III.

FORZE DEL PIEMONTE.

L'esercito piemontese avrebbe dovuto avere in pace 53,000 soldati, con 6000 cavalli, ed in guerra 170,000 soldati con 12,000 cavalli; ma è noto come in ogni tempo la logismografia cartacea sia una cosa e la realtà dei fatti un'altra.

Il suo reclutamento era regionale, le ferme sotto le armi brevissime, e da queste due istituzioni era uscita una truppa ottima, e quale io mi augurerei di dover comandare in guerra.

Le uniformi, e starei per dire, il pensiero de' soldati piemontesi traluce mirabilmente da quelle quattro statue, che attorniano il monumento di Carlo Alberto in Torino.

Erano uomini a forti tratti, di ferrea disciplina, devoti al re, schiavi del dovere: un Napoleone li avrebbe condotti in colonne serrate alla conquista d'Europa. Emergevano per la precisione de' movimenti: già popolari erano i bersaglieri, famosa l'artiglieria, buona la cavalleria, ed audace, ma [89] non sempre adatta alle ricognizioni ed al combattere nelle rotte campagne del Veronese.

La scienza concentravasi nelle armi dotte, la carriera degli ufficiali era costretta nelle rigide parallele dell'anzianità, lo che distoglieva i giovani dagli studî militari.

Era vanto ed orgoglio delle famiglie aristocratiche dedicare i figli all'esercito, che era l'idolo del paese.

I capi esigevano, imponevano, quell'assoluta obbedienza che si piega e non discute: quasi tutti avevano idee ultraconservatrici, e miravano con sospetto i tempi nuovi.

La guerra li trovò impreparati alle grandi concezioni, ad avvalersi di molte truppe e dei Corpi di volontari.

Faceva difetto il servizio logistico, l'arte cioè di far muovere tutto l'esercito, di mantenerlo in buon assetto, di nutrirlo, di condurlo in favorevoli condizioni fisiche e morali sul campo della lotta. I grossi appalti coi fornitori fecero pessima prova: alla vigilia del combattimento di Goito una divisione non mangiò, ai primi rovesci gli impiegati delle sussistenze disertarono.

I piani di guerra non potevano, per quanto abbiam detto, erompere dalla mente dei generali, e [90] maturavano con lentezza, più per imposizione degli eventi, che per volontà del comando. - Ciò spiega perchè nel Quadrilatero si ebbero tante battaglie sanguinose e nessuna decisiva, essendo solo attributo de' grandi capitani riconoscere il nemico con numerose scaramuccie ed annientarlo in pochi urti risolutivi.

In complesso, nel magnifico esercito piemontese del 1848-49, si riscontrano quelle virtù guerresche che rendono i battaglioni caparbi nel volere, resistenti alla sventura, tetragoni sotto le raffiche della mitraglia: ma in esso non iscocca quella scintilla del genio avida di iniziativa, di responsabilità personale, che attraverso alle tempeste di sangue crea non solo gli eroi, ma altresì i vincitori.

Comunque, esso fu il più possente argomento dell'indipendenza italiana, e noi alla sua memoria ci inchiniamo riverenti; se ebbe difetti, questi più che essere intrinseci furono attribuibili ai tempi, all'indirizzo educativo, alla secolare politica piemontese, per cui fu credenza che in qualsiasi evento l'esercito avrebbe combattuto al fianco di un altro più numeroso e più forte, ed al quale sarebbe naturalmente spettata la condotta strategica della guerra.

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