Quel che le due arti ricordate fanno per i gradi minimi dell'oggettità della volontà, fa in certo modo l'arte bella dei giardini per il grado, più elevato, della natura vegetale. La bellezza d'un limitato paesaggio consiste in gran parte nella varietà degli oggetti naturali che vi si trovano; e poi nel fatto che questi vi si distinguano nettamente, vi risaltino con evidenza, e tuttavia si presentino in convenevole armonia e varietà. Sono queste le condizioni, a cui l'arte bella dei giardini contribuisce: nondimeno ella è lungi dall'esser padrona della sua materia, come l'architettura è della propria; e quindi la sua azione rimane limitata. Il bello, che essa presenta, appartiene quasi per intero alla natura; essa v'ha poco contribuito. E pochissimo può d'altra parte contro il disfavore della natura: dove questa invece di preparare contrasta, i suoi risultati sono scarsi.
Adunque, in quanto il mondo vegetale – che senza aver l'arte per intermediaria si offre da per tutto al godimento estetico – è oggetto dell'arte, appartiene principalmente alla pittura di paese. Nel dominio di questa si trova, col mondo vegetale, anche tutta l'altra natura priva di conoscenza. Nella natura morta, e nella riproduzione di opere architettoniche, rovine, interni di chiese, etc., prevale il lato soggettivo del godimento estetico: ossia il piacere che ne abbiamo non sta principalmente e direttamente nella percezione delle idee rappresentate, bensì di più nel correlato soggettivo di questa percezione, nel puro conoscere scevro di volere. Perché, mentre il pittore ci fa veder le cose co' suoi occhi, sentiamo in pari tempo dentro di noi medesimi quasi riflettersi la profonda serenità di spirito e il perfetto silenzio della volontà, che sono stati necessari per concentrar sì appieno la conoscenza in quegli oggetti inanimati, e con tanto amore – ossia a tal grado di obiettività – riprodurli. L'effetto della vera e propria pittura di paesaggio è ancora, a dire il vero, dello stesso genere; ma poi che le idee rappresentate, come gradi più alti nell'oggettità della volontà, sono già più significanti ed espressive, vien fuori in maggior misura il lato obiettivo del piacere estetico, e sta a pari col soggettivo. Il puro conoscere, come tale, non è più quel che solo conta; ma con eguale potenza agisce l'idea conosciuta, il mondo come rappresentazione, in un notevole grado di oggettivazione della volontà.
Ma un grado ben più alto rivela la pittura e scultura d'animali; della quale ultima abbiamo importanti avanzi antichi, per esempio cavalli, a Venezia, a Monte Cavallo, sui rilievi di Elgin, ed anche a Firenze, in bronzo o marmo (quivi pur l'antico cignale, gli urlanti lupi); e i leoni dell'arsenale di Venezia, e in Vaticano tutta una sala piena d'animali in massima parte antichi, e così via. Ora, davanti a codeste rappresentazioni il lato oggettivo del piacere estetico prende un aperto sopravvento sul soggettivo. La serenità del soggetto, che tali idee conoscendo ha placato la propria volontà, vi si ritrova, è vero, come in ogni contemplazione estetica, ma la sua azione non viene sentita: imperocché ci occupa la inquietudine e la violenza della rappresentata volontà. È quello stesso volere, ond'è pur costituita la nostra essenza, che ci sta davanti agli occhi: in figure, nelle quali la sua manifestazione non è come in noi dominata e mitigata dalla riflessione, ma si presenta bensì in forti tratti, con un'evidenza da rasentare il grottesco e il mostruoso; e in compenso ostentantesi liberamente in piena luce, ingenua e aperta – ragione per cui, appunto, il nostro interesse va agli animali. La nota caratteristica delle specie già veniva fuori nella rappresentazione delle piante, mostrandosi tuttavia solamente nelle forme: qui acquista molto maggior rilievo, e si esprime non solo nella forma, bensì nell'azione, posizione e movenza; sebbene sia ancor sempre carattere della specie, e non dell'individuo. Questa conoscenza delle idee di gradi più alti, che noi acquistiamo nella pittura mediante un intermediario, possiamo raggiungere anche in maniera diretta, con la intuizione puramente contemplativa delle piante e l'osservazione degli animali; questi nel loro stato libero, naturale, a loro agio. La considerazione obiettiva delle lor svariate, mirabili forme e della loro attività è un'istruttiva lezione del gran libro della natura, una decifrazione della vera signatura rerum : in lei vediamo i molteplici gradi e modi della manifestazione della volontà, la quale, in tutti gli esseri una e identica, ovunque la stessa cosa vuole – vuole appunto ciò, che come vita, come esistenza viene ad oggettivarsi, in sì infinita varietà, in sì infinite forme; le quali tutte sono accomodamenti alle diverse condizioni esteriori, paragonabili a molte variazioni d'uno stesso tema. Ma se dovessimo al contemplatore fornire, anche per la riflessione, e con una sola parola, un chiarimento sull'intima essenza di codesti esseri, potremmo meglio d'ogni altra usare quella formula sanscrita, la quale tanto spesso ricorre nei libri sacri degli Indù e vien detta Mahavakya, ossia la grande parola: «Tat tvam asi», che significa: «questo vivente sei tu».