Come essenza in sé del nostro corpo, come ciò che questo corpo è, oltre all'esser oggetto di intuizione o rappresentazione, si palesa la volontà primamente, secondo s'è detto, nei movimenti volontari del corpo medesimo, in quanto questi non sono altro che la visibilità dei singoli atti volitivi.
Con tali atti, i movimenti si producono in diretta e immediata concomitanza, formando un tutto unico; distinti da quelli solo nella forma di conoscibilità in cui sono passati, diventando rappresentazione. Codesti atti della volontà hanno sempre un principio fuori di se stessi, nei motivi. Questi tuttavia non determinano se non ciò che io voglio in un dato tempo, in un dato luogo, in date circostanze: non il fatto generico del mio volere, né ciò che io genericamente voglio, ossia la massima a cui s'impronta tutto il mio volere. Quindi il mio volere non si può spiegare in tutta la sua essenza coi motivi; ma questi determinano soltanto la sua manifestazione in un dato momento, sono la semplice occasione, in cui la mia volontà si manifesta. Essa rimane nondimeno fuor del dominio assegnato alla legge di motivazione: solo il suo rivelarsi in ciascun istante è determinato necessariamente da quest'ultima. Esclusivamente con la premessa del mio carattere empirico il motivo è una spiegazione sufficiente della mia condotta: ma s'io faccio astrazione dal mio carattere, e poi domando perché io voglio questa cosa e non quell'altra, nessuna risposta è possibile; appunto perché soltanto il fenomeno della volontà è sottomesso al principio di ragione, e non la volontà stessa, che sotto questo rispetto può dirsi non abbia ragione. Qui da una parte presuppongo nota la dottrina kantiana del carattere empirico ed intelligibile, come anche il chiarimento ch'io ne diedi nei miei Problemi fondamentali dell'etica, pp. 48-58, e p. 178 sgg. della prima edizione; per altra parte avremo a discorrere ampiamente di ciò nel quarto libro. Per ora ho solo richiamato l'attenzione sul fatto, che l'essere un fenomeno fondato sull'altro (in questo caso dunque l'azione sul motivo) non esclude punto che la sua essenza sia, in sé, volontà; la quale non ha alla sua volta nessun fondamento, perché il principio di ragione in tutte le sue applicazioni è semplice forma della conoscenza, ed estende la sua validità alla sola rappresentazione, ch'è il fenomeno, la visibilità del volere, ma non al volere medesimo, che diventa visibile.
Ora, se ogni azione del mio corpo è fenomeno di un atto volitivo, nel quale, in seguito a determinati motivi, si riflette la mia volontà genericamente ed in complesso, ossia il mio carattere; dev'esser anche condizione e premessa immancabile d'ogni azione un fenomeno della volontà. Imperocché il fenomeno della volontà non può dipendere da qualche cosa che non esista direttamente e per solo mezzo di lei, che sia rispetto a lei dovuto al solo caso, sì che diverrebbe semplicemente casuale anche il fenomeno stesso: ma quella condizione è il corpo intero. Il corpo deve dunque già essere fenomeno della volontà, e comportarsi di fronte alla mia volontà generica, – ossia al mio carattere intelligibile, del quale è fenomeno nel tempo il mio carattere empirico – come la singola azione del corpo si comporta di fronte al singolo atto della volontà. Dunque, non deve tutto il corpo essere altro che la mia volontà, diventata visibile; dev'essere la mia volontà stessa, in quanto questa è oggetto intuitivo, rappresentazione della prima classe. Come conferma di ciò, fu già osservato che ogni impressione ricevuta dal nostro corpo eccita istantaneamente e direttamente anche la nostra volontà, e sotto questo rispetto si chiama dolore o piacere; oppure, in un grado inferiore, sensazione piacevole o spiacevole. E fu anche osservato che, viceversa, ogni moto violento della volontà, affetto e passione, scuote il corpo e turba l'andamento delle sue funzioni. Si può, è vero, spiegare etiologicamente (sia pure in maniera assai incompleta) la nascita, e, un po' meglio, lo sviluppo e la conservazione del corpo; tale è il compito della fisiologia. Ma questa risolve il suo problema, così come i motivi spiegano la condotta. Quindi, come la spiegazione dei singoli atti mediante il motivo, e il necessario derivar di quelli da questo, non contrastano col fatto che l'azione in genere e nella sua essenza è fenomeno di una volontà, in se stessa priva di spiegazione; così la spiegazione fisiologica delle funzioni corporee non reca nocumento alla verità filosofica, per cui l'intera esistenza del corpo e la serie compiuta delle sue funzioni è soltanto l'obiettivazione di quella volontà appunto, che appare determinata da motivi nelle azioni esterne del corpo medesimo. La fisiologia si studia bensì di far risalire a cause proprie dell'organismo codeste azioni esterne, i moti direttamente volontari; – spiegar per esempio il movimento dei muscoli con un afflusso di succhi («come la contrazione d'una corda inumidita», dice Reil, nel suo Archivio di fisiologia, vol. VI, p. 153) – ma, pur concedendo che si venisse davvero a una radicale spiegazione di tal sorta, questa non escluderebbe mai la verità direttamente certa, che ogni moto volontario ( functiones animales ) è fenomeno di un atto volitivo. Nello stesso modo la spiegazione fisiologica della vita vegetativa ( functiones naturales, vitales ) , per quanto si possa spingere avanti, non perverrà a cancellare la verità, che quest'intera vita animale, così come si svolge, è fenomeno della volontà. In genere, com'è spiegato più sopra, qualsiasi spiegazione etiologica non può darci altro che il punto, necessariamente determinato nel tempo e nello spazio, d'ogni singolo fenomeno, e il suo necessario prodursi in quel punto secondo una regola fissa: ma l'intima essenza d'ogni fenomeno rimane per questa via sempre imperscrutabile, venendo presupposta da ciascuna spiegazione etiologica, e semplicemente designata col nome di forza, o legge naturale, o, se si tratta d'azioni, carattere, volontà. Sebbene adunque ogni singola azione, essendo presupposto un determinato carattere, si svolga necessariamente secondo i motivi presentatisi, e sebbene lo sviluppo, il processo nutritivo, e tutte le modificazioni della vita animale avvengano secondo cause (stimoli) necessariamente operanti; nondimeno la serie compiuta delle azioni (quindi anche ogni azione singola, e così la condizione di queste, ossia tutto il corpo medesimo che le compie; e per conseguenza anche il processo, pel quale e nel quale il corpo sussiste) non è altro che il fenomeno della volontà, l'estrinsecazione visibile, l'obiettità della volontà. Su questo fatto poggia la piena concordanza del corpo umano ed animale con l'umana ed animale volontà; somigliante a quella – pur sopravanzandola di molto – che uno strumento costruito per un certo scopo ha con la volontà del costruttore; e perciò apparendoci come finalità, ossia spiegabilità ideologica del corpo. Le parti del corpo debbono quindi corrisponder perfettamente ai bisogni principali, in cui la volontà si manifesta, debbono essere la visibile espressione di quelli: denti, esofago e canale intestinale sono la fame oggettivata; i genitali, l'istinto sessuale oggettivato; le mani prensili, i piedi veloci corrispondono al già più mediato bisogno della volontà, che mani e piedi rappresentano. Come la general forma umana alla general volontà umana, così alla volontà individualmente modificata, al carattere dell'individuo singolo corrisponde la forma individuale del corpo; la quale è perciò nel suo complesso, come in ciascuna parte, caratteristica ed espressiva. È assai notevole che già Parmenide l'abbia detto, nei seguenti versi citati da Aristotele ( Metaph. III, 5).
Ως γαρ ἑκαστος εχει κρασιν μελεων πολυκαμπτων,
Τως νοος ανθρωποισι παρεστηκεν ˙ το γαρ αυτο
Εστιν, ὁπερ φρονεει, μελεων φυσις ανθρψποισι,
Και πασιν και παντι ˙ το γαρ πλεον εστι νοημα.
(Ut enim cuique complexio membrorum flexibilium se habet, ita mens hominibus adest: idem namque est, quod sapit, membrorum natura hominibus, et omnibus et omni: quod enim plus est, intelligentia est.).