Dando qui termine ai fondamenti dell'etica, e con essi all'intero sviluppo di quell'unico pensiero, ch'io mi proponevo di comunicare, non voglio punto tener celato un rimprovero che tocca quest'ultima parte della trattazione; intendo anzi mostrare, ch'esso è inerente alla sostanza della cosa, e sarebbe del tutto impossibile rimuoverlo. Eccolo: giunta la nostra indagine al punto da farci vedere nella perfetta santità la negazione e l'abbandono d'ogni volere, e quindi la redenzione da un mondo, la cui essenza intera ci si presentò come dolore, tale condizione ci appare come un passare al vuoto nulla.
A questo proposito devo in primo luogo osservare, che il concetto del nulla è essenzialmente relativo, e si riferisce sempre ad alcunché di determinato, ch'esso nega. Codesta relatività fu attribuita (specie da Kant) soltanto al nihil privativum, indicato col segno – in opposizione al segno +; il qual segno –, capovolgendo il punto di vista, poteva diventare +; e in contrasto con quel nihil privativum, si stabilì un nihil negativum, che fosse il nulla sotto tutti i rapporti, per esempio, del quale si cita la contraddizione logica, distruggente se stessa. Ma, guardando più da vicino, un nulla assoluto, un vero e proprio nihil negativum non si può neppure immaginare: ogni nihil negativum, guardato più dall'alto o sussunto ad un più ampio concetto, rimane pur sempre un nihil privativum. Ciascun nulla è pensato come tale solo in rapporto a qualche cosa, e presuppone codesto rapporto, ossia quella cosa. Perfino una contraddizione logica è un nulla relativo. Non è un pensiero della ragione: ma non perciò è un nulla assoluto. Imperocché essa è un'accozzaglia di parole, è un esempio del non pensabile, di cui nella logica si ha bisogno per mostrar le leggi del pensare: quindi, allorché si ricorre con quel fine a un esempio siffatto, si bada all'insensato, che è la cosa positiva di cui si va in cerca, trascurando il sensato, come negativo. Così adunque ogni nihil negativum, o nulla assoluto, quando venga subordinato a un concetto più alto, apparirà sempre qual semplice nihil privativum, o nulla relativo, che può sempre scambiare il suo segno con ciò ch'esso nega, sì che questo diventi a sua volta negazione, ed esso viceversa diventi posizione. Con noi s'accorda anche il risultato della difficile indagine dialettica intorno al nulla, che Platone istituisce nel Sofista (pp. 277-287, ed. Bip.): Την του έτερου φυσιν αποδειξαντες ουσαν τε, και κατακεκερματισμεηνη ετι παντα τα οντα προς αλληλα, το προς το ον έκαστου μοριον αυτης αντιτιθεμενον. Ετολμησαμεν ειπειν, ώς αυτο τουτο εστιν αυτως το μη ον (Cum enim ostenderemus, alterius ipsius naturam esse, perque omnia entia divisam atque dispersam invicem; tunc partem ejus oppositam ei, quod cujusque ens est, esse ipsum revera non ens asseruimus).
Ciò ch'è universalmente ammesso come positivo, che noi chiamiamo l'ente, e la cui negazione è espressa dal concetto del nulla nel suo significato più universale, è appunto il mondo della rappresentazione, che io ho indicato come oggettità, specchio della volontà. E questa volontà e questo mondo sono poi anche noi stessi, e al mondo appartiene la rappresentazione in genere, come una delle sue facce: forma di tale rappresentazione sono spazio e tempo, quindi ogni cosa, che sotto questo riguardo esista, dev'esser posta in qualche luogo e in qualche tempo. Negazione, soppressione, rivolgimento della volontà è anche soppressione e dileguamento del mondo, ch'è specchio di quella. Se non vediamo più la volontà in codesto specchio, invano ci domanderemo dove si sia rivolta; e lamentiamo allora ch'ella non abbia più né dove né quando, e sia svanita nel nulla.
Un punto di vista invertito, qualora fosse possibile per noi, scambierebbe i segni, mostrando come il nulla ciò che per noi è l'ente, e quel nulla come l'ente. Ma, finché noi medesimi siamo la volontà di vivere, il nulla può esser conosciuto da noi solo negativamente, perché l'antico principio d'Empedocle, potere il simile esser conosciuto soltanto dal simile, ci toglie qui ogni possibilità di conoscenza; come viceversa poggia su quel principio la possibilità di tutta la nostra conoscenza reale, ossia il mondo come rappresentazione, o l'oggettità della volontà. Imperocché il mondo è l'autocognizione della volontà.
Quando si volesse tuttavia insistere nel pretendere in qualche modo una cognizione positiva di ciò, che la filosofia può esprimere solo negativamente, come negazione della volontà, non potremmo far altro che richiamarci allo stato di cui fecero esperienza tutti coloro, i quali pervennero alla completa negazione della volontà; stato al quale si son dati i nomi di estasi, rapimento, illuminazione, unione con Dio, e così via. Ma tale stato non può chiamarsi cognizione vera e propria, perché non ha più la forma del soggetto e dell'oggetto, e inoltre è accessibile solo all'esperienza diretta, né può essere comunicato altrui.
Noi, che restiamo fermi sul terreno della filosofia, dobbiamo qui contentarci della conoscenza negativa, paghi d'aver raggiunto il limite estremo della positiva. Avendo riconosciuto nella volontà l'essenza in sé del mondo, e in tutti i fenomeni del mondo null'altro che l'oggettità di lei; avendo quest'oggettità perseguito dall'inconsapevole impulso delle oscure forze naturali fino alle più lucide azioni umane, non vogliamo punto sfuggire alla conseguenza: che con la libera negazione, con la soppressione della volontà, vengono anche soppressi tutti quei fenomeni e quel perenne premere e spingere senza mèta e senza posa, per tutti i gradi dell'oggettità, nel quale e mediante il quale il mondo consiste; soppressa la varietà delle forme succedentisi di grado in grado, soppresso, con la volontà, tutto intero il suo fenomeno; poi finalmente anche le forme universali di quello, tempo e spazio; e da ultimo ancora la più semplice forma fondamentale di esso, soggetto e oggetto. Non più volontà: non più rappresentazione, non più mondo.
Davanti a noi non resta invero che il nulla. Ma quel che si ribella contro codesto dissolvimento nel nulla, la nostra natura, è anch'essa nient'altro che la volontà di vivere. Volontà di vivere siamo noi stessi, volontà di vivere è il nostro mondo. L'aver noi tanto orrore del nulla, non è se non un'altra manifestazione del come avidamente vogliamo la vita, e niente siamo se non questa volontà, e niente conosciamo se non lei. Ma rivolgiamo lo sguardo dalla nostra personale miseria e dal chiuso orizzonte verso coloro, che superarono il mondo; coloro, in cui la volontà, giunta alla piena conoscenza di sé, se medesima ritrovò in tutte le cose e quindi liberamente si rinnegò; coloro, che attendono di vedere svanire ancor solamente l'ultima traccia della volontà col corpo, cui ella dà vita. Allora, in luogo dell'incessante, agitato impulso; in luogo del perenne passar dal desiderio al timore e dalla gioia al dolore; in luogo della speranza mai appagata e mai spenta, ond'è formato il sogno di vita d'ogni uomo ancor volente: ci appare quella pace che sta più in alto di tutta la ragione, quell'assoluta quiete dell'animo pari alla calma del mare, quel profondo riposo, incrollabile fiducia e letizia, il cui semplice riflesso nel volto, come l'hanno rappresentato Raffaello e Correggio, è un completo e certo Vangelo. La conoscenza sola è rimasta, la volontà è svanita. E noi guardiamo con profonda e dolorosa nostalgia a quello stato, vicino al quale apparisce in piena luce, per contrasto, la miseria e la perdizione del nostro. Eppur quella vista è la sola, che ci possa durevolmente consolare, quando noi da un lato abbiam riconosciuto essere insanabile dolore ed infinito affanno inerenti al fenomeno della volontà, al mondo; e dall'altro vediamo con la soppressione della volontà dissolversi il mondo, e soltanto il vacuo nulla rimanere innanzi a noi. In tal guisa adunque, considerando la vita e la condotta dei santi, che raramente ci è concesso invero d'incontrar nella nostra personale esperienza, ma che dalle loro biografie e, col suggello dell'interna verità, dall'arte ci son posti sotto gli occhi, dobbiamo discacciare la sinistra impressione di quel nulla, che ondeggia come ultimo termine in fondo a ogni virtù e santità e di cui noi abbiamo paura, come della tenebra i bambini. Discacciarla, quell'impressione, invece d'ammantare il nulla, come fanno gl'Indiani, in miti e in parole prive di senso, come sarebbero l'assorbimento in Brahma o il Nirvana dei Buddhisti. Noi vogliamo piuttosto liberamente dichiarare: quel che rimane dopo la soppressione completa della volontà è invero, per tutti coloro che della volontà ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa per gli altri, in cui la volontà si è rivolta da se stessa e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, è – il nulla.