Se nel primo libro, con intima riluttanza, dichiaravamo il nostro proprio corpo esser pura intuizione del soggetto conoscente, come tutti gli altri oggetti di questo mondo intuitivo, ormai ci si è fatto chiaro ciò che nella coscienza di ciascuno distingue la rappresentazione del proprio corpo da ogni altra, pel resto simile a quella. Ossia, che il corpo si presenta alla coscienza anche in tutt'altra maniera, toto genere diversa, la quale viene indicata con la parola volontà, e che questa doppia conoscenza, che abbiamo del nostro corpo, ci dà sopra di esso, sopra il suo operare e muoversi in seguito a motivi, come anche sul suo risentirsi dell'azione esterna – in una parola, sopra ciò ch'esso è, non in quanto rappresentazione, ma in se stesso – quella luce, che non possiamo avere immediatamente sull'essenza, l'attività, l'impressionabilità di tutti gli altri oggetti reali.
Il soggetto conoscente è appunto un individuo per questa speciale relazione con un corpo, il quale, considerato fuori di tal relazione, non è che una rappresentazione eguale a tutte le altre. Ma la relazione, in virtù della quale il soggetto conoscente è individuo, appunto perciò sussiste unicamente fra lui e una sola di tutte le sue rappresentazioni. Di questa sola egli è quindi conscio non semplicemente come d'una rappresentazione, bensì in pari tempo anche in tutt'altro modo, ossia come d'una volontà. Ma, se si astrae da quella speciale relazione, da quella duplice ed eterogenea conoscenza di un tutto uno ed identico, – essendo quell'uno, il corpo, una rappresentazione eguale a tutte le altre – l'individuo conoscente, per orientarsi a questo proposito, deve ammettere che l'elemento distintivo di quell'unica rappresentazione stia esclusivamente nel fatto, che la conoscenza, ch'egli ne ha, si trovi in codesta duplice relazione con quella rappresentazione sola, e che solo di quest'unico oggetto intuitivo egli possa aver nozione in due modi; ma che ciò non va spiegato con la differenza di tale oggetto da tutti gli altri, bensì con una differenza della relazione esistente tra la sua conoscenza e quest'unico oggetto, da quella ch'essa ha con tutti gli altri. Oppure, deve ammettere che quest'unico oggetto sia essenzialmente diverso da tutti gli altri, solo fra tutti sia contemporaneamente volontà e rappresentazione; e gli altri, invece, semplice rappresentazione, ossia puri fantasmi; che il suo corpo adunque sia l'unico individuo reale nel mondo, ossia l'unico fenomeno di volontà e l'unico oggetto immediato del soggetto. Che gli altri oggetti, considerati come semplici rappresentazioni, siano eguali al nostro corpo, ossia come questo riempiano lo spazio (che anch'esso esiste solo in possibilità come rappresentazione), e come questo operino nello spazio, si può dimostrare con tutta certezza con la legge di causalità, che per le rappresentazioni è certa a priori. Questa non ammette effetto senza causa. Ma, prescindendo dal fatto che dall'effetto si può risalire solo ad una causa in genere, e non ad una causa eguale, qui si è sempre nel dominio della pura rappresentazione, sol per la quale vige la legge della causalità, né si può andare oltre. Se poi gli oggetti noti all'individuo come semplici rappresentazioni siano tuttavia, come il suo proprio corpo, fenomeni d'una volontà; questo è, come già fu detto nel libro precedente, il vero senso della quistione intorno alla realtà del mondo esterno. Negare ciò, è seguire il pensiero dell'egoismo teoretico, che appunto per questo ritiene fantasmi tutti i fenomeni, eccettuato il proprio individuo, precisamente come fa, sotto il rispetto pratico, l'egoismo pratico; il quale considera e tratta la persona propria come la sola persona reale, e tutte le altre come puri fantasmi. L'egoismo teorico non si potrà mai confutare con prove: tuttavia filosoficamente non è di certo altro che un sofisma scettico, ossia dedotto per pura apparenza. Come convinzione seria, lo si potrebbe trovare soltanto al manicomio; dove a combatterlo non occorrerebbe tanto una prova quanto una cura. Per questo non ci indugiamo ancora a trattarne, ma lo consideriamo unicamente come l'ultima fortezza dello scetticismo, che è sempre polemico. Ora adunque, se la nostra conoscenza, sempre legata all'individualità e perciò stesso limitata, reca con sé la necessità che ogni individuo sia bensì uno, ma possa tutto il resto conoscere (la qual limitazione appunto fa sorgere il bisogno della filosofia); noi, che appunto perciò ci sforziamo d'allargar mediante la filosofia i limiti della nostra conoscenza, considereremo l'argomento dell'egoismo scettico, che qui ci si oppone, come una piccola fortezza di confine, la quale è per sempre inespugnabile, ma il cui presidio non ha modo d'uscirne, sì che si può passarle davanti e senza pericolo lasciarsela alle spalle.
La doppia conoscenza, ormai assurta a chiarezza, e raggiunta in due modi affatto eterogenei, che noi abbiamo dell'essenza e dell'attività del nostro corpo, ci servirà d'ora innanzi come una chiave per aprirci l'essenza d'ogni fenomeno nella natura; e sull'analogia del nostro corpo giudicar tutti gli oggetti, che non come quel corpo, ossia non in duplice modo, ma soltanto come rappresentazioni sono dati alla nostra coscienza; e quindi ammettere, che com'essi da un lato, a mo' del corpo, sono rappresentazioni, e perciò della stessa sua natura, così d'altra parte quel che rimane, quando si metta in disparte il loro essere in quanto rappresentazioni del soggetto, sia nella sua intima essenza identico a ciò che in noi stessi chiamiamo volontà. Invero, quale altra specie d'esistenza o di realtà dovremmo attribuire al rimanente mondo corporeo? donde prender gli elementi, coi quali metterlo insieme? All'infuori di volontà e rappresentazione, nient'altro conosciamo, né possiamo pensare. Se al mondo reale, che esiste immediatamente sol nella nostra rappresentazione, vogliamo attribuire la massima realtà a noi nota, gli diamo la realtà, che per ciascuno di noi ha il suo proprio corpo: poiché questo è per ciascuno quanto v'è di più reale. Ma se poi analizziamo la realtà di questo corpo e delle sue azioni, all'infuori del fatto d'essere nostra rappresentazione, non altro vi troviamo che la volontà: e con ciò viene ad essere esaurita la sua realtà. Non possiamo quindi trovare in niun luogo una realtà differente per attribuirla al mondo corporeo. Se il mondo corporeo adunque dev'essere qualcosa di più che nostra semplice rappresentazione, dobbiamo dire ch'esso, oltre che rappresentazione, e quindi in se medesimo e nella sua più intima essenza, è ciò che troviamo direttamente in noi stessi come volontà. Io dico, nella sua più intima essenza: ma codesta essenza della volontà dobbiamo prima conoscerla meglio, per saper distinguere ciò che appartiene a lei da ciò che già spetta al suo fenomeno nei vari gradi di esso. Così, per esempio, l'essere in compagnia della conoscenza e il relativo agir per determinazione di motivi non appartiene, come vedremo in seguito, all'essenza della volontà, bensì semplicemente al suo fenomeno visibile in quanto uomo o animale. Se io quindi dirò: la forza, che fa cadere a terra la pietra, nella sua essenza, in sé, e fuori d'ogni rappresentazione, è volontà; non si attribuirà a quest'affermazione l'insano significato, che la pietra si muova secondo un motivo conosciuto, perché nell'uomo la volontà si manifesta in questo modo . Ma oramai ci proponiamo di mostrare, fondare con più estensione e chiarezza, e sviluppare in tutta la sua ampiezza, quanto fin qui fu esposto in maniera provvisoria e generica.