§ 52.

Dopo aver fin qui considerato tutte le arti belle da quel punto di vista generale, che a noi si conviene, principiando dall'architettura, scopo della quale è render palese l'oggettivazione della volontà nel grado più basso in cui questa è visibile, ov'essa si mostra come oscuro, inconsciente, meccanico impulso della massa, e pur tuttavia già palesa interno dissidio e lotta; e il nostro esame concludendo con la tragedia, che nel grado supremo dell'oggettivazione della volontà appunto quell'interno dissidio ci disvela in tremenda grandezza e chiarezza; troviamo che nondimeno un'arte bella è rimasta e doveva rimanere esclusa da questa indagine, non essendo per lei alcun luogo conveniente nella trama della nostra esposizione: la musica. Ella è staccata da tutte le altre. In lei non conosciamo l'immagine, la riproduzione d'una qualsiasi idea degli esseri che sono al mondo; eppure ell'è una sì grande e sublime arte, sì potentemente agisce sull'intimo dell'uomo, sì appieno e a fondo vien da questo compresa, quasi lingua universale più limpida dello stesso mondo intuitivo; – che in lei di certo dobbiamo cercar ben più dell'exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi, qual fu dichiarata da Leibniz. E questi ebbe nondimeno ragione, in quanto ne guardò soltanto l'immediata ed esterna significazione, la scorza. Ma se non fosse nulla di più, dovrebbe la soddisfazione, ch'ella ci arreca, somigliare a quella che noi troviamo nella giusta soluzione d'un problema di calcolo; e non sarebbe punto quell'intima gioia, con la quale noi vediamo fatto parlante il più segreto recesso del nostro essere. Dal nostro punto di vista, adunque, dobbiamo riconoscere alla musica un significato ben più grave e profondo, riferentesi alla più interiore essenza del mondo e del nostro io; rispetto alla quale le relazioni di numeri, in cui quella si lascia scomporre, stanno non già come la cosa significata, ma appena come il segno significante. Che la musica debba stare al mondo, in un senso qualsiasi, come rappresentazione sta al rappresentato, come immagine all'originale, possiamo dedurre dall'analogia delle altre arti, alle quali tutte appartiene questo carattere, e la cui azione su di noi ha la stessa natura di quella della musica, ma solo è quest'ultima più forte, più rapida, più necessaria, più infallibile. Quella relazione d'immagine rispetto all'originale, ch'ella ha col mondo, deve pur essere ben intima, infinitamente verace e sommamente precisa, per esser da ciascuno compresa in un attimo; e dà a conoscere una tal quale infallibilità, dal fatto che la sua forma si lascia ricondurre a regole ben determinate, da esprimersi in numeri; regole cui non può sottrarsi, senza cessare interamente d'esser musica. Tuttavia il punto di paragone tra la musica e il mondo, il modo onde quella sta con questo nel rapporto d'imitazione o riproduzione, giace ben profondamente celato. S'è fatto musica in tutti i tempi, senza rendersi conto di ciò: paghi di comprenderla direttamente, s'è rinunziato a una conscienza astratta di questa immediata comprensione.

Nel mentre io abbandonavo tutto il mio spirito all'impressione della musica, facendo poi in seguito ritorno alla riflessione e al corso dei pensieri esposti nell'opera presente, venni a una conclusione sulla sua intima essenza e sul modo della sua relazione col mondo, la quale per necessaria analogia era da supporre fosse di natura imitativa. Tale conclusione essendo per me stesso sufficiente appieno, e per la mia indagine soddisfacente, sarà forse egualmente luminosa per chi mi abbia seguito finora convenendo col mio concetto del mondo. Ma di quella conclusione fornir la prova, riconosco esser cosa sostanzialmente impossibile; perché essa ammette e stabilisce un rapporto della musica, come rappresentazione, con ciò che per essenza non può mai essere rappresentazione; e la musica vuol considerata come immagine di un modello, che non può direttamente venir rappresentato esso medesimo. Non posso quindi fare altro, che qui, al termine del terzo libro, principalmente consacrato all'esame delle arti, esporre quel giudizio, ond'io m'appago, sulla mirabile arte dei suoni; e il consenso o il dissenso dipenderà dall'effetto prodotto sul lettore per una parte dalla musica, per l'altra da tutto l'unico pensiero, ch'io comunico in quest'opera. Ritengo inoltre necessario, perché si possa accogliere con piena persuasione l'indagine, che ora farò, intorno al senso della musica, ascoltar musica spesso, riflettendovi durevolmente. Ed anche a ciò occorre esser già molto famigliare con tutto il mio pensiero.

L'adeguata oggettivazione della volontà sono le idee (platoniche); provocar la conoscenza di queste (cosa possibile solo con una corrispondente modificazione nel soggetto conoscitivo) mediante rappresentazione di singoli oggetti (che non altro sono pur sempre le opere d'arte), è il fine di tutte le altre arti. Tutte oggettivano adunque la volontà in modo mediato, ossia per mezzo delle idee: e il nostro mondo non essendo se non fenomeno delle idee nella pluralità, per essere entrate nel principium individuationis (forma della conoscenza possibile all'individuo come tale), ne risulta che la musica, la quale va oltre le idee, anche dal mondo fenomenico è del tutto indipendente, e lo ignora, e potrebbe in certo modo sussistere quand'anche il mondo non fosse: il che non può dirsi delle altre arti. La musica è dell'intera volontà oggettivazione e immagine, tanto diretta com'è il mondo; o anzi, come sono le idee: il cui fenomeno moltiplicato costituisce il mondo dei singoli oggetti. La musica non è quindi punto, come l'altre arti, l'immagine delle idee, bensì immagine della volontà stessa, della quale sono oggettità anche le idee. Perciò l'effetto della musica è tanto più potente e insinuante di quel delle altre arti: imperocché queste ci danno appena il riflesso, mentre quella esprime l'essenza. Essendo adunque la medesima volontà che si oggettiva, tanto nelle idee quanto nella musica, ma solo in modo affatto diverso, deve trovarsi non proprio una diretta somiglianza, ma tuttavia un parallelismo, un'analogia tra la musica e le idee, delle quali è fenomeno molteplice e imperfetto il mondo visibile. L'indicare una tale analogia sarà come un chiarimento, che aiuti a comprendere questa dimostrazione difficile per l'oscurità del soggetto.

Nei suoni più gravi dell'armonia, nel basso fondamentale, io riconosco i gradi infimi dell'oggettivantesi volontà, la natura inorganica, la massa del pianeta. Tutti i suoni acuti, agili e rapidi, notoriamente sono da considerare sorti dalle vibrazioni concomitanti del suono fondamentale profondo, e al risuonar di questi risuonan tosto lievi anch'essi. È legge dell'armonia, accordare con una nota bassa soltanto quei suoni acuti, che insieme con lei già effettivamente risuonano nelle vibrazioni concomitanti (i suoi sons harmoniques). È un fatto analogo a quello, per cui tutti i corpi e organismi della natura devono esser considerati come svoltisi gradatamente dalla massa del pianeta; questa è il loro sostegno come la loro sorgente: e la medesima relazione hanno i suoni acuti col basso fondamentale. La profondità ha un termine, oltre il quale un suono non è più percettibile: e ciò corrisponde al non esservi materia percepibile senza forma e qualità, ossia senza manifestazione d'una forza, che non può esser meglio spiegata, e in cui un'idea si esprime; anzi corrisponde più generalmente al non esservi materia in tutto scevra di volontà. Come adunque dal suono, in quanto tale, è inseparabile un certo grado di altezza, così lo è dalla materia un certo grado di manifestazione della volontà. Il basso fondamentale è quindi per noi nell'armonia quel che il mondo nella natura inorganica: la massa più rude, su cui tutto posa e da cui tutto s'innalza e si sviluppa. Procedendo, in tutte le parti costituenti l'armonia, tra il basso e la voce guida che canta la melodia, riconosco l'intera scala delle idee, in cui la volontà si oggettiva. Quelle più vicine al basso corrispondono ai gradi inferiori, ossia ai corpi ancora inorganici ma già in più modi estrinsecantisi: le più alte mi rappresentano il mondo vegetale ed animale. I determinati intervalli della scala sono paralleli ai gradi determinati nell'oggettivazione della volontà, alle determinate specie della natura. Il discostarsi dall'aritmetica esattezza degl'intervalli, o mediante una qualsiasi tempera, o indotto dalla prescelta tonalità, è analogo al discostarsi dell'individuo dal tipo della specie: e anzi le dissonanze impure, che non danno un determinato intervallo, si posson paragonare ai mostri venuti da due specie animali, o da uomo e animale. A tutte codeste parti di basso e medie, che formano l'armonia, manca nondimeno quell'organismo nella progressione, che soltanto ha la parte superiore, ond'è cantata la melodia; la qual parte è la sola a potersi muovere rapida e leggera nelle modulazioni e digressioni, mentre tutte le altre hanno un andare più lento, senz'avere in ciascuna per sé un organismo costante. Più pesante di tutte si muove il basso fondamentale, il rappresentante della massa bruta: il suo salire e discendere si fa solo per grandi passaggi, in terze, quarte, quinte, e non mai d'un tono solo; che allora sarebbe, per contrappunto doppio, un basso trasportato. Questo tardo moto è a lui anche fisicamente naturale: un rapido passaggio o un gorgheggio nelle note gravi non si può neppure immaginare. Più svelte, ma ancor senza nesso melodico e significante progressione si muovono le parti più elevate, che corrono parallele al mondo animale. Il movimento isolato e la destinazione regolata di tutte le parti sono analoghi al fatto, che in tutto il mondo irrazionale, dal cristallo all'animale più perfetto, nessun essere ha una conscienza propriamente sistematica, che faccia della sua vita un complesso sensato; e nessuno ha una successione di sviluppi mentali, nessuno si perfeziona con la cultura; bensì tutti rimangono in ogni tempo eguali, secondo la propria natura, determinati da rigida legge. Finalmente nella melodia, nella voce principale, alta, canora, che il tutto guida, e libera, spontanea procede dal principio alla fine con l'organismo ininterrotto e significativo d'un pensiero unico, formando un tutto ben delineato, riconosco il grado supremo dell'oggettivazione della volontà, la conscia vita e lotta dell'uomo. Come l'uomo ognora guarda, egli solo essendo fornito di ragione, davanti o dietro a sé, sul cammino della propria realtà e delle possibilità innumerabili, compiendo un corso vitale consapevole, in cui tutto si collega e forma un insieme: così ha la melodia sola una significativa, voluta connessione da capo a fondo. Ella narra quindi la storia della volontà illuminata dalla riflessione, volontà che si manifesta nel reale con la serie degli atti suoi; ma dice di più, narra della volontà la storia più segreta, ne dipinge ogni emozione, ogni tendenza, ogni moto, tutto ciò, che la ragione comprende sotto l'ampio e negativo concetto di sentimento, né può meglio accogliere nelle proprie astrazioni. Perciò fu sempre detto esser la musica il linguaggio del sentimento e della passione, come le parole sono il linguaggio della ragione. Già Platone la dichiara ή των μελων κινησις μεμιμημενη, εν τοις παθημασιν όταν ψυχη γινηται (melodiarum motus, animi affectus imitans), De leg. VII; e anche Aristotele dice: δια τι οί ρυθμοι και τα μελη, φωνη ουσα, ηθεσιν εοικε; (cur numeri musici et modi, qui voces sunt, moribus similes sese exhibent?); Probl., c. 19.

Ora, come l'essenza dell'uomo sta nel fatto, che la sua volontà aspira, viene appagata e torna ad aspirare, e sempre così continua; anzi sua sola felicità, solo suo benessere è che quel passar dal desiderio all'appagamento e da questo a un nuovo desiderio proceda rapido, poi che il ritardo dell'appagamento è dolore, e il ritardo del nuovo desiderio è aspirazione vuota, languor, noia; così l'essenza della melodia è un perenne discostarsi, peregrinar lontano dal tono fondamentale per mille vie non solo verso i gradi armonici, la terza e la dominante, ma verso ogni tono, fino alla dissonante settima ed ai gradi eccedenti; eppur sempre succede da ultimo un ritorno al tono fondamentale. Per tutte codeste vie esprime la melodia il multiforme aspirar della volontà; ma col ritrovare infine un grado armonico, o meglio ancora il tono fondamentale, esprime l'appagamento. Trovar la melodia, scoprire in lei tutti i segreti più profondi dell'umano volere e sentire, è l'opera del genio: la cui azione è qui più facile a vedersi che altrove, libera da ogni riflessione e meditato intento – e potrebbe chiamarsi inspirazione. Qui, come ovunque nel dominio dell'arte, il concetto è infruttifero: il compositore disvela l'intima essenza del mondo, in un linguaggio che la ragione di lui non intende: come una sonnambula magnetica da rivelazione di cose, delle quali sveglia non ha concetto alcuno. In un compositore quindi, meglio che in ogni altro artista, è l'uomo dall'artista in tutto separato e distinto. Perfino nell'illustrazione di quest'arte mirabile il concetto lascia scorgere la propria povertà e i propri limiti: ma io voglio nondimeno tentar d'esporre fino all'ultimo l'analogia da me indicata. Come il rapido passaggio dal desiderio all'appagamento, e da questo a un nuovo desiderio, è felicità e benessere, così sono gioiose le melodie rapide, senza grandi deviazioni: tristi sono invece se lente, deviate in penose dissonanze, e solo attraverso molte battute facenti ritorno al tono fondamentale; sì da paragonarsi a un tardivo, contrastato appagamento del desiderio. Il ritardo della nuova eccitazione della volontà, il languore, non potrebbe esprimersi altrimenti che nel prolungato tono fondamentale, il cui effetto sarebbe ben presto intollerabile: già di molto s'avvicinano a ciò le monotone, inespressive melodie. I brevi, facili periodi d'una rapida musica a danza sembrano parlar d'una gioia comune, agevole a raggiungersi; mentre l'Allegro maestoso, in lunghi periodi, lenti passaggi, ampie deviazioni, esprime una più alta, più nobile aspirazione verso una meta lontana, e il suo finale conseguimento. L'Adagio parla del dolore d'una grande e nobile aspirazione, la quale disdegna ogni felicità meschina. Ma come mirabile è l'effetto del Minore e Maggiore! Come stupisce, che il mutar d'un semitono, il subentrar della terza minore in luogo della maggiore, c'inspiri immediatamente e inevitabilmente un senso d'angoscia e di pena, dal quale con la stessa rapidità ci libera il modo maggiore! L'Adagio raggiunge nel modo minore l'espressione del più alto spasimo, diviene il più sconvolgente lamento. Musica a ballo in minore sembra indicare la perdita d'una felicità mediocre, che piuttosto si dovrebbe disdegnare; sembra parlar d'un fine basso, conseguito con travagli e tribolazioni. L'inesauribile ricchezza di possibili melodie corrisponde all'inesauribile ricchezza della varietà d'individui, fisonomie e carriere vitali nella natura. Il passaggio da una tonalità a un'altra affatto diversa, venendo a toglier la connessione con ciò che precede, somiglia alla morte, in quanto ella è fine dell'individuo: ma la volontà, che in costui si palesava, vive dopo come prima, in altri individui palesandosi, la cui conscienza tuttavia non ha connessione di sorta con quella del primo.

Nel mostrar tutte queste analogie, non si deve tuttavia mai dimenticare che la musica non ha con esse una relazione diretta, ma soltanto indiretta: non esprimendo ella il fenomeno, ma l'intimo essere, l'in-sé d'ogni fenomeno, la volontà stessa. Non esprime adunque questa o quella singola e determinata gioia, questo o quel turbamento, o dolore, o terrore, o giubilo, o letizia, o serenità; bensì la gioia, il turbamento, il dolore, il terrore, il giubilo, la letizia, la serenità in se stessi, e, potrebbe dirsi, in abstracto, dandone ciò che è essenziale, senza accessori, quindi anche senza i loro motivi. Perciò noi comprendiamo la musica perfettamente, in questa purificata quintessenza. Di là procede che la nostra fantasia venga dalla musica con tanta facilità eccitata, tenti allora di dar forma a quel mondo di spiriti, che direttamente ci parla, invisibile e pur sì vivamente mosso, e di vestirlo con carne e ossa, cioè impersonarlo in un esempio analogo. Questa è l'origine del canto accompagnato da parole, e finalmente dell'opera, – la quale appunto perciò non dovrebbe mai abbandonare questa situazione subordinata per salire al primo luogo, e ridurre la musica a semplice mezzo della propria espressione; la qual cosa è un grosso errore e una brutta stortura. Imperocché sempre la musica esprime la quintessenza della vita e dei suoi eventi, ma non mai questi medesimi; le cui distinzioni quindi non hanno il minimo influsso sopra di lei. Appunto tale universalità, che a lei esclusivamente appartiene, malgrado la determinatezza più precisa, le dà l'alto valore, ch'ella possiede come panacea di tutti i nostri mali. Se quindi si vuol troppo adattar la musica alle parole, e modellarla sui fatti, ella si sforza a parlare un linguaggio che non è il suo. Da questo difetto nessuno s'è tenuto lontano come Rossini: perciò la musica di lui parla sì limpido e puro il linguaggio suo proprio, da non aver punto bisogno di parole, ed esercitare quindi tutto il suo effetto, anche se eseguita dai soli strumenti.

In conseguenza di tutto ciò possiamo considerare il mondo fenomenico (o la natura) e la musica come due diverse espressioni della cosa stessa; la quale è adunque il termine di unione dell'analogia che passa fra loro, la cui conoscenza si richiede per vedere addentro quell'analogia. La musica quindi è – guardata come espressione del mondo – un linguaggio in altissimo grado universale, che addirittura sta all'universalità dei concetti press'a poco come i concetti stanno alle singole cose. Ma la sua universalità non è punto quell'universalità vuota dell'astrazione, bensì ha tutt'altro carattere, ed è congiunta con una perenne, limpida determinatezza. Somiglia in ciò alle figure geometriche ed ai numeri: che, quali forme universali di tutti i possibili oggetti dell'esperienza ed a tutti applicabili, non sono tuttavia astratti, ma intuitivi e sempre determinati. Tutte le possibili aspirazioni, eccitazioni e manifestazioni della volontà; tutti quei fatti interni dell'uomo, che la ragione getta nell'ampio concetto negativo di sentimento, sono da esprimere nelle infinite melodie possibili; ma ognora nell'universalità di semplice forma, senza la materia; ognora nell'in-sé, e non nel fenomeno: quasi la più profonda anima di questo, senza il corpo. Da quest'intima relazione, che la musica ha con la vera essenza di tutte le cose, si trae pur la spiegazione del fatto che se a qualsivoglia scena, azione, evento, ambiente s'accompagna una musica adatta, questa sembra dischiudercene il senso più segreto, ed esserne il più esatto, il più limpido commentario; e nello stesso tempo pare a quegli, che intero s'abbandona all'effetto d'una sinfonia, di vedere innanzi a sé passare le vicende tutte della vita e del mondo: ma nondimeno non gli è possibile, quando vi rifletta, trovare una somiglianza tra quella musica e le cose che ondeggiavano a lui nella fantasia. Imperocché quivi la musica differisce, come ho detto, da tutte le altre arti: nell'essere non già una riflessa immagine del fenomeno o, meglio, l'adeguata oggettità della volontà, bensì l'immediato riflesso della volontà medesima; e per tutto ciò ch'è fisico nel mondo rappresentare il metafisico, per ogni fenomeno rappresentare la cosa in sé. Tanto si potrebbe quindi chiamare il mondo musica materiata, quanto materiata volontà. Così si spiega, perché la musica faccia apparire in più forte rilievo ogni quadro, anzi ogni scena della vita reale e del mondo: e tanto più, per quanto più analoga è la melodia di lei all'intimo spirito del dato fenomenico. Di qui viene che una poesia possa, come canto, venir sottomessa alla musica: o una rappresentazione intuitiva come pantomina; o questa e quella insieme, come opera. Tali scene isolate dell'umana vita, fatte soggetto all'universale linguaggio della musica, non sono mai con questa congiunte o a lei corrispondenti per una fissa necessità; bensì v'hanno il rapporto che un qualsivoglia esempio può avere col concetto generale: rappresentano con la determinatezza della realtà quel che la musica esprime nell'universalità della forma pura. Perché le melodie sono, in un certo modo, così come i concetti universali, un'astrazione della realtà. Quest'ultima, invero, fornisce l'intuitivo, il particolare e individuale, il caso singolo, in corrispondenza sia all'universalità dei concetti, sia all'universalità delle melodie; le quali universalità sono tuttavia, sotto un certo rispetto, contrarie: poiché i concetti contengono soltanto le forme primamente astratte dall'intuizione, quasi il vuoto guscio esterno delle cose, e sono quindi astrazioni vere e proprie; mentre la musica da invece il nocciolo più interno, precedente a ogni formazione, ossia il cuore della cosa. Questo rapporto si potrebbe esprimere benissimo nella lingua degli scolastici, dicendo: i concetti sono gli universalia post rem, mentre la musica dà gli universalia ante rem, e la realtà gli universalia in re. Al senso universale della melodia, posta ad accompagnare una poesia, potrebbero corrispondere egualmente altri esempi, scelti a piacere, dell'universale in quella espresso, nello stesso grado; perciò la stessa composizione s'adatta a più strofe, e perciò si può avere il vaudeville. Ma in genere l'esser possibile un rapporto tra una composizione musicale e una rappresentazione intuitiva poggia, come ho osservato, sul fatto che l'una e l'altra sono espressioni differentissime della stessa intima essenza del mondo. Ora, quando s'abbia davvero nel caso singolo un tal rapporto, e il compositore abbia saputo esprimere nell'universale lingua della musica quei moti della volontà, che formano il nocciolo di un evento, allora la melodia della canzone o la musica dell'opera è altamente espressiva. L'analogia, dal compositore trovata fra quel linguaggio e quei moti, deve nondimeno procedere dall'immediata cognizione dell'essenza del mondo, senza consapevolezza della ragione; non dev'essere imitazione fatta consapevolmente, mediante concetti, che allora non esprimerebbe la musica l'intima essenza, la volontà medesima, e non farebbe che imitare insufficientemente il fenomeno di quest'ultima, come ognor fa la musica imitativa, qual è per esempio Le stagioni di Haydn e anche la sua Creazione, in molti luoghi ove fenomeni del mondo intuitivo sono direttamente imitati. E così anche in tutte le descrizioni di battaglie: tutta roba da gettar via.

L'ineffabile senso intimo d'ogni musica, in grazia del quale ella ci passa davanti come un paradiso a noi ben famigliare e pure eternamente lontano, affatto comprensibile e pur tanto incomprensibile, proviene dal riflettere tutti i moti del nostro essere più segreto, ma senza la realtà loro, e tenendosi lungi dal loro tormento. Similmente la gravità essenziale alla musica, per cui è il ridicolo escluso affatto dal suo diretto dominio, si spiega con l'esser suo oggetto immediato non la rappresentazione, che sola può apparire illusoria e ridicola, ma la volontà stessa. E questa è per sua natura ciò che esiste di più grave, come ciò da cui tutto dipende. Come ricco di contenuto e di significanza sia il linguaggio musicale, provano perfino i segni di ripetizione, oltre al da capo, che in opere letterarie sarebbero intollerabili, mentre in quello appaiono opportuni e vantaggiosi, dovendosi udire due volte per afferrarlo appieno. In tutta questa trattazione intorno alla musica mi sono sforzato di render chiaro, come ella in un linguaggio universalissimo esprima l'essenza intima, l'in-sé del mondo, che noi, muovendo dalla sua manifestazione più limpida, significhiamo sotto il concetto di volontà; e l'esprima in una materia particolare, ossia con semplici suoni, con la massima determinatezza e verità. E d'altra parte, secondo io vedo e tendo, la filosofia non è se non compiuta, esatta riproduzione ed espressione dell'essenza del mondo, in concetti molto generali; sol con questi potendosi avere una visione, per ogni verso sufficiente e servibile, di tutta quell'essenza. Chi adunque m'ha seguito ed è penetrato nel mio pensiero, non mi troverà tanto paradossale, quando dico che, posto si potesse dare una spiegazione della musica, in tutto esatta, compiuta e addentrantesi nei particolari, ossia riprodurre estesamente in concetti ciò ch'ella esprime, questa sarebbe senz'altro una sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo in concetti; oppur le equivarrebbe in tutto, e sarebbe così la vera filosofia. Né il motto di Leibniz sopra citato, giustissimo da un inferior punto di vista, suonerebbe paradossale venendo a esser parodiato nel senso della nostra superiore concezione della musica, così: Musica est exercitium metaphysices occultum nescientis se philosophari animi. Imperocché scire, sapere, significa sempre aver deposto la conoscenza in concetti astratti. E poi che la musica, per la verità da più parti confermata del motto leibniziano, non è altro, astraendo dal suo significato estetico, o interno, e guardandola in modo affatto esteriore ed empirico, che il mezzo di afferrar direttamente, e in concreto, numeri più grandi e relazioni numeriche più complesse, quali di solito possiam conoscere solo indirettamente per mezzo di concetti, ne viene che, riunendo quelle due sì diverse e pure esatte concezioni della musica, possiamo farci un concetto sulla possibilità d'una filosofia dei numeri, qual era quella di Pitagora e anche dei Cinesi nel Y-King; e in questo senso interpretare il detto di Pitagora riferito da Sesto Empirico (adv. Math., 1. VII): τω αριθμω δε τα παντ’ επεοικεν (numero cuncta assimilantur). Ma se infine applichiamo questo modo di vedere alla nostra precedente dimostrazione dell'armonia e della melodia, troveremo che una filosofia morale pura, senza spiegazione della natura, come Socrate la voleva introdurre, è affatto analoga a una melodia senz'armonia, come Rousseau in modo esclusivo la voleva; e all'opposto, una fisica e metafisica pura, senza etica, corrisponde a una pura armonia senza melodia. A queste osservazioni incidentali mi sia lecito annodarne alcune altre, riferentisi ancora all'analogia della musica col mondo fenomenico. Trovammo nel precedente libro, che il grado supremo d'oggettivazione della volontà, l'uomo, non può apparir solitario e distaccato dagli altri gradi inferiori; ma li presuppone, come questi presuppongono gl'infimi. Così pure la musica, la quale, proprio come il mondo, oggettiva la volontà direttamente, è perfetta soltanto nell'armonia completa. La voce acuta, che fa da guida alla melodia, abbisogna, per produrre tutto il suo effetto, dell'accompagnamento di tutte le altre voci, fino al basso più profondo, il quale è da considerarsi come principio di tutte; la melodia entra qual parte integrante nell'armonia, come questa in quella. E come soltanto nell'insieme di tutte le voci la musica esprime ciò che d'esprimer si propone, così l'unica volontà, che sta fuori del tempo, trova la sua perfetta oggettivazione soltanto nella completa unione di tutti i gradi, che lungo un'infinita scala di progressiva evidenza manifestano il suo essere. Molto notevole è ancora l'analogia che segue. Abbiamo nel precedente libro veduto che, malgrado il reciproco adattamento, rispetto alle specie, di tutti i fenomeni della volontà (il che dà luogo alla considerazione teleologica), rimane tuttavia un non eliminabile contrasto tra quei fenomeni individualmente; il quale è in tutti i lor gradi visibile, e riduce il mondo a un perenne campo di battaglia tra i fenomeni tutti dell'una e identica volontà, facendo palese così l'intimo dissidio di quest'ultima con se medesima. A ciò pur si trova corrispondenza nella musica. Invero un sistema armonico di suoni interamente puro è impossibile non solo fisicamente, ma già perfino aritmeticamente. I numeri stessi, co' quali si esprimono i toni, hanno irrazionalità non riducibili: nessuna scala sarebbe mai possibile a calcolare, entro la quale ogni quinta stesse al tono fondamentale come 2 sta a 3, ogni terza maggiore come 4 a 5, ogni terza minore come 5 a 6, e così via. Perché, se i toni sono esatti rispetto al tono fondamentale, non lo son più reciprocamente, che allora, per esempio, dovrebbe la quinta esser la terza minore della terza, etc. I toni della scala rassomigliano ad attori, che debbano rappresentare or questa or quella parte. Una musica perfettamente esatta non si può adunque pensare, nonché eseguire, e dalla purezza piena si discosta ogni possibile musica. Questa può solamente celare le dissonanze in lei essenziali, distribuendole fra tutti i toni, ossia per mezzo di tempera. Si veda a questo proposito l'I di Chladni, § 30, e del medesimo la Breve esposizione della teoria dei suoni e dell'armonia, p. 12. Avrei ancor parecchio da aggiungere sul modo onde la musica vien percepita, ossia unicamente nel tempo e per il tempo, con assoluta esclusione dello spazio, ed anche senz'influsso della conoscenza di causalità, ossia dell'intelletto: imperocché i suoni musicali già producono come effetto l'impressione estetica, senza che si debba risalire alla loro causa, come accade nell'intuizione. Ma non voglio prolungar questi discorsi, che probabilmente già a taluno sono apparso nel mio terzo libro troppo prolisso, o troppo mi sono addentrato nei particolari. Ciò era tuttavia necessario per il mio scopo, e tanto meno sarà biasimato, quanto più ci si rappresenti l'importanza, di rado conosciuta abbastanza, e l'alto valore dell'arte; riflettendo che se, a nostro modo di vedere, tutto il mondo visibile non è se non oggettivazione, specchio della volontà, e accompagna questa alla conoscenza di sé, anzi, come tosto vedremo, alla sua possibile redenzione; e riflettendo in pari tempo, che il mondo come rappresentazione, quando lo si consideri a parte, ed essendo svincolati dal volere lo si lasci occupare esso solo la conscienza, è il più gioioso e l'unico innocente aspetto della vita; di tutto ciò noi dobbiamo considerar l'arte come il più alto grado, il più completo sviluppo, poi che ella sostanzialmente fa quel medesimo che fa il mondo visibile, ma con più concentrazione, compiutezza, consapevole intento; e può quindi nel pieno significato della parola esser chiamata la fioritura della vita. Se il mondo intero quale rappresentazione non è che la visibilità della volontà, l'arte è quella, che fa più limpida codesta visibilità, la camera oscura, che gli oggetti fa apparire più puri e meglio vedere e abbracciar con lo sguardo. È lo spettacolo nello spettacolo, la scena sulla scena, come nell'Amleto.

Il godimento del bello, il conforto che l'arte può dare, l'entusiasmo dell'artista, che gli fa dimenticare i travagli della vita, unico privilegio del genio, il solo che lo compensi del dolore cresciuto di pari passo con la chiarità della conscienza, e della squallida solitudine fra una gente eterogenea, – tutto ciò poggia sul fatto che, come ci si mostrerà in seguito, l'in-sé della vita, la volontà, l'essere medesimo sono un perenne soffrire, in parte miserabile, in parte orrendo; mentre l'essere medesimo quale semplice rappresentazione, puramente intuita, o riprodotta dall'arte, libera da dolore, offre un significante spettacolo. Quest'aspetto del mondo puramente conoscitivo, e la riproduzione sua in un'arte qualsiasi è l'elemento dell'artista. Egli è incatenato dallo spettacolo dell'oggettivata volontà: vi si indugia, non si stanca di guardarlo e di riprodurlo, e talora ne fa egli medesimo le spese, ossia egli medesimo è la volontà, che in quel modo s'oggettiva e perdura in continuo dolore. Quella pura, vera e profonda conoscenza dell'essere del mondo gli si fa scopo di per se stessa: ed egli a lei si ferma. Non diviene ella adunque per lui, come vedremo nel seguente libro accadere per il santo arrivato alla redenzione, un quietivo della volontà; non lo redime per sempre dalla vita, ma solo per brevi istanti, e non è ancor una via a uscir dalla vita, ma solo a volte un conforto nella vita stessa; fin che la sua forza, così accresciuta, stanca alfine del giuoco, non si volga al serio. Come simbolo di questo passaggio si può considerar la Santa Cecilia di Raffaello. Al serio ci volgeremo adunque noi pure nel libro seguente.

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