La disciplina

Da qualche tempo in qua i bolscevichi nostrani vanno ripetendo con maggiore insistenza lo stesso ritornello della necessità della dittatura per... mantenere la disciplina, senza la quale la rivoluzione fallirebbe di sicuro.

Fuori di dubbio in tempo di rivoluzione è assolutamente necessaria una disciplina di ferro per vincere e trionfare, e noi anarchici siamo i primi ad ammetterlo, a predicarlo e ad inculcarlo. Ma quale disciplina? Forse quella della caserma, dell’ovile, dell’inquisizione, del knut?

Neppure per sogno.

Quella disciplina lì non ha mai salvato né gli eserciti dalle fughe precipitose, né le nazioni dalle catastrofi, né i popoli dalle disfatte, né le rivoluzioni dallo sfacelo. Può anzi affermarsi senza esagerare alla stregua della storia che molto spesso la disciplina di tal genere va incontro a rapide e irreparabili sconfitte, conducendo i popoli a sicura rovina.

La disciplina di ferro autoritaria, spinta fino alle estreme conseguenze, salvò forse Sparta dal genio tumultuoso di Epaminonda? Salvò il regno goto, l’impero bizantino, l’impero persiano e tanti altri dal turbinìo delle libere schiere dei beduini? Salvò il rigidissimo dominio dei Borboni dall’impeto della ribelle falange garibaldina? Salvò la Prussia prima dagli eserciti improvvisati della rivoluzione francese e poi dagli eserciti non meno improvvisati dell’intesa?

Michele Amari, ministro della monarchia, nella prefazione all’edizione fiorentina de La guerra del Vespro Siciliano scrisse:

"E sovviemmi della semplicità del generale Maio, luogotenente generale in Sicilia, che sgridato dai suoi padroni per la pubblicazione del mio libro di che egli era innocentissimo, pensò di sfogare il dispetto sopra di me... col dir ch’erano falsi al certo i fatti narrati, perché il popolo non aveva mai vinti i soldati stanziali...

"Io risposi per le rime: che i tumulti si reprimono talvolta, ma né forza né disciplina di soldati mai valse contro una rivoluzione. E crederebbe, io soggiunsi, che questi granatieri, queste artiglierie (noi eravamo nel palagio reale di Palermo) sarebbero ostacolo al popolo di laggiù, se si levasse davvero, se corresse qui disperatamente, come fece il 31 marzo 1282, e spezzò queste porte; ed Erberto d’Orlèans ebbe a ventura di poter fuggire?

"Mi guardò costernato senza dire né sì né no; e dopo cinque anni (nel 1848) fuggiva di notte da quelle medesime stanze cinte di bastioni, rafforzate di un grosso presidio".

Ecco la disciplina che noi anarchici vogliamo! La disciplina volontaria, libera, cosciente, irresistibile, che condusse il popolo palermitano di vittoria in vittoria contro i formidabili eserciti di Carlo D’Angiò e dei Borboni; che animò il popolo parigino nella presa della Bastiglia; che compì le gesta delle Cinque Giornate di Milano, e mille e mille altri miracoli di cui è piena la storia.

Occorrono, sì, i condottieri tecnici liberamente scelti; ma non i padroni e i boia. La disciplina del knut più o meno cosacco, del bastone prussiano e del nodo scorsoio ciuccialista non ha fatto altro che tarpare le ali alla rivoluzione in ogni tempo e in ogni luogo.

Noi anarchici una disciplina di tal genere la combatteremo fino a spargere un mare di sangue, e non è detto che in ogni luogo si trovino mugicky da poter facilmente dominare,

Il barbaro

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