I.

Vi sono due Torquati Tasso: che potrebbero dirsi i due lati sofistici di questo vecchio, e sempre nuovo, e sempre magnetico soggetto. Vi è il Tasso della leggenda romantica, quello delle Veglie e della Eleonora, anzi delle Eleonore, dei duelli e dei travestimenti; una specie di gran mandolinista della poesia, quale è ormai impresso nel cuore del popolo, e quale su per giù è cantato egualmente da librettisti e novellieri d'infimo ordine, e da insigni poeti come Byron, Lamartine, Espronceda, Giovanni Prati. Non parlo del Tasso del Goldoni, che è una specie di farsa, nè di quello di Goethe, che non è che un prestanome, un interprete dei sentimenti dell'olimpico Goethe (Goethe Antonio), all'epoca in cui si atteggiava a impassibilità marmorea, e aveva per la sua sacra persona un vero culto di latria, e portava la propria testa come si porta il Santissimo Sacramento.

Vi è poi un altro Tasso, più di moda, scovato modernamente ed egualmente sofistico, - un Tasso affetto di monomania religiosa, di delicato ma non grande ingegno, egoista e pigolone, che ha sempre gridato per mali tollerabilissimi, che ha messo a lunga e dura prova la pazienza di quel bravo duca Alfonso, così prudente, così [243] previdente, un vero precursor di Lombroso, un frenologo da dar dei punti al professor Tamburini.

Oggi però, grazie alle pazienti indagini e agli accurati studi del Solerti e del Mazzoni, si comincia a veder più chiaro nella vita e nel carattere del Tasso, - e i loro lavori, uniti a quelli precedenti del Guasti, del D'Ovidio, del Masi, del Falorsi, dello Cherbuliez, e del Symonds, hanno messo non foss'altro un po' d'ordine in quel labirinto di enimmi e d'ipotesi che si chiamava la Vita di Torquato Tasso.

Io vorrei solo, o signori, studiar oggi con voi il carattere dell'uomo nell'opera del poeta, - cercare sopratutto nella Gerusalemme il segreto dei dolori, e la chiave della vita di questo grande e infelice italiano. Nella natura dei grandi ingegni, - quando l'ingegno non consiste esclusivamente nel meccanismo artistico, ma nella espressione sincera di certi stati dell'anima, - è tutta la storia della loro vita. La Gerusalemme, il Paradiso perduto, il Childe-Harold ci dicono sul carattere e la vita del Tasso, di Milton, di Byron, più di cento documenti d'archivio. I fatti sono così poca cosa, se non possiamo intuire la loro origine ascosa, e afferrare il misterioso segreto dell'azione palese! Quanti documenti abbiamo su questo grande poeta di Aminta e di Armida; e quanto poco sappiamo ancora di certo e di positivo!

È supremamente difficile analizzare e definire il carattere e l'ingegno di Torquato Tasso; ingegno poetico tutto sfumature e fremiti e gemiti, lirico-elegiaco, essenzialmente musicale: eppure, a momenti, grandemente, largamente, sovranamente epico. Il suo ingegno è un mistero - come i suoi amori e la sua follia! Non ci si presenta in una schietta, sana e plastica nudità, come quella dell'Ariosto, ma rassomiglia a quella bella nuotatrice che alletta i due cavalieri nel Canto XV della Gerusalemme:

[244]

Il crin che in cima al capo avea raccolto

In un sol nodo, immantinente sciolse,

Che lunghissimo in giù cadendo e folto

D'un aureo manto i molli avori involse.

Meglio che vedere, s'intravede, si desidera, s'indovina, - è un genio suggestivo, che respira e ci fa respirare in un'atmosfera di voluttà e di passione, di pietà religiosa e di eroismo cavalleresco. È il poeta del sentimento, - sentimento nel senso moderno, quel misto di rêverie elegiaca musicale, di cui è traccia in Virgilio, che abbondò poi nel Petrarca, e che ritroveremo trionfante in Jean-Jacques o nella numerosa sua scuola.

Basta leggere l'Aminta e la Gerusalemme, per accorgersi e sentire che il loro autore, nell'epoca in cui visse, era come un istrumento fatto apposta per il dolore.

Nato alla gioia, all'amore, alla poesia, a tutti i nobili e grandi ideali, sensibile, immaginoso, suscettibile, delicato e nervoso, fa pena vederlo in quell'ambiente di egoismo, di dispotismo, d'ipocrisia, - di cortigiani, di pedanti e di bigotti.... Quando vediamo piovere una grandine di sventure sopra un Dante, un Milton, un Shakespeare, un Cervantes, non ci badiamo tanto. Sappiamo che quei giganti hanno spalle da resistere, e armi da vendicarsi.... ma il povero Tasso! Ci fa l'effetto di veder picchiare un bambino.... Si direbbe una muta di mastini e di bull-dog alla caccia di un rosignolo. O amici eruditi, voi vi affannate molto a cercare le vere cause, i documenti della follia del Tasso, - e non vi accorgete che sono legione, - e che la cosa veramente maravigliosa è che non sia impazzato prima, e che poi sia guarito.

Era così ingenuo, e primitivo, e ostinato nei suoi poetici sogni, che le lunghe e ripetute esperienze non gl'insegnarono mai nulla. Solo a Sant'Onofrio, nella terribile [245] imminenza della morte, vide, come nel bagliore di un lampo, la tragica realtà della vita. Avrebbe avuto, per difendersi dal mondo e da sè stesso, un bisogno supremo di volontà, e non seppe mai fortemente volere: fu come una piuma di cigno in balia d'un infernale Simoun! Restò sempre un illuso, un debole, un poetico adolescente. Pensate, per contrapposto, alla scienza della vita di Lodovico Ariosto! che abisso di differenza!...

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