non rimanga perpetuamente - in contraddizione col proprio nome - una Società divisa e lottante in sè stessa, di privilegiati intesi a straricchire, e di manuali condannati ad abbrutire nell'ignoranza e nella miseria.

IV.

Quanto alle alte regioni della scienza e della ragione, della fede religiosa e della filosofia, delle ispirazioni ideali della mente, e de' sentimenti intimi e spontanei dell'animo umano, la Consociazione fa appello, come a supremo principio, intangibile, a qualsiasi parte o scuola o chiesa, alla libertà della coscienza e del pensiero, come a prima origine e fondamento d'ogni altra libertà. E però pone a sè stessa e ad ognuno dei soci per regola essenziale di buona e giusta convivenza il rispetto delle opinioni individuali, e della temperata, onesta, feconda discussione dei principii e delle idee, come guida alla progressiva scoperta del Vero e del Bene.

Alcuni paragrafi dello Statuto della Consociazione basteranno a metterne in chiaro il carattere pubblico e pacifico, e gli uffici educativi e civili.

Art. 3. Suoi principii fondamentali sono:

1° La Libertà, l'Eguaglianza e la Fratellanza.

2° Lo sviluppo dell'istruzione e dell'educazione coordinata alla libertà di pensare e di discutere senza restrizione.

3° Il dovere per tutti di cooperare efficacemente, nella comune sfera di azione, al raggiugnimento del bene della patria e dell'Umanità.

Art. 4. Essa propone l'istruzione e l'educazione delle classi operaje e la propagazione delle idee democratiche propugnate dal grande Maestro GIUSEPPE MAZZINI, mediante la stampa, lo studio, e la discussione delle questioni economiche e sociali; le letture pubbliche, le conferenze, i gabinetti di lettura, le biblioteche popolari circolanti e le scuole per i giovani e per gli adulti; l'associazione cooperativa per dar lavoro agli operai che ne mancano; l'organizzazione forte e disciplinata delle masse democratiche; l'affermazione coraggiosa del principio repubblicano in ogni tempo ed in ogni luogo; la guerra alla guerra, alla superstizione, al delitto.

Art. 16. Ai Comitati Circondariali è affidata la cura dell'ordinaria direzione e amministrazione delle singole Società. Essi hanno diritto di convocare in adunanza le varie società del Circondario: debbono curare l'istituzione di biblioteche popolari circolanti, di scuole, di Istituti di educazione, di mendicità, di conferenze, letture pubbliche, società di Mutuo Soccorso, di cooperazione, di credito e quant'altro interessa le singole società.

Art. 19. Alla Direzione Centrale è affidata la cura dell'ordinaria direzione della Consociazione; ha diritto di convocare in adunanza generale i Comitati Circondariali, d'iniziare, a nome della Consociazione, i Comizii popolari e le dimostrazioni pubbliche, le dichiarazioni per affissi o pei giornali; ha facoltà di nominare commissioni speciali per istudiare proposte di nuove istituzioni di mutuo soccorso, di cooperazione e di credito, di provvedere insomma, nel modo che crederà migliore, all'attuazione e al progredimento dei principj e dei fini propostisi dalla Consociazione.

D. - Fra le Società Operaje accennate nel testo, come intese ad educare il popolo e a migliorarne le condizioni morali ed economiche, basti addurre, per tipo d'altre parecchie di simile natura, l'esempio di quella di Medicina. Istituita, il 1 novembre 1852, riuscì colla sua condotta a vincere i pregiudizi e le ostilità della classe agiata e de' partiti avversi, e tenne fede, in ogni suo atto, al significato delle nobili parole iscritte sulla sua bandiera: Educazione e Lavoro. Risulta dal Resoconto del suo Consiglio Direttivo sulla gestione dell'anno 1873, ch'essa promosse l'istruzione elementare de' soci analfabeti, diede mano a conferenze educative, al mantenimento della buona armonia fra gli artigiani e i maggiorenti di quella piccola Terra, prevenne disordini e iniziò due utilissime associazioni; l'una di consumo , l'altra di produzione, ad incremento delle industrie speciali del luogo. E nondimeno, nell'agosto del 1874, un decreto prefettizio la scioglieva, qualificandola una minaccia perenne all'ordine ed alla sicurezza pubblica. La lettera che segue, diretta non ha guari al Saffi dal fondatore ed ex-presidente di quella Società, Domenico Rangoni, ne compie la storia e non ha bisogno di commenti:

Illustrissimo Signore.

Mi fo un dovere d'inviarle alcune notizie sulla Società popolare Educazione e Lavoro di Medicina da Lei chiestemi alcuni giorni sono a Bologna.

Le unisco lo Statuto sociale che durante i due anni di nostra esistenza ha fatto bonissima prova.

Tralascio di parlarle della Società durante il 1873; perchè dal rapporto che Le unisco (V, Voce del Popolo ed Alleanza di Bologna N. 44, 45, 48) e dal Manifesto pubblicato in occasione delle elezioni amministrative potrà farsi un concetto di quanto si fece dalla fondazione della Società a tutto il 1873.

Nel 1874, fino al giorno dello scioglimento, cercammo di proseguire nella via intrapresa e di far sì che non andassero perduti gli utili risultati ottenuti nell'anno precedente.

Curammo l'istruzione e l'educazione dei soci coll'aprire un corso elementare di leggere e scrivere, col dar letture e conferenze. Il comitato di Soccorso venne in aiuto ai soci ammalati ed ai bisognosi mediante sottoscrizioni volontarie; il Comitato di Sorveglianza prestò l'opera sua benefica acciò i soci mantenessero mai sempre una condotta esemplare; ed il comitato di Conciliazione pose termine, amichevolmente e con soddisfazione di tutti, alle poche vertenze insorte fra i soci.

Ed acciò l'azione della Società, in ordine all'Educazione ed all'Istruzione, non fosse limitata ai soli soci, costituimmo un Comitato per l'istruzione del popolo, il quale inaugurò solennemente i propri lavori coll'intervento delle autorità e delle persone più distinte. Furono date, a cura di questo Comitato, delle conferenze pubbliche sui Doveri dell'uomo, sulla Storia contemporanea e sulla Economia agraria.

Nell'anno 1873 la Società nostra iniziò un'Associazione Cooperativa di Consumo, la quale oggi in paese è il vero calmiere delle farine, del pane e della pasta, e reca immensi benefizi. Nel 1874 la Società nostra ne iniziò una di produzione. Diramò infatti una circolare a tutte le Società della Consociazione, ma non essendo la medesima in grado di appoggiare l'instituzione, come si sarebbe voluto, demmo opera alla costituzione di un Comitato promotore, il quale si compose di persone di ogni gradazione politica. In oggi la Società Cooperativa per la fabbricazione delle stuoje, graticci di canna, sporte ecc. può dirsi un fatto compiuto, col merito a noi d'averla iniziata.

Anche nel 1874 pubblicammo un Manifesto per le elezioni amministrative, il quale, se venne approvato dall'intera cittadinanza, non piacque però all'autorità politica, che ne proibì l'affissione. Il Manifesto ottenne ciò non ostante il suo effetto, perchè lo facemmo pubblicare nella Cronaca Romagnola di Ravenna con grande soddisfazione di tutti quelli che abborrono le prepotenze e i soprusi da qualunque parte vengano, da tutti quelli che, come noi, sanno protestare contro le ammonizioni date agli onesti.

Anche a Medicina fuvvi una dimostrazione contro il caro dei viveri; si sarebbe voluto dagli agenti governativi che essa fosse opera della Società; ma noi sapemmo smentire la calunniosa asserzione, anzi facemmo conoscere che a noi dovevasi, se in quel giorno l' ordine non fu gravemente turbato. Tre nostri soci, i soli ammoniti che la Società avesse nel suo seno, furono arrestati per contravvenzione all'ammonizione, ed uno di essi coll'aggravante della ribellione alla forza pubblica durante la dimostrazione; ma il Tribunale li mandava tutti e tre assolti - Ciò fu una vittoria per noi; perchè, se da un lato provammo col fatto che nessuno di noi prese parte a disordini di piazza, anzi cercammo che i medesimi si limitassero alle grida di pane e lavoro; dall'altro lato potemmo constatare che nella nostra Società non potevano essere inscritti che gli uomini onesti; diffatti dai certificati penali e di moralità dei tre ammoniti, letti al pubblico dibattimento, emerse la loro buona condotta morale e la loro onestà.

Sui primi di Agosto scorso, la Società nostra, o meglio il partito repubblicano di Medicina, ebbe sentore di un moto insurrezionale, che si sarebbe tentato in Bologna ed altrove. Noi che sapevamo essere un moto rivoluzionario in Italia inopportuno e dannoso, noi che siamo convinti non doversi fare una rivoluzione oggi per farne un'altra il dimani, e che non v'è partito senza disciplina; chiedemmo istruzioni ai capi, e rifiutammo recisamente qualunque nostra cooperazione ad un moto, che credevamo, come infatti era, moto internazionale, contrario quindi alle nostre idee.

Poco dopo fummo sciolti, e ciò per decreto del Prefetto di Bologna, conte Capitelli, in data 9 Agosto 1874.

Dallo statuto sociale, dal rapporto sulla gestione del 1873, dai manifesti pubblicati e dal poco che facemmo nel 1874 e di cui fin qui ho tenuto parola; può ognuno arguire chi siamo e che cosa vogliamo. I nostri soci sono per la maggior parte operai e braccianti, poveri di coltura e di ricchezze; ma, lo diciamo colla fronte alta, sono uomini onesti. Benchè il Prefetto di Bologna, nel suo decreto di scioglimento, ci dipinga con neri colori e ci tenga come minaccia perenne all'ordine ed alla sicurezza pubblica, pure noi possiamo dire al Prefetto di Bologna e a tutti, che di 150 e più membri della Società nostra, e, si noti, quasi tutti appartenenti alla così detta classe infima ed ignorante, nessuno ha dato occasione di lamentanza per parte della popolazione e delle autorità, nessuno ebbe la benchè minima chiamata per parte del Delegato, del Sindaco e d'alcun altro, tanto meno poi alcuno di noi ha avuto querele e subito condanne, se si accettuano i tre arrestati per la dimostrazione del caro dei viveri, che il Tribunale mandò assolti.

Diremo di più: vuoi per il gran numero dei soci, vuoi per la sorveglianza che ogni membro era tenuto di esercitare sulla condotta dell'altro, noi stessi mantenemmo, durante il periodo della nostra esistenza, l'ordine e la tranquillità in paese. Fummo sorvegliati alla guisa dei ladri e dei manutengoli, anzi più di essi, dall'autorità politica; fummo provocati e perfino scherniti dai carabinieri e dal Delegato di P. S. e tacemmo, non per viltà ma perchè conoscevamo la grave responsabilità che avevamo accettata, i doveri che c'imponeva la nostra missione. E tanto facemmo che durante i due anni di vita sociale, nessuno di quei fatti pei quali in addietro il paese nostro andava famoso, per risse, ferimenti, ribellioni, ebbe a lamentarsi. Fummo sciolti, e subito occorsero un ferimento grave e alcune liti. Lo diciamo con orgoglio: a noi è debitore il paese, se in alcune circostanze gravi, non avemmo a piangere sopra serii guai.

Nella nostra condotta, nelle nostre iniziative, in tutti i nostri atti, tenemmo costantemente rivolto il pensiero alla pratica di quanto avevamo iscritto sulla nostra bandiera colle parole Educazione e Lavoro, Allorchè fummo sciolti erano già scomparse le diffidenze e le antipatie sorte al nostro nascere. Gli avversari s'erano convinti che la nostra era missione pacifica: quella di educare e di educarci, lavorare e far lavorare, rispettando sempre le opinioni opposte alle nostre. S'erano persuasi i compaesani, che le nostre aspirazioni, i nostri intendimenti erano onesti e legittimi. In una parola, allorchè fummo sciolti, il paese ci rese giustizia, ed una corrispondenza ad un Giornale d'opposizione sì, ma monarchico, prova la verità di quanto asseriamo.

Nella nostra breve esistenza, abbiamo la coscienza di aver fatto del bene alla patria, al paese, a noi stessi, combattendo, in pubblico ed in privato, l'ignoranza ed il monopolio sotto qualunque forma, e cercando di porre a questi due mali efficace riparo.

Ripetiamo le idee che manifestammo nel rapporto stampato nella Voce del Popolo ed Alleanza l'anno passato. Rimaniamo fedeli ai nostri principii che che possa accaderci, e assiduamente intesi al miglior modo di praticarli nelle condizioni attuali d'Italia e del partito nostro. L'esperienza del passato ci ammaestri, e la fede nei futuri destini d'Italia e dell'Umanità rimanga incrollabile.

A noi, intanto, basti la coscienza del dovere adempiuto, e la ferma volontà di adempierlo in avvenire.

Medicina, 11 gennajo 1875.

Domenico Rangoni.

Ecco alcuni estratti della Corrispondenza al Giornale La Patria, di cui fa cenno la lettera del Rangoni.

La Società popolare Educazione e Lavoro è stata sciolta, sciolta per decreto prefettizio, come facente parte della Consociazione Repubblicana romagnola.

Sorta per iniziativa di alcuni giovani nel 1872, questa Società, in poco più di due mesi, contava nel proprio seno 100 individui, quasi tutti operai e braccianti, e tal cifra, enorme in sì piccolo paese qual è il mio, crebbe anzichè diminuire: al momento dello scioglimento la Società era composta di 130 soci.

Nei primi mesi della sua costituzione, il paese e la parte più intelligente di esso vedevano con una certa apprensione un sodalizio composto di persone che per la loro posizione sociale non potevano avere un grande sviluppo d'intelligenza; si vide con un certo timore la Società proclamare principj che, se possono esser santi quando vengano professati con convinzione, possono servire a mascherare colpevoli intendimenti quando certi tribuni improvvisati e mestatori di professione giungono ad accalappiare bravi operai e buoni patriotti; ma allorchè fu veduta la Società all'opera allorchè dal contegno dei soci si conobbe che i medesimi non cercavano che di associare le loro facoltà fisiche, intellettuali e morali per soccorrersi nella sventura, per educarsi ed istruirsi, per iniziare Società tendenti a togliere il monopolio e far diminuire la miseria mediante il lavoro, e tutto ciò sempre rispettando l'ordine e rimanendo nei più stretti limiti della Legge; anche il paese fece giustizia a questi operai ed incominciò a stimarli. Furonvi alcuni che combatterono il sodalizio repubblicano con tutta la forza dell'animo , vuoi per timore che in dati momenti potesse essere una minaccia al paese, vuoi perchè prendeva parte a tutto ciò che avesse potuto interessare la popolazione disturbando gl'indifferenti per principio; ma se è vero che oltre tomba non vive ira nemica, anche gli oppositori debbono convenire in questo che in due anni di vita la Società Educazione e Lavoro non ha dato luogo al più piccolo lamento nè per parte dell'autorità nè per parte della popolazione; che anzi rispettando le opinioni altrui meritò il rispetto alle proprie, e che allorquando l'ordine venne turbato per una vana dimostrazione di piazza, si meritò la gratitudine di tutti i buoni interponendo la propria influenza verso alcuni malintenzionati perchè non succedessero guai. Come eredità, la Società repubblicana di Medicina lascia al paese il Comitato per l'istruzione del popolo istituito all'identico scopo della vostra Lega, ed Una Società per la fabbrica di stuoie iniziata, or son pochi giorni, e che si spera potrà fondarsi fra non molto; queste due istituzioni sono come l'effettuazione del programma nel breve periodo della sua esistenza, sono come la pratica. di quelle due parole che volle scolpite nella propria bandiera, Educazione e Lavoro.

Nessuna agitazione, nessun turbamento della pubblica quiete ha seguito lo scioglimento della Società, gli arresti e le perquisizioni. Il paese intero colla disapprovazione dignitosamente manifestata contro il governo e colle dimostrazioni di simpatia fatte alla sciolta Società, ha fatto conoscere d'apprezzare degnamente il contegno dei repubblicani in questa circostanza dolorosa e di giudicare lo scioglimento stesso della Società come una misura causata da motivi generali, non da atti particolari della medesima.

E. - Diritto d'Associazione.

Estratti del Discorso del Deputato Benedetto Cairoli alla Camera dei Deputati (23 Gennajo 1875), in occasione dell'Interpellanza sugli arresti di Villa Ruffi.

Agli arresti aggravati dai cattivi trattamenti senza motivo succedettero perquisizioni senza frutto, e scioglimento di moltissime società, senza criterio, e colla solita deplorata illegalità di un decreto.

Tutte le consociazioni delle Marche e della Romagna furono sciolte per adesione ad altra forma di Governo, quasichè l'apostolato dei principii fosse un titolo sufficiente per lo scioglimento, e l'esistenza di queste società non fosse stata riconosciuta in un lungo periodo di vita legale.

Eppoi, in tanto splendore di civiltà e colla tanto proclamata libertà di coscienza, non vi può essere alcun partito fuori della legge, per delitto di opinione. Tutti anzi hanno il diritto della parola, e non lo diciamo addesso , l'abbiamo proclamato parecchie volte. Noi lo domandiamo anche per coloro che, potendo, ce lo vieterebbero coi roghi.

La libera manifestazione delle credenze politiche e religiose non è soltanto una conquista della civiltà, ma del martirio; si può combatterla colle ragioni, ma non si deve mai reprimerla colla violenza.

La teoria dunque del veto governativo al diritto di associazione è erronea, pericolosa, sovversiva, contraria allo spirito dello Statuto e ripudiata perfino da uomini che hanno sempre militato nelle file della destra.

Devo ripetere ciò che ricordai in altra occasione.

Non vi ha una disposizione apposita di legge per il diritto di associazione, ma quella del 48 avendo rimosso gli ostacoli, lo pareggiò al diritto di riunione garantito dallo Statuto.

Il Consiglio di Stato, interpellato parecchie volte sull'opportunità di speciali facoltà al Governo, diede sempre una risposta negativa, non ammettendo quella di sospendere o di sciogliere le associazioni, ma soltanto di vigilarle e di denunciarne gli atti, ritenuti incriminabili, all'autorità giudiziaria.

Questo principio fu affermato da diversi voti parlamentari, e specialmente da quello dato nella memorabile seduta, credo del 28 febbraio 1862, in seguito alla dichiarazione di un ministro, era l'onorevole Ricasoli, il quale, respingendo l'invito che gli era fatto a rigorose precauzioni contro il diritto di associazione, dichiarava che il diritto medesimo, anche nei suoi traviamenti, non è soggetto mai all'azione governativa, ma soltanto a quella dei tribunali. Fu bensì presentata una legge per regolare il diritto di associazione, ma con tali limiti che, se anche oggi fosse in vigore, non permetterebbe mai quel metodo molto spiccio, ma poco costituzionale, di sciogliere le associazioni con decreto. Relatore di quel disegno di legge fu l'onorevole Boncompagni, ed egli nel suo elaborato lavoro precisava i principii delle proposte disposizioni, e riconoscendo che il diritto di discussione è un dogma della civiltà moderna, e che nessun Governo può respingerlo, senza disonore (sono le parole dell'onorevole Boncompagni), non ammetteva che la diffusione di principii contrari allo Statuto fosse un titolo sufficiente d'accusa; disponeva che il giudizio, in cui fosse impegnata l'esistenza di una società, dovesse svolgersi davanti alla Corte di assisie e coi giurati; non consentiva mai al Governo il diritto di sciogliere, ma soltanto all'autorità giudiziaria, quando però il reato fosse così grave da reclamare un simile provvedimento.

Ma siccome questa legge consentiva al Governo di sospendere le associazioni; la facoltà parve così enorme che fu abbandonata, e non poteva difenderla l'onorevole Peruzzi divenuto ministro, il quale aveva dichiarato spesso che combatterebbe col voto e colla parola disposizioni legislative che dessero facoltà al Governo di sciogliere o sospendere associazioni, poichè vi è l'autorità giudiziaria armata di sufficienti poteri.

Oggi prevale invece un'altra teoria: e l'autorità governativa colpisce, giudica e decide; la massima libertà collettiva è nelle stesse condizioni della libertà personale: oggi il decreto di un ministro, di un prefetto o di un sotto-prefetto può condannare un'associazione alla morte.

Infatti sono circa un centinaio quelle che furono uccise in questo modo, con tutte le intitolazioni internazionaliste, repubblicane democratiche e operaie, cosicchè l' Indépendance Belge, osservava che si erano voluti trovare i colpevoli anche nelle modeste file delle società di mutuo soccorso. Fu una vera strage fatta con quel motto di Simone di Monforte, che Dio avrebbe saputo conoscere i suoi nella strage degli Albigesi. Anzi fra i titoli di accusa vi è quello di aver partecipato alla Consociazione delle Romagne, come membri o come promotori. Ma perchè? Esse furono costituite molti anni sono in un comizio coll'intervento dell'autorità di pubblica sicurezza, con un programma stampato da una tipografia della città di Ravenna, coll'origine, come ricorda il Saffi, da un grido di protesta contro i delitti di sangue che funestavano quei paesi, collo scopo di un apostolato morale, con atti sempre pubblici e mai incriminati dall'autorità giudiziaria, e speciamente col proposito di combattere le teorie dell' Internazionale.

Ma oggi, per una di quelle allucinazioni che anche in passato hanno aperto il carcere a molti che furono poi dichiarati innocenti, diventa un titolo di colpa l'aver appartenuto a società costituite da parecchi anni, immuni sempre da censure giudiziarie.

F. - Manifesto della Direzione Centrale della Consociazione alle Società Popolari di Romagna, in occasione de' tumulti annonari. Giugno 1874.

Quando la miseria batte alle porte delle nostre città e delle nostre borgate, quando, in una delle più fertili e meglio coltivate regioni d'Italia - dove pure la proprietà territoriale s'informa, mercè la consuetudine della mezzadria, a relazioni più eque che altrove coi lavoratori del suolo - il crescente disequilibrio fra la domanda e l'offerta del lavoro, e l'eccessivo incarimento dei viveri condannano buon numero di operai all'inedia o al delitto, quando donne e fanciulli veggonsi scendere per fame nelle piazze e nelle strade, e chiedere al Governo e ai Comuni l'elemosina di precarie largizioni per campare una squallida esistenza, noi mancheremmo al nostro dovere d'uomini e di cittadini, se, innanzi a condizioni siffatte, non vi volgessimo una parola di consiglio e conforto.

Noi vogliamo dirvi ciò che ci dettano gli ammonimenti della ragione e la carità della patria, senz'ira di parte, e senza intento che non miri al bene del paese e al progresso della sua civiltà. Parliamo ai più intelligenti fra voi, e li esortiamo, se stimano giuste le nostre parole, a prevenire, per quanto dipende dall'opera loro, sterili tumulti e sciagure, e a promuovere, con quanti amano l'Italia e l'Umanità, effettivi risorgimenti nella vita morale ed economica della nazione.

Molti fra i nostri fratelli, che non hanno di che sostenere la vita se non col lavoro delle loro braccia, soffrono terribili angosce. Le cagioni, che stremano le fonti dell'operosità produttiva e della prosperità sociale in ogni classe della nazione, s'aggravano ne' loro effetti più specialmente sopra di loro; e il grido di dolore, ch'esce dal seno delle loro famiglie, potrebbe condurli a disperati propositi. Essi potrebbero, illusi, ripromettersi dalla violenza un mezzo di mutare in meglio le loro condizioni materiali, dandosi a credere che la nazione fosse per seguirli su quella via; o cercare ad ogni modo, stanchi di patire, un termine ai loro stenti in una lotta ineguale. Nel primo caso, sarebbero vittime di un grave errore; nel secondo, di una cieca disperazione; e le conseguenze riuscirebbero del pari funeste alla classe a cui appartengono, e all'intero paese. Il loro sacrificio non produrrebbe frutto se non di maggiore miseria pei loro cari: il ricorso alla violenza per sanare le piaghe economiche dell'Italia non farebbe che allargarle ed inacerbirle; e i turbamenti della questione sociale, fatta strumento di disordini e di sangue, renderebbero più difficile e men favorito dai più lo scioglimento della questione politica.

Un popolo non si rigenera in nome del benessere materiale soltanto, nè vince la gran causa della libertà e della giustizia, imperversando con impeti passeggieri contro il male che soffre, senza amore nè vincolo di comuni principii e doveri. Non v'ha speranza di durevole affrancamento per le classi operaie, se non è fondata nei progressi della loro virtù e della loro istruzione, nello sviluppo e nella solidarietà degli interessi materiali e morali dell'intero paese. Tutto ciò che turba tale sviluppo seminando diffidenze e dissidi fra intere classi di cittadini, impedisce o ritarda gli invocati miglioramenti; è impotente al bene e nuoce alla libertà, dando pretesto di facili repressioni e prestigio di forza ai nemici della Democrazia. Con moti parziali, inconsulti, non guidati da un pensiero collettivo, nel quale consenta ed operi la maggioranza della nazione, l'Italia sarebbe condotta ad uno stato di lenta anarchia, non a rivoluzione rinnovatrice delle sue forze civili e de' suoi ordinamenti politici. Una divisione, esiziale alla patria e alla libertà, fra la borghesia e le classi artigiane - divisione contraria alle tradizioni storiche e all'odierno indirizzo della società italiana - incepperebbe i progressi di quella grande associazione nazionale dei migliori elementi del ceto-medio e de' lavoratori della città e delle campagne, che Mazzini raccomandava a noi tutti come legge de' tempi. Solo mercè l'associazione, seriamente applicata, ne' suoi vari istituti, al miglioramento intellettuale, morale ed economico di tutti, la democrazia italiana può procacciarsi autorità e forza a risolvere i quesiti del generale benessere, coi mezzi che a tali quesiti si addicono: l'intelligenza, la ragione, la pratica dei principii indeclinabili di una buona economia, e l'impero di una illuminata opinione intesa a secondare que' principii, col concorso di quanti elementi cooperano alla produzione della ricchezza nazionale.

Se questa civile comunanza fra le parti vive della nazione non diventi il bisogno e il concetto de' più: se - a fronte delle gravezze, che travagliano, per eccessive e mal ripartite imposte, sterili spese, naufragio del credito pubblico, monopolii riprovati dalla morale e dalla scienza ad un tempo, arbitrii amministrativi e politici d'ogni maniera, le popolazioni italiane - non sorga un forte senso di pubblico dovere attivamente rivolto a far cessare il pubblico danno: se Voi, operai d'Italia, e Voi patrioti del ceto-medio, non vi adoprerete, con longanime perseveranza, a creare una potente volontà nazionale e ad acquistare alle vostre aspirazioni virtù di pratici effetti mettendole in armonia col senso comune dell'intere cittadinanze, è vano sperare alcun fermo e salutevole avviamento delle questioni, che agitano la patria nostra.

Non si costituisce, con liberi e giusti ordini, la vita interna d'un paese, non si edifica un Tempio degno delle celebrazioni della storia all'anima di una nazione, se un sentimento comune non unisce gli animi tutti in un religioso legame di comuni doveri e diritti. E questo legame esiste virtualmente in Italia. Trattasi oggi, più che d'altro, delle vie pratiche e razionali di estrinsecarne e tradurne in atto i principii.

Non v'ha, a' di nostri, antagonismo organico di classi, fatalmente stabilito in immobili privilegi sociali. La legge civile tende, coll'abolizione de' vincoli della proprietà e colla limitazione dell'arbitrio testamentario, ad agguagliare le condizioni; il moto degli interessi economici tende, colla crescente necessità dell'associazione e della cooperazione, a sviluppare i grandi principii della solidarietà e dell'equa ripartizione degli utili fra i diversi agenti della produzione. E, mentre la scienza, l'esperienza, e il costume, verranno additando, in questi principii, un largo campo all'accordo fecondo delle classi nell'unità di una patria, che la natura e la storia chiamano a prospere sorti, la comune latente inquietezza dello stato anormale, in cui fu gittata la nazione dal mal governo delle consorterie dominanti, approderà, presto o tardi, a un comune programma de' rimedii del male.

Dinanzi agli sconci presenti, noi non perdiamo fede nelle grandi forze riparatrici dell'incivilimento italiano, e nelle leggi dell'umano progresso. L'Italia non rinacque, dopo tre secoli di servitù, dal sepolcro, per giacere a terra nell'ozio e nella decadenza. Noi crediamo, che, attraverso le miserie dell'oggi, andrà formandosi, di grado in grado, sempre più saldamente, un solenne concorso delle forze intellettuali e delle volontà del paese, a provvedere - come può una nazione, che ha nelle sue mani i propri destini - ai suoi interessi, al suo diritto, a' suoi uffici nel mondo. E, come la cooperazione delle classi medie colle classi operaie, riuscì, nelle prove del passato, a rimuovere gli immensi ostacoli, che si opponevano, da lunga età, alla indipendenza e alla unità della patria nostra, così noi portiamo fiducia, che una simile colleganza proseguirà a svolgersi e ad operare nella questione, comparativamente meno ardua, del buono e libero assetto della sua vita interna.

Noi crediamo all'antico genio civile d'Italia, il quale, d'epoca in epoca, venne storicamente procedendo, dal Comune alla Nazione, nelle vie dell'eguaglianza civile; e crediamo che l'eguaglianza politica e l'associazione economica - libera, come noi l'intendiamo, e per ciò ministra di virili energie e di fruttuose operosità - non possano tardare ad applicarsi ad una società informata e mossa da tali tendenze.

E però noi promoviamo, per quanto sta in noi, tutto ciò che giova ad accrescere la concordia e l'assimilazione delle cittadinanze, e ad ampliare l'ordinamento della Democrazia italiana ad opera collettiva di nazionale progresso: e ripudiamo, per contrario, ogni dottrina o protesta, che nuoca, con impeti antisociali, al gran fine, e giovi, scomponendo le nostre file, all'egoismo dei nostri avversari.

Noi non nascondiamo a noi stessi la gravità della situazione in varie parti d'Italia, e i pericoli, ond'è minacciata la pace pubblica dalle sofferenze di molti infelici, le cui famiglie dimandano pane e lavoro. Noi abbiamo udito raccontare di madri, che non avendo cibo da dare ai loro figliuoli piangenti per fame, stretta al seno la derelitta prole, si sono annegate con essa; abbiamo udito onesti operai, straziati dallo spettacolo degli stenti de' loro fratelli, gridare, confondendoci di pietà e di dolore mentre cercavamo consigliarli - noi vogliamo morire, ma non di fame: vogliamo morire, combattendo il male che ci annienta.

In mezzo a sì tristi condizioni, la responsabilità de' pericoli, che ne sgorgano per natura di cose, ricade in gran parte sugli errori del sistema che, rovinando le finanze dello Stato, ridusse a tale un paese, ricco quant'altri mai di naturali dovizie, e di mezzi atti a convertirle in ampie sorgenti di universale prosperità. E coloro, che hanno in mano il potere, aggiungerebbero ai vecchi errori colpe nuove e più gravi, facendo argomento di reazione politica i dolori della miseria e le grida della fame.

Noi però - consci della vastità delle forze economiche dell'Italia in generale, giacenti oggidì inoperose nel seno della provvida natura, e destinate a svolgersi a grado della nostra volontà e della nostra operosità - non siamo disposti a dare al male proporzioni più larghe del vero. Le nostre circostanze agricole e sociali non espongono necessariamente all'inedia e all'esterminio intere popolazioni, com'è avvenuto in Irlanda e in Inghilterra. Trattasi - dove il paese si premunisca in tempo colla propria industria contro mali maggiori - di parziali calamità, di transitoria sproporzione fra la domanda e l'offerta del lavoro, fra il caro de' viveri e la mercede dell'operaio. Ma, per ciò appunto, la generazione presente non avrebbe scusa alla sua dappocaggine, se non facesse prova di riparare ai disastri che la minacciano, ponendo in opera tutte le sue facoltà produttive, allargando le sue industrie, estendendo le relazioni di una feconda solidarietà fra privati, sodalizii operai, istituti di credito, riformando gli ordini della pubblica beneficenza, e recando a vantaggio dell'indigenza, e de' bisogni delle moltitudini, una somma efficace - non di patronato umiliante e di carità ufficiale, alimentatrice d'inerzia e d'immoralità - ma di capitali e di credito impiegati a trasformare in frutto di ricchezza sociale i doni largiti dalla natura e dal cielo al suolo d'Italia, e a rialzare, mediante il lavoro equamente ricompensato, le facoltà morali e il carattere di tutto un popolo.

Vi sono terre, in molte regioni d'Italia, che per incuria dei proprietarii, nutrono a stento pochi ed estenuati lavoratori, e delle quali una intelligente e solerte industria potrebbe, in breve, centuplicare il reddito in beneficio di una numerosa e robusta classe di ben provveduti coloni. Vi sono province intere, oggi inculte, malsane e quasi deserte, che il concorso dei capitali e di bene ordinate migrazioni domestiche dai luoghi dove soverchian le braccia, trasmuterebbe, in pochi anni, in liete dimore di prosperi mezzadri od affittajuoli. E le industrie manifatturiere nostrane, affini alle agricole, oggi sfruttate ancora in gran parte dagli stranieri, e le miniere, e i commerci, e la postura della penisola sulla gran via delle comunicazioni mondiali fra l'Occidente e l'Oriente, sembrano chiedere con insistenza crescente a ciascuno di noi, se, in questa contrada delle grandi imprese e degli infaticabili traffici del medio-evo, si aggirino, a' nostri giorni, ombre od uomini veri.

Senta il paese che, malgrado le contrarietà di un cattivo regime, esso può, movendosi ed operando, rifare la propria vita: senta, che il male d'ogni infelice che soffre, senza responsabilità sua propria, per una dura necessità impostagli da un generale errore, è male che tocca e perturba più o meno direttamente gl'interessi di tutta la Società: che l'intendere, con vigile ed associata previdenza ed operosità, a migliorare le condizioni delle classi artigiane, è un bene che fruttifica a tutte le classi e reca incremento di sicurezza, di moralità e di forza all'intera nazione: e che un popolo, il quale comincia dal saper provvedere, colla propria virtù ed industria, alle sue necessità sociali, finisce col saper adattare gli ordinamenti della propria vita amministrativa e politica a quelle necessità, e ai doveri della sua missione nell'umano consorzio.

Questo è il cammino segnato dalla ragione e dalla esperienza al progresso dei popoli, ed è obbligo di quanti hanno fede ne' destini della patria italiana il proceder per esso alle conquiste civili dell'avvenire. Noi adempiamo, come ci è dato, a quest'obbligo, ricordando a Voi tutti il dovere comune.

Giugno, 1875.

La Direzione Centrale della Consociazione Romagnola

A. Saefi - A. Fortis - E. Valzania

A. Fratti - A. Venturini - P. Turchi. R. Rossi.

G. - Rispetto al Convegno d'Imola e alle pretese trattative coll' Internazionale affermate contro l'evidenza de' fatti nelle requisitorie del Pubblico Ministero, la Memoria degli Avvocati della Difesa alla Sezione d'Accusa (firmata Ceneri, Busi, Gozzi, Baratti, Venturini Estens.) così vittoriosamente argomenta contro le asserzioni del Pubblico Ministero:

Trattative colla Internazionale.

All'immaginata cospirazione si aggiunge il calunnioso addebito di trattative coll'internazionale. Non si può nè onestamente, nè seriamente accettuare il gratuito asserto del redattore delle requisitorie, per poca conoscenza che si abbia dei principii, del carattere, dei precedenti antichi e recenti delle persone a cui si riferisce; ed è pressochè superfluo il volerlo confutare.

Le Consociazioni, sin da quando le massime dell'Internazionale furono qua e là disseminate in questa regione, esercitarono la loro efficace influenza per combatterle ad oltranza, e preservarne le popolazioni; e si può francamente affermare che lo scopo fu in gran parte raggiunto. Possiamo dire di più, che uno degli intenti precipui della istituzione delle Consociazioni, fu quello di porre un argine solidissimo alla propaganda ed alle influenze internazionali, che in quel tempo ci venivano d'oltr'alpe: il che luminosamente si rileva dai discorsi tenuti in varii comizii e specialmente in quello di Ravenna, nonchè dalle polemiche sostenute dai giornali L'Alleanza e la Voce del Popolo, che furono entrambi organi della Consociazione Romagnola (Ved. la Roma del popolo e l' Alleanza sopracitata). - L'assoluta incompatibilità dei principii crea un abisso tra i fautori delle dottrine internazionali ed i seguaci del sistema politico-sociale di Giuseppe Mazzini. La consociazione romagnola, colla sua azione ed influenza collettiva, ed i membri tutti della medesima, hanno sostenuta apertamente una lotta incessante, la quale per gli uomini di buona fede di qualsiasi parte, allontana perfino il sospetto di possibili accordi od intelligenze anche momentanee, in qualunque circostanza ed a qualsiasi intento. Se ciò che affermiamo non fosse già radicato nella pubblica opinione ed avesse mestieri di conferma, basterebbe citare l'atteggiamento assunto dalla Consociazione romagnola per organo della sua Direzione Centrale col manifesto del giugno scorso, quando si presentivano tumulti annonarii e probabili sommosse, che si sospettavano fomentate da influenze internazionali; nonchè l'azione spiegata dai diversi membri dei Comitati della Consociazione in quelle città della Romagna ove i tumulti effettivamente scoppiarono e specialmente a Forlì e a Bologna. - Se all'indomani di quei fatti sia concepibile qualsiasi accordo o trattativa tra quelli che scongiurarono quegli sconsigliati tentativi, e coloro che hanno fama di averli promossi, lasciamo al buon senso di chiunque ed alla retta coscienza degli onesti il giudicare. A questo si potrebbe aggiungere per rispetto all'azione individuale di molti membri della Consociazione, che i giornali di parte repubblicana ed internazionali riflettono abbastanza la lotta vivissima che durò senza tregua, e che talvolta degenerò fino in questioni personali, le quali accentuarono maggiormente un'assoluta inconciliabilità, non solo nel campo delle idee, ma ancora fra gli uomini dei due partiti.

Quanto alla questione personale degl'imputati, se la cecità giungesse ad ascrivere agli individui ciò che non può essere imputato all'unica associazione politica cui appartenevano, crediamo appena utile l'accennare ch'essi non ebbero mai nemmeno personalmente alcun contatto politico con internazionali, e che tutto quanto è stato di sopra affermato in genere deve ripetersi per ciascun di loro. Nessun indizio potrà allegarsi mai per giustificare anche in parte soltanto la calunniosa affermazione delle requisitorie. Su che può mai fondarsi l'accusa, cui spetta l'onere della prova? Noi non conosciamo che due fatti, intorno ai quali si aggirò l'istruttoria, che possano essere presi a pretesto, e che tornano invece ad una piena dimostrazione contraria: il primo, l'adunanza di società popolari tenuta in Imola sulla fine di luglio scorso, alla quale intervenne il Rossi; il secondo l'adunanza di Villa Ruffi che provocò l'arresto dei convenuti e fu l'origine dell'attuale processo. Ora nell'adunanza d'Imola il Rossi ed il Fratti, che rappresentavano la Direzione centrale della Consociazione Romagnola e interpretavano il senso politico della Consociazione stessa, spiegarono le ragioni che avevano indotta la Direzione centrale ad escludere dalla Comunione sociale la società della Pianta, appartenente al circondario imolese: le quali ragioni erano fondate sulle tendenze internazionaliste manifestate dalla ricordata società e sulla aperta disapprovazione della presidenza della medesima, rispetto all'indirizzo preso dalla Consociazione di fronte alla crisi annonaria, e specialmente per le idee ed i consigli contenuti nel manifesto del giugno, che tuttavia stampa, senza distinzione di partito, fece oggetto di lusinghieri encomii.

La prova materiale dell'espulsione della Società della Pianta dal seno della Consociazione si rinviene negli atti stessi del processo, e precisamente nella lettera che la Presidenza di quella Società indirizzò, dopo il fatto, alla direzione centrale. I delegati nell'adunanza presero puro argomento dal fatto suesposto per addimostrare maggiormente l'assoluta opposizione fra il partito mazziniano e l'internazionale, facendo notare come l'azione della Consociazione fosse intesa a rinnovamento politico, mediante l'istruzione e l'educazione delle masse popolari. Ed importa ricordare che essi delegati si studiarono di ben determinare il dovere di ogni onesto socio, che serbasse fede al programma accettato, di separarsi da coloro i quali se ne allontanavano. Quell'adunanza era presieduta dal signor Epaminonda Farini, assistito dai signori Landi e Bucci, i quali tutti incriminati per detto fatto, furono già rimessi in libertà con dichiarazione di non farsi luogo a procedere, per cui da ciò solo è necessario inferire che l'adunanza d'Imola non può mettere in essere la possibilità del preteso accordo di cui parla la requisitoria. Lo scopo dell'adunanza di Villa Ruffi, allo stato delle cose, quando cioè, buona parte de' convenuti fu già restituita in libertà, ed è incontrastabilmente stabilito che nessun internazionale assistè a quei convegno, non può essere seriamente messo in dubbio. In quell'adunanza, che fu tenuta senza alcun mistero, si trattò la quistione delle elezioni generali politiche, dal punto di vista della partecipazione o meno alle medesime del partito repubblicano unitario. Ne fanno fede nel processo la lettera d'invito, le dichiarazioni perfettamente concordi di tutti gl'imputati e il verbale dell'adunanza; e dinanzi all'opinione pubblica, che ornai non può essere più tratta in inganno su tale proposito, l'insieme dei fatti che precedettero e susseguirono, ed un complesso di criteri morali e politici capaci di stabilire il grado supremo dell'evidenza e della certezza.

Come, quando e dove furono adunque tenute trattative e stabiliti accordi con l'internazionale per parte degli accusati o della società politica cui essi hanno appartenuto?

Dopo ciò, è evidente che questo addebito non è che un mostruoso tentativo di diffamazione.

H. - Sulla falsa lettera al Cazzani, la citata Memoria degli Avvocati difensori osserva:

Ma vi ha, forse potrebbe rispondere il Pubblico Ministero, la lettera sottoscritta X … 22 diretta da Forlì al signor Pietro Cazzani, S. Vitale N. 4 Bologna, e che una perizia calligrafica giudicò scritta dal Fratti. Qui davvero dobbiam fare forza a noi stessi per usare quella moderazione di linguaggio che ci siamo imposti. Quella lettera, lo asseriamo con tutta la certezza di non poter essere smentiti, quella lettera non è vergata dalla mano di Antonio Fratti.

Non c'è d'uopo di perizia calligrafica per convincersene. Basta la semplice ispezione oculare. A parte il considerare che quella perizia è contraddetta da un'altra che trovasi al Vol. II. Pag. 53. 54. 55. bisognerebbe essere di una ingenuità preadamitica per non iscorgere a prima vista che si tratta di una lettera falsa, che, contro verità, si vuole attribuire al Fratti - lettera mancante persino del timbro postale. Un giovine della levatura, della coltura e dell'ingegno del Fratti, non scrive, nemmeno in istile simbolico, una lettera dalla quale non sappiamo se risulti viemmeglio l'ignoranza o la stupidità di chi la scriveva. Ma perchè il signor Giudice Istruttore non si è data la pena di esaminare il sig. Pietro Cazzani? Chi è costui? Quali sono i suoi principii politici, perchè immune da qualsiasi procedura, se consapevole e complice del reato? Perchè l'Istruttore non fece ricerca del famoso telegramma annunziante l'arresto del numero 209? Perchè non si produsse in atti l'interrogatorio del Cazzani e l'atto di pretesa perquisizione eseguita nel suo domicilio? Per qual miracolo, infine, lo scrivente sapeva degli arresti di Villa Ruffi a Forlì il 2 e ne scriveva a Bologna, quando il fatto non fu noto a Rimini che la sera dello stesso giorno? Ma oramai troppo di ciò. Quando un'accusa è costretta a rivolgersi a simili elementi di prova, oh! bisogna ben dire che essa non ha un palmo di terreno solido su cui appoggiare il piede.

Lo stesso Cazzani poi, letto il passo che a lui si riferiva nell'ultima del Saffi ad Alberto Mario, scriveva a sua giustificazione all'autore della medesima la seguente lettera, la quale, mentre dimostra la lealtà del suo carattere, compie la storia del documento apocrifo, che sì tristamente figura fra gli espedienti politici del famigerato Processo di Villa Ruffi.

Illustre Patriota

Bologna 27 Gennajo 1875.

«Veggo la mia persona indicata, benchè con un errore di stampa, nella sua lettera ad Alberto Mario in data delli 10 corrente.»

«Quanto ivi Ella dice è la perfetta verità; ma stimo bene d'informar Lei ed il pubblico di alcune altre circostanze. Io pure credo apocrifa la lettera che portava il mio indirizzo, sottoscritta con una cifra a me del tutto nuova «x-22» dove seppi poscia che erano indicati in cifra il di Lei riverito nome, e quello di altri arrestati di Villa Ruffi; ma in tutte lettere ordinarie era indicato di far sparire « carte, registri, sopratutto materiale, e di avvertite Lugo, Ravenna ecc. ecc. » Portava la data del 2 Agosto, ma non è stata mai recapitata a me, eccetto che fui perquisito minutamente in casa il giorno 26 Agosto, e tradotto in arresto davanti alla Questura, ed ivi mi fu mostrata la lettera in questione, della quale io non sapeva nulla di nulla. Fui messo in libertà dopo sei ore.

«Non ho l'onore di conoscere, altro che per fama, Lei ed i suoi principali amici politici; e tanto meno poi sono in rapporto coi Signori Internazionalisti; limitandomi a coltivare le relazioni de' miei antichi compagni d'armi nell'Esercito, e quelle di famiglia, e badando a fare il mio dovere, come impiegato privato.»

«Me le protesto con distinta stima

Suo Dev.mo

Pietro Cazzani.

All'Ill.mo

Sig. Conte Aurelio Saffi

Forlì.

Alla lettera del Cazzani, il Saffi rispondeva colla seguente:

Pregiatissimo Signore

Forlì, 28 Gennajo 1875.

«Ricevo in questo momento la sua di ieri, e m'affretto a, renderle grazie d'avermi colla medesima procurato il piacere di conoscerla, e di confermare, colla sua testimonianza, quanto dissi, nell'ultima mia ad Alberto Mario, intorno allo scritto apocrifo diretto al suo nome. Se Ella me ne dà facoltà, la sua comunicazione sarà da me aggiunta ai documenti, che si stamperanno in apposito Opuscolo colle mie lettere a Mario.»

«M'è poi grato ch'Ella m'abbia informato di circostanze, che onorano il suo carattere, e che m'erano al tutto ignote, com'Ella avrà potuto desumere dalle mie parole sul particolare che la concerne. Accolga i sinceri sensi della mia stima, e mi creda»

Suo Dev.mo

A Saffi.

«D. S. Il suo silenzio

mi varrà d'adesione al proposito

di pubblicare la sua lettera.»

I. - È noto come, rispondendo all'Interpellanza del Deputato Cairoli, i ministri dell'Interno e di Grazia e Giustizia, disarmati d'ogni argomento di sincera difesa dall'evidenza de' fatti, dai risultamenti del Processo e dal giudizio dell'opinione pubblica, ricorressero ad espedienti di effetto politico, onde procacciarsi dalla maggioranza della Camera un voto di favore, non curando che voto sì fatto, mentre assolveva i ministri, feriva profondamente la Verità, la Giustizia e il dovere dell'ufficio virtualmente commesso, nel sistema rappresentativo, ai mandatarii del paese.

Il ministro dell'Interno non si peritò di rialzare dinanzi agli occhi de' Deputati, sul tristo fondo dei sospetti e delle menzogne delle polizie, il fantasma di una cospirazione incipiente, prevenuta in tempo dalla sua previdenza. Il ministro Guardasigilli fece appello alle passioni di parte, qualificando l'interpellanza un atto di simpatia e d'incoraggiamento ai repubblicani. L'opposizione, moralmente vittoriosa, fu sopraffatta dal numero de' ministeriali della giornata.

Essa adempì nobilmente il suo dovere verso i principii e il paese, combattendo con onesta coscienza per la causa della giustizia: causa, le cui sorti non dipendono da passeggeri arbitrii di governi e di parlamenti, ma dal progresso della ragione e della civiltà de' popoli, ai quali gli errori di chi regge sono ammaestramento e stimolo ad avanzare nel moto.

Non potendo, per difetto di spazio, riprodurre poi tutti i discorsi dei deputati, che presero parte all'interpellanza, ci limitiamo a dare alcuni estratti della replica dell'egregio Cairoli ai ministri, del discorso dell'illustre Deputato Mancini e di una notevole protesta del deputato Miceli sugli arresti di Rimini, a proposito dell'ingerenza governativa nette elezioni; - e cominciamo dalle parole del Miceli come da testimonianza, che conferma e avvalora quanto fu detto intorno allo scopo della riunione di Villa Ruffi.

Tornata del 12 Febbraio 1875.

Miceli … Signori, da qualche mese a questa parte in Italia sono avvenuti dei fatti che vittoriosamente sostengono il paragone con quelli dell'impero!

Avete voi così presto dimenticato Villa Ruffi? (Oh! ohi a destra ) .

Basta ricordare quell'attentato per convincersi come in queste elezioni si è cominciato dal delitto, e finito col pubblico scandalo e con le universali proteste ( Rumori a destra )

Sì, o signori, non mormorate, quando io vi cito Villa Ruffi come il primo atto di pressione per iscopo elettorale. Io sono competente a parlare di questo fatto più di qualunque altro in quest'Aula; perchè, ve lo confesso, io era uno degli invitati a quella riunione, e so, o signori, qual era il programma, quali erano gli uomini, quali erano i loro intendimenti; e so quindi che quegli arresti furono una violenza ingiustificabile ( segni di dissenso a destra ) , che non vi era nè poteva esservi nessun indizio di reato, e quindi nessuna possibilità della asserita flagranza. Allora si volle intimidire il paese, destare sospetti contro la sinistra, parlamentare, perchè erano imminenti le elezioni!

Sì, o signori, fino dal gennaio 1874, a San Varano, in casa di Aurelio Saffi, presenti molti di coloro che poi furono con lui arrestati, si stabilì il programma di una riunione da tenersi in vista delle elezioni generali, e questo programma, o signori, l'assicuro sul mio onore, conteneva solo questi tre articoli:

1° Il contegno che dovesse tenere il partito democratico nelle elezioni;

2° Provvedere ai mezzi per dar vita ad un Giornale che fosse l'organo del partito;

3° ed ultimo, trovare i mezzi più acconci perchè il partito democratico non avesse nulla di comune con l'Internazionale. (Bene! a sinistra ) .

Ebbene, gli arresti di Villa Ruffi furono fatti sotto l'imputazione di connivenza con gli Internazionalisti e con la falsa asserzione di prevenire un movimento repubblicano. Tutte queste accuse caddero, ed io dichiaro solennemente, perchè ho la coscienza di poterlo dichiarare, che tutte queste accuse non furono che mere calunnie, e che coloro i quali accusarono, sapendo di non averne alcuna ragione, dovettero servire ad un disegno molto importante per compiere quel fatto che profondamente commosse il paese.

Signori, chi non vede che quella fu la gran messa in scena delle operazioni elettorali? che quello fu il mezzo per atterrire il corpo elettorale italiano, affinchè, invece di nominare uomini dell'opposizione, avesse nominato uomini di destra?

Il ministro conosceva il gran malcontento del pubblico contro il partito dominante, e per demolire gli avversari, credè utile di mostrare in azione una formidabile congiura.

Non esitò quindi di arrischiarsi a passi troppo pericolosi. Egli ebbe il coraggio di annunziare all'Europa cose che non avevano il minimo fondamento, ossia l'imminenza di una insurrezione repubblicana, coalizzata con una insurrezione internazionale; scellerate calunnie contro uomini notissimi in Italia. (Benissimo! a sinistra - Rumori a destra ) . Sì, scellerate calunnie, E lo dico anche a mia difesa, perchè io mi sento solidale di ciò che facevano gli arrestati a Villa Ruffi, perchè il programma di quella riunione ci era comune ...

REPLICA DEL DEPUTATO CAIROLI.

Tornata del 23 Gennajo 1875.

Cairoli …Dirò all'onorevole ministro, che devoto io al dovere ed alla libertà, ritengo, che questa debba essere fondata sulla legge.

Credo pure che l'autorità della legge debba essere sopratutto consigliata e raccomandata, non solo colle parole, ma cogli atti da coloro che ne hanno il deposito. ( Bravo! ) ...

Ora, avendo la convinzione ed avendo date le prove che arbitrii furono commessi, se ho fatto poco nella vita mia, ho la soddisfazione di avere oggi compiuto un dovere (Benissimo! Bravo! a sinistra )…..

Io l'assicuro che non ho perorato per un partito, ma per la legge; e che qualunque partito fosse stato offeso, noi saremmo venuti qui a difenderlo. (Bravo! a sinistra ) .

Dico di più: che comprendo la responsabilità del Governo; comprendo che per gli alti interessi che gli sono affidati, e per lo scrupolo del dovere, esso sia severo e sospettoso contro i partiti che hanno fatta una dichiarazione di principii contrari all'attuale ordine di cose; ma ciò che noi domandiamo è che quella severità sia conforme alle norme della giustizia….

Ora, perchè sento il dovere di difendere quelli contro cui furono lanciate le più ingiuste accuse, vediamo un po' questa imparzialità nel confronto. Vi è un partito che rinnega il sentimento nazionale, che corteggia lo straniero, che lo chiamerebbe, potendo, in suo soccorso; è ribelle e vi denuncia apertamente le sue ostilità……. Ebbene, a questo partito è lasciata la piena manifestazione dell'odio; la libera violenza di frasi minacciose, di guerra ad oltranza ...

Nè io lamento nemmeno l'eccessiva libertà delle manifestazioni; ma vediamo come nel confronto a questo partito, che vorrebbe ricondurci al passato, alla classica politica del medio evo, sia trattato quello che ha il programma dell'avvenire. Esso, con una linea di condotta opposta a quella dei clericali, ha dato continue prove di abnegazione; comprendendo che il concetto di Dante e di Machiavelli imponeva il sacrificio momentaneo di ogni altra convinzione, si è confuso nelle file degli unitarii, ha combattuto sotto la loro bandiera, e fu anzi antesignano nei giorni delle battaglie nazionali, per tornare, dopo il trionfo, al suo modesto e pacifico apostolato.

Ora, contro questo partito, che ha combattuto per costituire la patria, i rigori fino all'arbitrio; per quello che ha combattuto, e combatterebbe per distruggerla, la libertà fino alla licenza.

Questo strano riscontro fu messo in rilievo da un giornale autorevolissimo straniero, dalla Neue freie Presse di Vienna, la quale osservava al Governo italiano, che l'essere indulgente fino ad una debolezza colpevole coi più aperti nemici della patria e severo coi radicali, ma che però hanno tanto operato per il trionfo dell'idea nazionale, è un tagliare nella propria carne.

Ma io vi dico: siate severi, siate vigilanti, ma sempre dentro la legge, giacchè quando vietate ad un partito il terreno pacifico della discussione lo spingete nel segreto delle cospirazioni. (Benissimo! a sinistra ) .

Il sistema delle persecuzioni creerebbe un partito repubblicano quando non esistesse, e gli darebbe la potenza del martirio, quando anche non avesse la forza del numero. Coloro dunque che offendono la legge cogli arbitrii, ed il prestigio delle istituzioni cogli abusi di potere, sono i demolitori della monarchia. Perchè le persecuzioni eccitano gli animi, ma non arrestano le idee….

I signori ministri per difendersi hanno ripetuto la requisitoria fiscale sconfitta dalla sentenza…

Non voglio entrare nel dedalo di denuncie retrospettive, il di cui lungo esame fruttò agli arrestati cinque mesi di carcere, ed alla magistratura i rimproveri perfino di giornali ufficiosi, perchè farei perdere un tempo prezioso alla Camera, e smarrirei la via, col pericolo di perdere di vista lo scopo di questa interpellanza, che deve stare al disopra di tutte le considerazioni di partito.

Ma anche volendo entrare nei considerandi della sentenza, credo che non si possano dedurre le conclusioni degli onorevoli ministri dell'interno e di grazia e giustizia, che cioè l'autorità avesse sufficienti indizi per colpire, e quindi fossero legittime le apprensioni, gli atti compiuti. Ma da quei considerandi che cosa risulta? Che Aurelio Saffi ed i suoi compagni furono processati per avere appartenuto ad associazioni di antica data, per un patto votato in Roma nel 1872, per una intenzione di armamenti che si riferiva ad una cooperazione prima dell'occupazione di Roma, ed infine per un apostolato del quale non hanno fatto mai mistero.

Si rileva che mentre l'accordo col partito internazionale è smentito dagli atti, dai principii, dalle loro polemiche, lo si volle fabbricare sulle denunzie e confermare su di una lettera anonima, pervenuta non si sa come alla questura, e che non aveva valore nè per la sua origine, nè per la contradditoria prova calligrafica….

L'onorevole ministro ha detto che vi sono uomini eminenti, i quali per la illibatezza del loro carattere meritavano le attestazioni date loro da me e da quanti pregiano il carattere; ma sono appunto questi uomini che egli ha fatto arrestare allora, ed accusa oggi. La loro vita, come quella di Aurelio Saffi, è un libro aperto a tutti, è la cospirazione che non si può colpire, la cospirazione palese e fatta coll'apostolato delle idee.

Ora usciamo dal laberinto delle ipotetiche accuse e veniamo alle violazioni evidenti per le quali sarebbe stata conveniente una interpellanza anche quando il processo avesse avuto un esito favorevole all'accusa.        

Come furono giustificate dagli onorevoli ministri? Taccio del pessimo arbitrio, dell'arresto senza mandato, perchè su di esso parleranno altri diffusamente; solo osservo che non si può capire la flagranza di un reato che non esiste, la di cui ipotesi fu distrutta dalla sentenza del tribunale…..

In quanto ai cattivi trattamenti, quelle censure, quel dispiacere che egli stesso ha espresso, provano come fossero crudeli e come, naturale la commozione pubblica…..

Ritenendo dunque che gli arbitrii sono gravi e che non furono in alcun modo giustificati, ritenendo che il Governo ha il diritto di vigilare su tutti i partiti, ma sempre colla legge; ricordando le parole che pronunciava in una memorabile seduta l'onorevole Massari, che cioè «la giustizia c'è per tutti, e quando la libertà è violata a danno di uno, non gli domando la sua fede politica per assumerne il patrocinio;» considerando che non è questa una questione di partito, e che anzi tutti i partiti debbono sentirsi solidali nelle offese fatte alla libertà, e ricordare che le ingiustizie preparano le rappresaglie, io presento il seguente ordine del giorno che, più che atto di opposizione al Ministero, lo è di adesione alla legge.

«La Camera, considerando che la libertà individuale e l'inviolabilità del domicilio garantite dallo Statuto furono offese dagli arresti di Villa Ruffi, passa all'ordine del giorno.»

DISCORSO DEL DEPUTATO MANCINI.

Tornata del 25 Gennajo 1875.

Mancini …. La Legge non riconosce che due soli casi e modi d'arresto: il caso in cui, istruendosi un processo, l'autorità giudiziaria, si badi bene, non l'autorità politica, spedisca l'ordine d'arresto, cioè un mandato di cattura, ed il caso dell'arresto in istato di flagranza di reato…..

Ora, signori, nel caso attuale, esiste mandato di cattura? È fuor di dubbio che no. L'autorità, giudiziaria non ebbe mai contezza che vi fosse un processo di cospirazione; non fu mai, prima dell'arresto, invitata ad istruire, ad esaminare col suo occhio chiaroveggente tutte le prove od indizi di questa vera o pretesa cospirazione…..

Ma invece il ministro ed il prefetto un bel giorno, lasciata da parte l'incomoda invocazione dei magistrati, si avvisano di ordinare che 28 cittadini, venuti a fraterna riunione in Villa Ruffi, nella casa di un distinto gentiluomo e presidente della Camera di commercio, come in altri anni ed in altre occasioni avevano fatto, arrivati di pieno giorno, pubblicamente, senza l'ombra del mistero, e pei quali trovavansi anche apprestati gli apparecchi di un banchetto, solo perchè di opinioni repubblicane notorie, siano tutti arrestati.

Or bene, signori, non vogliate credere che io sia così schivo e poco curante del supremo interesse della sicurezza dello Stato e della stabilità dei suoi ordini politici, da condannare a priori, senza discussione, un fatto somigliante.

Solo io dico che il fatto è così grave, così straordinario, che gli autori di un tale ordine dovettero assumerne la più stretta e rigorosa responsabilità, assumendo a loro rischio e carico di addurre in ogni tempo le prove, non solo della reale esistenza di un reato di cospirazione in flagrante ed attuale esecuzione, ma altresì del concorso di tali condizioni e caratteri di urgenza ad ordinare in quel tempo e luogo gli arresti anzidetti…..

Poichè l'arresto si ordinò e si eseguì senza alcun mandato di cattura, è naturale che oggi l'autorità politica non possa sostenere di avere esercitato un diritto e di avere proceduto legalmente. Bisognerebbe cancellare lo Statuto e le leggi; ovvero provarci che i 28 individui arrestati erano in flagranza di reato di cospirazione in quel luogo, in quell'istante medesimo, in cui il loro arresto avvenne.

Ebbene, o signori, dobbiamo ricercare in che consistano, nel concetto di tutti i criminalisti, il reato di cospirazione e lo stato di flagranza.

Non si dica che questa è una discussione di competenza dei tribunali, e che la Camera non deve invadere il campo ad essi affidato. Ben io vi dirò in qual senso debba rapidamente ciò discutere. Noi abbiamo bisogno di sapere quali ministri governino il regno d'Italia: mi accingo adunque non già a risolvere una controversia giudiziaria, bensì ad emettere un giudizio ed un apprezzamento politico….

Perchè, o signori, se io venissi a scoprire che l'Italia ha a capo della sua amministrazione un Ministero, il quale non facendosi un'idea esatta del reato di cospirazione, inclini a trattare le ombre come cosa salda, ed a scambiare con le cospirazioni codeste aspirazioni e tendenze, e con deplorabile facilità ponga la mano sopra i cittadini, anche sopra individualità onestissime e circondate in grado eminente dalla pubblica stima, le getti senza pietà nelle prigioni, le ponga nella necessità di dibattersi in lunghi procedimenti per la tutela del loro onore ed innocenza, e sparga nelle loro famiglie la desolazione, la rovina economica ed il turbamento; quando io mi convincessi con simile leggerezza disporsi di ciò che l'uomo di ha più importante, la libertà personale, io getterei un grido di salvezza, imperocchè mi parrebbe vedere snaturate e manomesse le libere istituzioni e la patria in pericolo….

Qui l'insigne Oratore entrava a determinare, con quell'ampiezza di dottrina giuridica, onde va celebrato fra gli odierni giureconsulti, gli elementi costitutivi del reato di cospirazione e i caratteri della flagranza, dimostrando come, nella fattispecie, non esistesse pur l'ombra di tale reato; indi proseguiva:

Mancava, nella specie dell'adunanza di Rimini, persino l'apparenza estrinseca di una cospirazione, a meno che non si voglia adoperare questa parola come il potrebbe un uomo volgare ed affatto ignorante del diritto e dei principii costituzionali che debbono reggere un libero Stato. Ma supponiamo, ciò che non è, cioè che concorressero gravi e molte circostanze per autorizzare il Governo a sostenere, almeno dalle apparenze, che non mancassero indizi e prove di tal fatto complesso da potersi legalmente definire una cospirazione. Ebbene, anche in questo caso il potere esecutivo non aveva altro diritto che quello di denunziare i fatti all'autorità giudiziaria, lasciandone ad essa il difficile apprezzamento, attendere che essa, dietro accurata inquisizione, decidesse la questione e pronunciasse, ove ne fosse bisogno la spedizione dei mandati di cattura. Ma così non si fece: il Ministero volle ordinare immediatamente l'arresto, ed oggi si tenta giustificare l'ordine come dato in flagranza del reato di cospirazione. Flagranza di cospirazione! Ma questo reato, già il dimostrammo, non può esistere se non quando già sono definitivamente stabiliti e da tutti accettati i mezzi e modi di esecuzione per rovesciare il Governo esistente, nè altro più resta, a deliberare.

Ora si può affermare che coloro i quali erano radunati in Villa Ruffi si trovassero in cotesta condizione?….

Quando voi avete, la prossimità delle elezioni generali, che non lasciano dubitare dello scopo vero e reale dell'adunanza, e conoscete il tenore dell'invito diretto ai congregati, e costoro riuniti avevano già cominciato a consegnare in un processo verbale l'oggetto del convegno e la questione messa in discussione come è possibile che voi possiate persuadere a chiunque ha fior di senno in Italia, che vi siete illusi, che, in buona fede ingannati, non avete voluto commettere un abuso d'autorità a danno della libertà individuale, un atto di arbitrio? Il vostro ardimento significa pur troppo che il potere esecutivo ha acquistato la pericolosa persuasione che in Italia non ha da rendere conto a nessuno di qualunque atto illegale che commetta, perchè i freni delle nostre istituzioni si sono rallentati, e disgraziatamente ogni giorno più precipitano nell'impotenza e nel discredito.

Non ci parlate adunque di flagranza…

È egli possibile che un ministro si presti agevolmente a credere, che si vada a cospirare in 28 persone in pieno giorno, arrivando per la strada ferrata, senza mistero, con lettere scritte di convocazione, e che si vada in una villa conosciuta, prima a discutere, poi a desinare, in libero contatto con molti e molti estranei? Ciò potrà illudere dei fanciulli!

Se il ministro dell'interno è dotato di così viva immaginazione da sospettare che uomini raccolti in un dato luogo con siffatte condizioni siano cospiratori, io prendo la fuga dall'Italia, perchè ho paura che qualunque onesto e tranquillo cittadino possa essere con simiglianti criteri sospettato ed arrestato….

E si badi, la sezione d'accusa, avendo proceduto oltre con eccessivo scrupolo, e con quella lentezza che rivelava il desiderio di raggiungere una prova qualsiasi, ha dovuto rimandar liberi gli arrestati con questa formola, sulla quale io mi permetto ancora di richiamare l'attenzione della Camera, cioè di non farsi luogo a procedere non già per insufficienza di prove, ma per insufficienza anche di semplici indizi!…

È dunque assolutamente impossibile scagionare il Ministero della immensa responsabilità incorsa per un fatto così grave, per un sì enorme abuso di autorità….

Quando, signori, io metto insieme questi ed altri fatti, non pochi della stessa natura, che non voglio enumerare, perchè intendo restringermi a ciò che io considero necessario per l'adempimento del dover mio; io sono, mio malgrado, costretto di conchiudere che mi trovo in faccia ad un Ministero, il cui programma è la vessazione e la persecuzione dei cittadini, il prendere a giuoco la libertà individuale, il ridurla a poco più di una vana parola.

Io credo che egli, così adoperando, commette una grande irriverenza meno alla parte politica dell'opposizione costituzionale, che verso coloro che seggono nella parte opposta della Camera; imperocchè è strano che si possa sino a questo segno fare a fidanza colla tolleranza, colla rilassatezza e colla scettica indifferenza di uomini politici, i quali vogliansi presumere, qualunque sia l'accusa, qualunque sia l'avvenimento che commova l'opinione pubblica in Italia, sempre pronti a far causa comune col Ministero, anche contro la legge, contro la giustizia, contro il paese ...

Chiudendo le mie parole, io chiedo: quali sono, o signori, i mezzi ai quali dovremo ricorrere per far cessare quest'ordine di cose, che a me pare spaventevole?….

I mezzi da adoperare saranno anzitutto di carattere legislativo. È necessità introdurre nelle leggi qualche garantia di più, non già per fare accordare la libertà provvisoria agli arrestati, ma per impedire gli arresti illegali ...

Il secondo rimedio sarà di provvedere meglio all'indipendenza della magistratura, introducendo efficaci garantie nel sistema delle promozioni e dei traslocamenti, ed operando una radicale trasformazione dell'istituto del pubblico Ministero, affinchè cessi di essere l'agente del Governo, e talvolta l'agente passivo, e restituendogli la dignitosa divisa di custode e rappresentante della legge.

In terzo luogo, è indispensabile che scompaiano una volta dalla nostra legislazione gli articoli 8 e 110 della legge comunale e provinciale, nei quali è la sorgente delle nostre sciagure. Questi articoli, copiati da un famoso testo della Costituzione francese dell'anno VIII, consacrano l'impunità sistematica di tutte le autorità politiche, allorchè docilmente eseguono le istruzioni di un Ministero più sollecito del proprio potere, che del pubblico bene….

Ma se questi sono i cangiamenti da operarsi con inevitabile lentezza nella legislazione, vi è un altro rimedio al presente stato di cose, il quale, o signori, è nelle vostre mani, e si può applicare fin da oggi. Pensate che se noi ci isoleremo dal sentimento pubblico del paese, se penseremo che basti contarci, e che dentro quest'Aula qualche deputato oltre la metà appoggi i ministri perchè il paese debba rimanerne persuaso e soddisfatto, noi ci esporremo ad una trista e deplorabile illusione.

Abbiamo veduto il paese, senza distinzione di partiti, commuoversi di questi arresti, e delle decisioni dell'autorità giudiziaria riguardanti gl'imputati di Villa Ruffi e di altri casi simili. Sarebbe vano il negarlo…..

Ebbene, o signori, vi è stata. presentata una mozione ben moderata e circospetta, invitandovi a dichiarare soltanto che laddove somiglianti fatti si rinnovassero, la libertà individuale in Italia non si potrebbe reputare garantita e rispettata.

Signori, approvando quest'ordine del giorno, voi oggi farete un primo passo, applicherete un primo rimedio al male, opporrete una diga al torrente invasore di abusi perniciosissimi, e forse ne impedirete il ritorno.

L'onorevole guardasigilli chiuse il suo discorso con una perorazione, alla quale parecchi oratori hanno risposto: egli voleva che l'onorevole Cairoli si facesse interpositore presso i repubblicani, acciò diventassero monarchici, e mutassero la loro fede. Ma, signori, io penso che il miglior modo di operare delle conversioni in favore della monarchia costituzionale è di tener alta la sua autorità, è precisamente quello di salvarla dagli abusi e dagli eccessi d'imprudenti reggitori della cosa pubblica.

Se invece screditerete le istituzioni costituzionali, mostrando al paese che si può tutto fare e tutto osare senza che abbiasi a temere nei giudizi del Parlamento un freno, quale ne sarà la conseguenza? Eh! signori, coloro che ne saranno più felici e contenti, saranno precisamente i repubblicani, perchè la maggioranza stessa di questa Camera col suo voto farebbe la più efficace propaganda repubblicana, se respingesse l'ordine del giorno proposto dal deputato Cairoli….

Deh! cominci per noi tutti un'èra nuova, divenga il voto d'oggi un pegno di pace e di concordia fra i partiti, produca l'obblio del passato, sì che da oggi in poi rinasca nell'Assemblea e nel Paese la fiducia reciproca e la persuasione, che al cospetto di vere e gravi violazioni dello Statuto, la giustizia non si fa aspettare senza riguardi personali e senza simpatie di parte.

Io mi rivolgo a tutti coloro che dividono questo sentimento; io li scongiuro in nome dell'Italia, in nome dalla libertà, di accettare l'ordine del giorno del mio amico Cairoli. ( Applausi dalla sinistra ).

L'ordine del giorno Cairoli cadde per 232 voti contro 121. Quella votazione fu, più ch'altra mai, segno e misura del valore delle libere istituzioni in Italia. Essa mise in evidenza la vanità delle guarentigie costituzionali, là dove le supreme salvaguardie della giustizia e della libertà contro gli arbitrii del potere sono affidate, non alla Legge, custodita ed applicata da una magistratura indipendente sotto gli auspicii di una forte opinione pubblica, ma al giudizio mutabile delle Rappresentanze politiche massime se il privilegio elettorale, le ingerenze governative e le passioni di parte cospirino ad impedire, a grado d'interessi particolari e di personali ambizioni, la sincera interpretazione de' principii, in onta alla coscienza stessa del Paese. Possano i mali esempii del presente sospingere gl'italiani a cose più degne nell'avvenire !

Di meliora….!

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