Il pozzo dei traditori

Se Dante risorgesse, io son sicuro ch'egli ritroverebbe tutto intiero nel pus il pozzo dei traditori del suo inferno. Certo ogni partito ha i suoi voltagabbana, i suoi rinnegati, i suoi disertori, e ne hanno avuto anche gli anarchici. Ma ciò che fra noi è l'eccezione, fra i socialisti è stato e continua ad essere la regola; talmenteché può dirsi senza esagerare che su cento capoccia socialisti novantanove finiscon sempre in un modo o nell’altro col tradire.

Date un’occhiata ai regi ministeri, che si son seguiti da molti anni in qua, e vi troverete quasi sempre l’immonda ghigna di qualche saltimbanco deformato.

Presentemente il ladro della Banca Romana ne tiene accanto due come principali strumenti della sua reazione: Arturo Capriola ed Ivanhoe Bonomi, di fronte a cui Bocca degli Abati, Ganellone di Maganza , Branca Doria e compagni farebbero la figura dei più onorati galantuomini.

Ma senza bisogno di rovistare nei ministeri borghesi, nelle pubbliche amministrazioni e negli uffici della questura, gettando uno sguardo nel partitone vi fa proprio l’effetto che lì dentro vaneggi il vero pozzo dei traditori.

Passateli in rassegna i capoccia, grandi e piccoli, e vedrete che non ce n’è uno che non abbia in modo qualsiasi tradito. Tutti rivoluzionarii violenti e incitanti alla violenza al loro inizio, tostoché conquistano uno stallo, una prebenda, una medaglietta, ammainano le vele rosse e si danno al quieto vivere, rinnegando il passato e abbandonando la ciurmaglia al suo destino di pecorume da tosare e da scannare. Molti come Andrea Costa, Pagnacca Serrati, il Trampolino , il Bentini ecc. cominciarono addirittura coll’anarchismo; ma poiché l’anarchismo non offriva né canonicati, né mangiatoie, né pulpiti, né pastorali, si affrettarono ad abbandonarlo per entrare nel pozzo dei traditori, dove, a differenza del dantesco, invece di ghiaccio e stridore di denti, si trova ogni ben di dio.

La loro mira costante è quella di restare sempre a galla, anche quando l’intera baracca proletaria va a fondo; tanto che oggi voi li vedete imprecare alla violenza, dichiararsi uomini d’ordine, professarsi evoluzionisti, volteggiare, goffamente e codardamente attorno a Giovanni Giolitti, piegare l’immondo groppone e l’ebete faccia a tutti i calci e a tutti gli sputi pur di conservare la medaglietta e la mangiatoia, e ciò mentre sulle loro mandre tesserate passa come un nembo sterminatore il fascismo.

Per la stessa ragione allo scoppio della rivoluzione russa erano tutti senz’alcuna eccezione bolscevichi furibondi, esaltatori del bolscevismo, giullari di Nicola Lenin. Oggi invece tutti fanno a gara nello scomunicare la rivoluzione russa e nel fare eco alle denigrazioni borghesi; tutti rinnegano il verbo del Lenin e arzigogolano sopra un marxismo pagnottificato a loro uso e consumo.

Tutti si affollano scamiciati nelle loro tesserate congreghe, tutti si presentano colla bava rossa alla bocca e coi capelli arruffati davanti alle urne: villani ambiziosi che puzzano d’aglio e di cipolla, pidocchi affamati, azzeccagarbugli tribunizii, studentuoli cialtroni, sudiciumi di ventura, cavalieri d’industria analfabeti. Ma appena hanno carpito lo stallo e la prebenda subito si ricompongono nella livrea evoluzionista di Tartufo e assumono aria diplomatica. E allora succede quel che successe a Milano, dove il Ministro Salandra all’inizio della guerra pronunziò il suo gran discorso cristiano-feudale stando in mezzo al sindaco socialista e al cattolico arcivescovo, e dove ultimamente il nuovo sindaco massimalista manifestò pubblicamente il suo vivo dolore bolscevico per la scomparsa del cardinale della santa romana forca. Allora assistiamo allo spettacolo di Frizzi, dove il municipio ciuccialista in pompa magna e in mezzo ai vessilli tricolori prende parte ai funerali d’un carabiniere e di quel Silvestro Cristina che l' Avanti! (Indietro!) o la Dittatura Proletaria, se mal non ricordo, avevano accusato come complice negli assassinii di Giuseppe Rumore e di Cola Alongi.

La loro vigliaccheria è tale da non trovare riscontro neppure nel coniglio, il quale se non altro conosce a meraviglia l’arte di fuggire e di scampare alla morte colla corsa fulminea. Essi somigliano piuttosto a quei cani da pagliaio che quotidianamente prendono legnate, se le scuotono e poi vanno a leccare le mani che li hanno bastonati. E si deve appunto alla loro inaudita codardia se oggi qualsiasi atto eroico compiuto da un tesserato, come quello della caserma delle guardie regie di Torino, è subito sconfessato e relegato dall'Avanti! (Indietro!) nella delinquenza della galera o nella degenerazione del manicomio. Ciò non toglie però che quando fa bel tempo e quando la loro barcaccia ha il vento in poppa, essi prendano l’aria di conquistatori e di dominatori camorristi, altezzosi, intolleranti fino al punto di metter fuori decreti come quello della sezione rivoluzionaria (?!) socialista del Camerone Confederale di Napoli: "Ritenendo gli anarchici degli avversari non da meno dei pipilari, si credono in diritto di negar loro, oggi e sempre, la chiesta Camera del Lavoro e di non tollerare più che gli anarchici prendano la parola nei comizii che saranno indetti dai socialisti".

Sennonché hanno sempre fatto i conti senza l’oste anarchico, che ha trattato la loro arroganza col bastone. E dire intanto che ci sono tuttora non pochi anarchici, i quali vorrebbero correre in difesa di siffatti mascalzoni, che basiscono umilmente e pietosamente sotto la sferza dei fascisti. E dire che numerosi armenti proletarii continuano a gettarsi a capofitto, come i montoni di Panurgo, dentro il pozzo nero per correre dietro ad un'abietta e infame geldra d' arruffoni che li inganna, li sfrutta, li tradisce, li vende al nemico.

Fino a quando?

Paolo Schicchi

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